Un’azienda a cento all’ora. La storia della torinese Chiribiri

L’inventore dal 1912 al 1913, al tramonto della Belle Époque, di monoplani ne costruì ben quindici per poi dedicarsi,definitivamente alle autovetture. Nel 1914, quando ormai i bagliori del conflitto erano alle porte, il conte Gustavo Brunetta d’Usseaux, desideroso di entrare nella nascente industria automobilistica, propose a Chiribiri una società per realizzare la Siva, un’automobile economica da produrre in cento esemplari, ribattezzandola con il nome della divinità indiana

Prova d’ingegno e di coraggio, accompagnata da una capacità di guardare al futuro quasi visionaria. Così si potrebbe definire la storia della Chiribiri. Fondata nel quartiere operaio di Borgo San Paolo a Torino verso la fine di settembre del 1911 dall’ingegnoso veneziano Antonio Chiribiri insieme al pilota collaudatore Maurizio Ramassotto ed all’ingegnere Gaudenzio Verga, la Fabbrica Torinese Velivoli Chiribiri & C., s’impegnò da principio nella produzione di pezzi di ricambio per l’industria aeronautica. Un esordio positivo, al punto da raggiungere in breve tempo una notevole espansione grazie all’affidabilità ed alle prestazioni dei propulsori che era in grado di produrre su licenza della società francese “Gnome et Rhône” che, negli anni della Grande guerra, le valsero importanti commesse militari per la manutenzione dei motori aeronautici. Ma, negli anni precedenti l’attentato di Sarajevo, la Chiribiri aveva mostrato una notevole intraprendenza, ideando e costruendo un prototipo d’aereo monoplano. Non una cosa qualunque, ma una vera e propria “prova d’ardimento”, visto che si trattava del primo aeroplano interamente costruito in Italia e per di più da una sola azienda. Fu lo stesso Antonio Chiribiri, che in precedenza mai aveva pilotato un aereo, a voler collaudare il monoplano che, però, si schiantò al suolo al suo primo decollo.

Testardo e per nulla incline alla resa, il temerario inventore veneziano rimase incolume e, qualche mese più tardi, decise di realizzare un aereo a decollo verticale che,doppiando l’insuccesso , subì la medesima sorte dell’altro prototipo. Altri avrebbero gettato la spugna ma non Chiribiri che, dal 1912 al 1913, al tramonto della Belle Époque, di monoplani ne costruì ben quindici per poi dedicarsi,definitivamente alle autovetture. Nel 1914, quando ormai i bagliori del conflitto erano alle porte, il conte Gustavo Brunetta d’Usseaux, desideroso di entrare nella nascente industria automobilistica, propose a Chiribiri una società per realizzare la Siva, un’automobile economica da produrre in cento esemplari, ribattezzandola con il nome della divinità indiana. Non fu una scelta fortunata poiché, quando stavano per essere ultimati i lavori del prototipo Siva 8-10 HP, il conte torinese venne travolto dai debiti di gioco e si ritirò dall’impresa. Chiribiri strinse i denti e per non dissipare l’enorme lavoro svolto, decise di rilevare la società e proseguire da solo nello sviluppo dell’automobile, investendo nella nuova attività tutti i profitti ottenuti dalle commesse belliche. Sulla base di quel prototipo, ne fu approntato un secondo, il “Tipo II”, prodotto e venduto per tutta la durata del conflitto, in pochi esemplari continuamente evoluti. Servivano altre risorse, però, che puntualmente vennero introitate grazie con la vendita all’ingegnere Alfredo Gallanzi dei diritti per produrre su licenza quest’auto.

Dall’ accordo nacque la casa automobilistica milanese Ardita. Al Salone di Parigi del 1919, venne in seguito presentata la vetturetta “12 HP” che riscosse un buon successo e rimase in produzione fino al 1922. Gli anni venti, per Chiribiri, furono il tempo della costruzione di vetture sportive e delle gare. Con la “Roma 5000” e la “Monza Tipo Spinto”, la casa automobilistica torinese conseguì importanti risultati, stabilendo vari record di velocità e strappando prestigiose vittorie in competizioni come la Cuneo – Colle della Maddalena, la Aosta – Gran San Bernardo, il “Gran Premio Vetturette” che si svolse al nuovo Autodromo di Monza e la Susa – Moncenisio del 1922, dove le quattro vetture schierate dalla Chiribiri conquistano le prime quattro posizioni, dominando la corsa. La squadra corse era piuttosto “casalinga”, essendo composta dal collaudatore Ramassotto e da Ada e Deo Chiribiri, figli del fondatore. Gelosa dei propri segreti tecnici, laChiribiri era piuttosto restìa ad ingaggiare piloti estranei all’azienda, con la sola eccezione di un giovane pilota destinato a diventare il più grande di tutti i tempi, Tazio Nuvolari, il mitico “ Nivola” che gareggiò per la casa torinese nelle stagioni 1923 e 1924.

