28 astronome viste da sei artisti di oggi

Attraversare più di quattro millenni di storia e incrociare quelle Signore del cielo “che hanno contribuito ad avvicinare tante persone alla scoperta dell’universo”, come sottolinea Sergio Chiamparino presentando in catalogo l’omonima esposizione ospitata fino al primo ottobre nella Sala Mostre del Palazzo della Regione in piazza Castello e curata da Luciana Penna. Dipinti e sculture che toccano il percorso di una intera rivelazione astronomica con sentimenti dell’età moderna, con brevi appunti, con misurati interventi, con le differenti personalità di chi è stato chiamato a tratteggiare le passioni e gli studi di 28 astronome di diverse epoche – nonché le tappe non sempre facili di alcune loro vite, contrastate, appartate, per alcune quasi nascoste, in epoche che consideravano questi studi e le relative scoperte propri dei soli signori uomini. Un lungo percorso che parte dalla Mesopotamia del 2300 a. C. con la sacerdotessa En-Hedu-Anna, poetessa e prima donna ad occuparsi di scienza di cui ci sia giunta testimonianza, per raggiungere la figura martoriata di Ipazia (IV-V secolo dopo Cristo), cui si deve tra l’altro la divulgazione delle opere di Euclide e Archimede e gli studi intorno al sistema solare, personaggio già teatrale e cinematografico, vittima di un’accusa di paganesimo da parte del vescovo Cirillo, patriarca d’Alessandria d’Egitto e per questo condannata a morte, a Fatima di Madrid nella Spagna del decimo secolo e alla germanica Hildegarda di Bingen, morta più che ottantenne nel 1179.

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Con la seconda metà del Cinquecento, troviamo Sophie Brahe, sorella del più celebre Tycho, considerata una delle donne più erudite della sua epoca, che studiò a fianco del fratello le eclissi lunari e le comete con sestanti, quadranti, sfere armillari e strumenti di loro invenzione. A lei seguirono nei due secoli successivi la polacca Maria Cunitz, le tedesche Maria Winkelmann Kirch, Maria Clara Eimmart e Caroline Lucretia Herschel. Più lontano da noi, nella Cina del Settecento maturarono gli studi di Wang Zhenyi, che s’appassionò alle eclissi lunari, usando per le sue ricerche modelli che lei stessa costruiva nel giardino di casa sua, approfondendo con la stesura di una dozzina di volumi che trattarono tra l’altro dei dati atmosferici raccolti per prevenire la siccità e le inondazioni che flagellavano la sua regione. In Italia, troviamo nell’Ottocento Caterina Scalpellini, di origine umbra ma romana di adozione, interessata alle eclissi del sole e della luna, alle stelle cadenti, alle comete e alle maree e ai terremoti. Poi arrivarono i nomi importanti delle statunitensi Maria Mitchell, Annie Jump Cannon, Antonia Pereira Maury, Henrietta Swan Leavitt, Cecilia Payne Gaposchkin e Dorritt Hoffleit. Indimenticabile per noi la figura di Margherita Hack (1922 – 2013), fiorentina, grande e affermata divulgatrice scientifica attraverso pubblicazioni e conferenze, amatissimo volto televisivo, per anni tenne corsi di astrofisica presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Milano, collaborò con varie università straniere, diresse per più di vent’anni l’Osservatorio Astronomico di Trieste.

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Al progetto, inserito nel decimo anniversario del Festival “Teatro e scienza”, che culminerà il 30 settembre con “la notte europea dei ricercatori”, hanno aderito gli artisti Angela Betta Casale, Martino Bissacco, Gianfranco Cantù, Attilio Lauricella, Nikolinka Nikolova e la stessa Luciana Penna. La prima artista, che conosciamo da tempo e di cui continuiamo ad ammirare quel suo approfondimento di un classicismo dell’arte più pura che si collega a materiali contemporanei capaci di accrescere la poesia dell’opera stessa, irreale, fantasticata, intrecciata attraverso la presenza di mondi lontani: sarebbe sufficiente, in mostra, soffermarsi dinanzi al ritratto di “Fatima di Madrid”, con quell’accenno alle architetture di Cordoba, al grande astrolabio e alla bellezza perfetta del viso femminile affondato nel blu variegato del cielo, per vedere ancora una volta la poesia e la tecnica che trovano spazio nelle opere di Betta Casale. Di Martino Bissacco sappiamo l’uso e il contrasto dei materiali, gli inserimenti, i colori che esplodono nelle sue opere: oggi ci si sofferma dinanzi all’omaggio che l’autore ha voluto creare per Beatrice Tinsley, una tecnica mista dove attorno ad un punto focale s’irradiano vele rosate, attraversate da brevi squarci, buchi sconosciuti, poetiche tessiture nello spazio. Sciami multicolori di fiori e foglie e vegetali, simili a comete, disseminati su uno spazio scuro, attraversano l’opera interessante di Gianfranco Cantù, un lungo paravento di oltre tre metri, suddiviso nelle differenti stagioni, mentre oltre le coloriture spezzate, le geometrie e le astrazioni composte dalla tavolozza dell’artista, colpiscono ancor più nell’occasione le sculture lignee, che trasportano chi guarda ad un bronzo camuffato, di Attilio Lauricella, una costruzione perfetta di meccanismi antichi, reali e immaginari al tempo stesso, congegni catturati da antiche civiltà cui l’artista ha posto attenzione da non molti anni.

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Incide la pittura di Nikolinka Nikolova, di origini bulgare ma da anni in Italia, affinatasi con gli anni e sempre più presente sulla scena pittorica non soltanto italiana, ricercata pittrice e organizzatrice di mostre anche all’estero di grande successo. Una pittura la sua coloratissima, che ben si addice ad un discorso cosmologico, vivace nell’espressione, che lascia debordare studio e allegria, in cui le forme irreali si concentrano in quelle linee che come una musica attraversano la tela in piena libertà pur conservando un loro precisissimo e soffusamente geometrico ordine: all’interno visi e occhi lasciati intravedere al riparo di piccoli nascondigli osservano e studiano come da manuale la volta celeste. In ultimo Luciana Penna, cui si deve la scelta e il successo della mostra. In lei si fondono pittura e scultura, si fa ammirare quel volto di Mary Somerville seminascosto dietro l’opera d’ingegno, come chi scrive si ferma dinanzi al “trattatello” su Ipazia, figura rivoluzionaria, un intarsio che ha il sapore del ricamo, un 100 x 90 capace di racchiudere l’intero operato dell’astronoma egiziana e la sua vita attraversata dagli studi e dalle pene e dalle sconfitte, gli alunni e gli aguzzini, i luoghi che l’hanno vista vivere, i suoi strumenti e le sue carte. Una mostra da visitare, non soltanto dagli appassionati della materia.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini:

 

Angela Betta Casale, “Antonia Maury”, olio e resine su tela

Martino Bissacco, “M.J. Amélie Harlay”, acrilico e olio su tela

Gianfranco Cantù, “Viandante cosmico”, dipinto su legno

Attilio Lauricella, “Maria Mitchell”, scultura in legno effetto bronzo

Nikolinka Nikolova, “Hildegarda di Bingen”, acrilico su tela

Luciana Penna, “Henrietta Swan Leavitt”, acrilico su tela

 

 

  

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