Accostarsi a “Figure dell’Italia civile“, ultima opera di Pier Franco Quaglieni, tra i fondatori del Centro Pannunzio, rischia di suscitare nel lettore, se digiuno della grande storia dell’Italia del recente passato, la stessa reazione dell’ingegnere Dallasia di fronte agli accordi di pianoforte della figlia Laura
Come Mario Soldati narra nell’ultimo racconto del suo capolavoro di esordio, Salmace, si verrebbe disturbati nel sonno dell’ignoranza e, subito dopo, si patirebbe “una certa timidezza” di fronte alla cultura e all’intelligenza di chi “ha studiato e letto tanto“.
Ecco il rischio che corre chi vuole accingersi a sfogliare un libro, Figure dell’Italia civile, il cui peso sulla coscienza può essere gravoso e liberatorio.
Gravoso perché Quaglieni ritrae magistralmente un’Italia sempre più lontana da quella attuale, ricordandoci con l’amabile arroganza di Lalla che il nostro Paese è stato altra cosa rispetto a quello volgare e abbrutito dei tempi odierni.
Liberatorio perché la narrazione delle gesta, dei fatti e degli aneddoti di quei Giganti dell’Italia civile ha la forza di ridestarci dal torpore in cui siamo sprofondati, infelicemente inebriati dal populismo della politica e dalla trivialità delle relazioni sociali.
Scrostando gli orridi graffiti da un bellissimo quadro, l’autore ne ravviva le tonalità sbiadite, riportando alla memoria, e di questo non pochi si dispiaceranno, l’esempio di donne e uomini che hanno fatto rinascere il Bel Paese, grazie a un senso dello Stato inteso come “valore irrinunciabile“, a un atteggiamento dignitosamente e coraggiosamente umile, a una preparazione frutto di studio costante, analisi critica e forza delle idee.
Lo stesso Quaglieni, all’incontro di Un caffè liberale del 12 giugno scorso, presso la sede romana del Partito Liberale Italiano, ha dichiarato di aver “voluto, con questo libro, dimostrare che c’è stata una classe intellettuale e politica, sostanzialmente riconducibile alla Prima Repubblica, che ha rappresentato qualcosa di estremamente importante“; e lo ha fatto con grande efficacia, con attitudine rispettosa “di ogni fede e di ogni convinzione politica, secondo i principi della laicità liberale“, come egli stesso scrive nella Premessa al libro.
Suddividendo i ritratti dei grandi protagonisti della storia recente tra “Le radici” e “Maestri e amici“, secondo un rigoroso ordine cronologico, l’autore ci introduce nella Cathédrale engloutie del racconto soldatiano con la figura straordinaria di Luigi Einaudi, felicemente paragonato a Cavour in quanto uomini che hanno “lavorato per il bene dell’Italia“.
Da lì si viaggia con personaggi come Concetto Marchesi, Giovanni Amendola, Marcello Soleri, Piero Calamandrei, Filippo Burzio, Ernesto Rossi, Federico Chabod, Adriano Olivetti, Felice Balbo di Vinadio, Vittorio de Caprariis, Arturo Carlo Jemolo, Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Indro Montanelli, Leo Valiani, Franco Venturi, Carlo Casalegno, Alda Croce, Primo Levi, Carlo Azeglio Ciampi, Raimondo Luraghi, Rosario Romeo, Giovanni Spadolini, Sergio Pininfarina, Alberto Ronchey, Enzo Tortora, Marco Pannella, lo stesso Mario Soldati e Mario Pannunzio, per citarli tutti, i cui lineamenti sono stati ben rimarcati dall’esperienza dell’autore, il quale, con molti di essi, è stato testimone o protagonista di vicende culturali, politiche e personali.
La lettura di questo libro è una occasione da non perdere.
Si respira in ogni pagina lo spirito crociano che tanto ha influenzato il grande saggista torinese. A Quaglieni dobbiamo somma gratitudine anche per questo cammeo preziosissimo, che si aggiunge alla grande opera culturale che lo vede protagonista da tempo, a Torino e in tutta Italia.
I 50 anni di vita culturale del Centro Pannunzio, di cui Pier Franco Quaglieni è il dinamico direttore, lo dimostrano in modo significativo.
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Massimiliano Giannocco
Curatore del ciclo di incontri “Un caffè liberale con”
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