Voglia di tenerezza, e di leggerezza, probabilmente. Forse evasione, immergersi senza se e senza ma – con il gran desiderio di entrare in un sogno – nel grande mare del musical americano (con uno sguardo da non sottovalutare a certo cinema del troppo dimenticato Jacques Demy), quello antico, raffinato, profondamente sognatore, coloratissimo, quello che ha impressa la faccia del grande vecchio Gene Kelly, quello che danza sulle note di Cole Porter o sui passi di Fred Astaire e Ginger Rogers. Ecco che al di là delle indubbie qualità artistiche (grande successo a Venezia lo scorso settembre, Coppa Volpi a Emma Stone, un film che per certa critica getta le basi verso un cinema proiettato nel futuro), Hollywood 2017 s’è pienamente accorta della ventata di elegante spensieratezza che attraversa le immagini del film di Damien Chazelle e allora eccoli lì, sette candidature, sette premi. Centro pieno. “La La Land”, che arriva sui nostri schermi il 26 gennaio, si porta a casa i Golden Globe dell’anno per il miglior film commedia o musicale, per il miglior regista, per la miglior colonna sonora originale e miglior canzone (“City of Stars”), per la miglior sceneggiatura, a Emma Stone e Ryan Gosling quali migliori interpreti di commedia, doverosi omaggi alla vicenda e ai sogni di Sebastian, virtuoso pianista jazz, e di Mia, giovane attrice ormai stanca dei tanti provini che sembrano non approdare a nulla, al loro incontro nella Los Angeles che pare il porto di ogni più rosea realizzazione, al loro amore.
Insomma, com’era nelle previsioni. Per il futuro, un’autostrada spalancata sulle nomination agli Oscar, in un gioco che dovrebbe ampiamente ripetersi. Sul versante drammatico, in questa serata americana di Beverly Hills che vede l’assegnazione dei premi della Stampa Estera accreditata nella Mecca del Cinema, condotta dal comico Jimmy Fallon e condita al pepe con il discorso anti-Trump di una sorridente quanto agguerrita Meryl Streep, bollata dal futuro presidente a poche ore di distanza con un secco “Hillary’s lover” – che tra l’altro sarà stata battuta per la sua “Florence” un po’ troppo macchiettistica e decisamente sopra le righe ma che s’è “già” portata a casa il premio alla carriera Cecil B. De Mille -, salta all’occhio la zampata della leonessa Isabelle Huppert, esemplare presenza europea, migliore attrice drammatica e del suo “Elle”, a firma Paul Verhoeven, migliore film straniero. La storia di “Moonlight”, regia di Barry Jenkins, ovvero l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di un ragazzo di colore che vive in un quartiere violento e difficile della periferia di Miami (in uscita da noi il 2 marzo), s’è vista aggiudicare il Golden Globe come miglior film drammatico, superando il superpronosticato “Manchester by the Sea” (arriva il 16 febbraio) di Kenneth Lonergan, un ritorno a casa per fare i conti con un passato che ha diviso un uomo dalla famiglia e da una comunità apertamente ostile, pure lui ben piazzato per gli Oscar e qui apprezzato per l’intensa interpretazione di Casey Affleck. Tra i migliori attori non protagonisti, Aaron Taylor-Johnson vince per lo psicopatico quanto adamitico gangster di “Animali notturni” di Tom Ford mentre Viola Davis, togliendo il silenzio no black su cui i grandi premi 2016 erano incappati, batte con “Barriere” (sincerarsene dal 23 febbraio in poi) interpretato e diretto da Denzel Washington attrici come Michelle Williams o Nicole Kidman. Sul versante televisivo, cui i Globe pure ogni anno guardano, “The Crown” intorno al regno di Elisabetta II è la miglior serie drammatica e la sua interprete Claire Foy la migliore attrice, “Atlanta” la miglior serie comica. Ancora tra gli attori, premiati Billy Bob Thornton (“Goliath”), Tom Hiddleston con Hugh Laurie e Olivia Colman (“The Night Manager”). La miglior miniserie è “The People v. O.J.Simpson”, un caso che in passato ha riempito i giornali e le televisioni di tutto il mondo.
Elio Rabbione
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