Frank Horvat. Storia di un fotografo

FINO AL 20 MAGGIO

Mostra di quelle rare. Che quando hai terminato di visitarle ti sembra di aver capito tutto, ma proprio tutto, “vita opere e miracoli”, dell’ artista che l’ha firmata.Grandiosa per qualità, importanza storica e ricchezza di significati e contenuti, l’antologica di Frank Horvat ospitata nelle “Sale Chiablese” dei Musei Reali di Torino è anche la prima, per portata di pezzi esposti – ben 210 – che mai sia stata dedicata in Italia all’artista nato nel 1928 a Opatjia (Abbazia, allora città italiana, oggi Croazia) e che, a pieno titolo, può collocarsi fra i massimi rappresentanti della grande storia della fotografia internazionale dagli anni ’50 a oggi. Curata dallo stesso Horvat, la rassegna testimonia appieno l’enorme ricchezza e la varietà di un percorso artistico segnato, da quasi settant’anni, dalla curiosità per mondi ed esperienze totalmente diverse fra loro. Da fotoreporter attento al puntuale racconto di realtà sconosciute e lontane dalla nostra, a fotografo di moda fra i più gettonati e assolutamente sui generis in quel singolare immergere le sue modelle nei fatti quotidiani, rubandole ad asettici studi e a rutilanti passerelle per farne figure comuni nel via vai di gente comune fra piazze strade e civiche metropolitane, Horvat (che da tempo vive in Francia) ha sempre guardato con grande interesse e ansia di confronto e conoscenza anche agli stimoli della pittura e della scultura, fotografando uomini e donne e animali e paesaggi carichi di “interiori esplorazioni”e colte assonanze estetiche , non meno che – sotto l’aspetto tecnico – alla sperimentazione di quei “nuovi” mezzi e virtuosismi digitali (è stato fra i primi a usare Photoshop e qualche anno fa ha studiato un’applicazione per iPad chiamata Horvatland) che ancor oggi danno al suo linguaggio i caratteri di un’attualità decisamente al passo coi tempi. Il suo è un geniale pungente ragionare da caparbio giovanotto novantenne (lo sarà in aprile) che di mestiere fa da sempre il fotografo e da sempre cerca di imbrigliare a suo uso e consumo quello strumento fotografico in cui “c’è davvero –scrive convinto – qualcosa di faustiano o mefistofelico, soprattutto nell’illusione di arrestare il movimento continuo che ci trascina”. E poi precisa: “Ho un’età in cui si guarda al proprio passato per cercarne un senso”. In totale serenità e con le idee ben chiare. “Più che i soggetti in se’ – puntualizza – mi interessano le relazioni fra le cose. Così, se dovessi fotografare le piramidi, aspetterei il passaggio di un cammello, di un turista, di una jeep o qualcos’altro. Immortalare le piramidi in se’ e per se’ non mi importa nulla”. Del resto “la fotografia è – per lui – l’arte di non premere il bottone”. Almeno fino a quando non si è di fronte alla possibilità (che ti cade addosso inaspettatamente come un fulmine) di compiere in un battito di secondi il “miracolo”, di fermare con uno scatto “un fatto unico, accaduto una volta sola e che non accadrà mai più”. E’ il caso delle trentuno foto della ricchissima collezione personale di Horvat, realizzate da grandi maestri e amici-colleghi che egli stesso ha voluto portare in mostra e che rappresentano in modo iconico la Storia della fotografia come il celebre scatto di Jeff Widener che, nel 1989 a Pechino, ritrae il giovane studente di fronte ai carri armati di piazza Tienanmen. Accanto, altre a firma di Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Mario Giacomelli, Helmut Newton e Sebastiao Salgado, solo per fare qualche nome. Maestri autentici che a tratti hanno anche segnato la carriera di Horvat e determinato in certo modo quella sua “versatilità” che non sempre è stato un vantaggio per lui: “Alcuni hanno messo in dubbio – sottolinea – la sincerità del mio impegno, altri hanno trovato che le mie foto erano poco ‘riconoscibili’, come se fossero state fatte da autori diversi. Questo mi ha spinto a ripercorrere la mia opera per cercarvi un denominatore comune. Ne ho trovati quindici e li ho chiamati ‘chiavi’. E quindici sono appunto le sezioni-chiave in cui si articola la mostra torinese. Si va (fra le più suggestive) da Luce – con scatti in debito di magica suggestione da Cartier-Bresson, non meno che da Caravaggio e Rembrandt – a Condizione umana (al centro le “persone che soffrono” anche se “non mi piace l’idea che la mia arte si nutra del suo dolore”), da Tempo sospeso a Voyeur. Via via in un sorprendente eclettico percorso artistico, che in Vere somiglianze ci presenta grandi e bellissimi ritratti femminili di corposa e “plastica” sensualità, fino alle Foto fesse e agli Autoritratti (ma “trovarsi di fronte a se’ stessi, quando non si è Montaigne, può diventare noioso”). E, all’uscita, c’è perfino uno spazio per farsi un selfie a ricordo della mostra. Il massimo per un grande giovanotto di appena novant’anni. Ancora da compiere.

Gianni Milani

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“Frank Horvat. Storia di un fotografo”

Musei Reali Torino – Sale Chiablese, Piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5211106 www.museireali.beniculturali.it

Fino al 20 maggio – Orari: lun. 14-19; dal mart. alla dom. 10-19

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Nelle foto:
– “Monique Dutto all’uscita della metro”, Parigi, 1959
– “Scarpe e Tour Eiffel”, Parigi, 1974

 

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