Ci furono anche episodi entrati a buon diritto nella leggenda, come la sofferta conquista del prestigioso record di velocità sul chilometro lanciato. La prova per battere il primato per la categoria fino a 1.500 cm³ venne fissata a Milano , sul lungo rettilineo in direzione di Monza, con lo scopo di dimostrare le prestazioni del nuovo modello d’auto. Era l’8 febbraio del 1923 e Deo Chiribiri, ottimo pilota, si presentò alla guida della “Tipo Ada”, così denominata per sfruttare la fama che la sorella si era conquistata sulla stampa sportiva. Le condizioni atmosferiche erano ottimali e la vettura in perfetto assetto, così da far sperare al giovane Chiribiri di ottenere, davanti ai cronometristi ufficiali, l’agognato record. Le cose andarono diversamente, smorzando gli entusiasmi: i cronometri misurarono velocità poco sotto i 150 km orari, di gran lunga inferiori alle aspettative. Così, dopo ripetuti tentativi, la prova venne conclusa con un insuccesso. Antonio Chiribiri, piuttosto incredulo e alquanto scettico, rimase a lungo sul luogo della prova e, a notte inoltrata, decise di misurare il tratto cronometrato, scoprendo che i testimoni erano stati erroneamente posti ad una distanza di 1100 metri. Così, denunciato l’inghippo, richiamati i cronometristi, il giorno seguente il record venne omologato alla strabiliante velocità di 162,963 km orari. Per avere un riferimento, circa l’eccezionalità del risultato, occorre dire che negli stessi giorni anche le Alfa Romeo e Diatto, rispettivamente pilotate da Alberto Ascari e Alfieri Maserati, avevano tentato di battere il record sul chilometro lanciato, per la categoria fino a 3.000 cm³, ottenendo però velocità inferiori ai 157 km all’ora. L’eccezionalità del risultato e l’enorme eco che ebbe sulla stampa, fece decidere Antonio Chiribiri di mutare la denominazione del nuovo modello “Tipo Ada” in “Tipo Monza”.

A metà degli anni ’20, guadagnatosi il prestigio sul campo, l’azienda allargò la produzione a modelli non solo sportivi che potessero interessare una clientela più vasta e meno esigente. Nacque il modello “Milano” e nel 1925, nacque la Società Anonima Autocostruzioni Chiribiri. Innovazione, coraggio e grinta nelle corse davano prestigio ma questo non bastò a “tenere il mercato”, dove le quote minime di produzione, determinanti per la sopravvivenza, erano decise dalla capacità di industrializzazione, dal prezzo e dall’adeguata promozione pubblicitaria del prodotto. Così, a poco a poco, le armi migliori della Chiribiri (le originali e costose innovazioni tecnologiche delle sue automobili) non furono sufficienti per competere. La Milano non riscosse il successo sperato ed i forti investimenti per ampliare gli opifici e assumere nuove maestranze, gravarono pesantemente sul bilancio della piccola azienda. Nonostante ripetuti e generosi tentativi, la crisi industriale del 1927, che precedette di un biennio la grande depressione innescata dal giovedì nero di Wall Street, diedero il colpo di grazia alla Chiribiri. L’azienda torinese che nell’anno precedente produceva a pieno ritmo, dando lavoro a più di duecento persone, si vide costretta a chiudere i battenti. Era il 3 settembre 1928.

Gli stabilimenti furono poi rilevati dalla Lancia e l’archivio tecnico della Chiribiri fu preso in custodia dall’ultimo socio,Gaudenzio Verga. Meno di tre mesi dopo la morte di Antonio Chiribiri, avvenuta il 19 aprile 1943, nella notte tra il 12 e il 13 luglio, Torino subì un terribile bombardamento. La città venne colpita da una delle più violente incursioni aeree portate avanti dall’aviazione inglese. Sulla Torino caddero 763 tonnellate di bombe, che provocarono la morte di quasi ottocento persone e ingenti danni a edifici, infrastrutture e stabilimenti industriali. Quel bombardamento rase al suolo anche la residenza di Verga, distruggendo completamente l’archivio aziendale della Chiribiri. La memoria di una delle più brillanti storie dell’industria piemontese finì distrutta e sepolta sotto quelle bombe.

Marco Travaglini

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