Si preannuncia un successo di pubblico e di critica la rappresentazione di Manon Lescaut al teatro Regio prevista per martedì 14 marzo alle 20, capace di far riaffiorare il ricordo di quello trionfale ottenuto dalla stessa opera nella messinscena, sempre al teatro Regio di Torino, il 1 febbraio 1893, con ben otto chiamate alla ribalta. Di grande livello il cast di questa produzione, sostenuta dalla Società Reale Mutua Assicurazioni, che riprende, variandolo, l’allestimento pensato per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006. L’enfant prodige del teatro Regio, che ha firmato regie di successo, come quelle della Boheme e del Barbiere di Siviglia, ha mantenuto, infatti, l’impianto del suo predecessore.
Nel ruolo di Manon la celebre soprano Maria José Siri, il tenore Gregory Kunde in quello di Renato De Grieux e il baritono Dalibor Jesse in quello di Lescaut. L’allestimento di Vittorio Borrelli si caratterizza per la compresenza di realismo e simbolismo, pur nel rispetto dei dettami presenti nel libretto. L’ambientazione settecentesca è solare nel primo atto; dominata, nel secondo atto, dagli ori e dal nero del palazzo di Geronte, e si tinge di un’atmosfera tenebrosa nell’atto ambientato nel porto di Le Havre. Si conclude, infine, con una distesa dominata da luci taglienti e nette per la landa desolata dell’ultimo atto. La Manon Lescaut si può definire un’opera giovanile di Puccini, caratterizzata da energia e freschezza. Si tratta di una musica cinematografica ante litteram, basata su primi piani, controcampi, piani sequenza, che aprono all’immaginario del teatro musicale soluzioni fino ad allora inedite. Rappresentò la consacrazione dell’allora trentacinquenne Giacomo Puccini, alla sua terza opera. La gestazione della Manon Lescaut non era stata tra le più facili, proprio perché Puccini voleva evitare il confronto con l’opera composta sullo stesso soggetto da Massenet, tratta dal medesimo libro “Histoire du chavalier des Grieux et de Manon Lescaut “, scritto dall’abate Antoine Francois Prevost. Per questo motivo Puccini non era soddisfatto del libretto e il lavoro passava da un autore all’altro, da Ruggero Leoncavallo a Marco Praga, da Domenico Oliva a Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, fino a giungere allo stesso compositore. Nel novembre 1893 sarà lo stessoGustav Mahler a dirigere la prima tedesca dell’opera e Fedele d’Amico dichiarerà che “Manon Lescaut è il nostro Tristano. Un Tristano istintivo, non problematico, senza implicazioni cosmiche, formato ridotto, precisamente quel tipo di Tristano che l’opera italiana poteva produrre “.
Mara Martellotta
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