Montesano mattatore nella Roma papalina

Nel febbraio del 1982 Mario Monicelli, uno dei principi della commedia italiana, presentava al festival di Berlino il suo “Marchese del Grillo”, con un Alberto Sordi alle prese con una delle sue prove cinematografiche migliori, e ne tornava a casa con il premio per la miglior regia, ben poggiata sulla sceneggiatura firmata da Benvenuti, De Bernardi, il torinese Pinelli e Bernardino Zapponi. Più di trent’anni dopo, Enrico Montesano nelle vesti di interprete e di autore con l’aiuto di Gianni Clementi e Massimo Romeo Piparo quale regista, ripropone il personaggio del nobiluomo romano, Guardia nobile di papa Pio VII, scanzonato e gran confezionatore di burle.

montesano

L’ozio è il suo credo quotidiano, i riti familiari e i parenti tutti, bigotti e legatissimi alle antiche tradizioni e nel loro odio verso gli invasori francesi del piccolo Napoleone, sono accettati lì a palazzo ma soltanto per essere scansati, insolentiti, resi ridicoli, la frequentazione di bettole e osterie è un obbligo, per incrociare e coltivare qualche liaison con popolane in cerca di quattrini, di ricconi da pelare (ma qui troveranno pane per i loro denti), il pensiero fisso è quello di ordire scherzi che vadano a colpire tutti, nobili e plebei, senza grandi distinzioni. Sia il povero falegname ebreo che oltre a non venir pagato per il lavoro fatto, indifeso Shylock ottocentesco, con le conoscenze giuste debitamente oliate, viene trascinato in tribunale e in carcere, a dimostrazione davanti alla persona di Sua Santità, se mai ce ne fosse bisogno, che la giustizia non esiste: salvo poi, in privata sede, corrispondere al pover’uomo il triplo del compenso e anche l’aggiunta di un podere. Sia il povero ubriacone Gasperino, il carbonaio suo sosia perfetto, trovato tra le rovine del Foro e, ripulito e profumato, messo nel letto con tanto di baldacchino mentre i domestici gli danno l’incomprensibile “buongiorno, signor Marchese” e mentre i papalini ricercano l’autentico Onofrio del Grillo, reo di aver abbandonato la difesa del papa e di essere corso ad abbracciare le idee della rivoluzione. In tempi in cui il potere temporale cercava tutti i mezzi per non andare a rotoli e tenersi ben saldo su questa povera terra, la ghigliottina per lui sarebbe già pronta se il marchese non mettesse in campo per la prima volta le proprie responsabilità, “ho scherzato tutta la vita, ma non sono un pupazzo e non posso far condannare un innocente al posto mio”.

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Scherzi, popolino e popolaccio e nobili, gli angoli di Roma come in una stampa di Pinelli, montesano2gli ori e tutta la polvere, i calici e il vino di osteria, le madonne e le mignotte, la certezza che niente è cambiato e ieri è eguale a oggi, ogni società è identica all’altra, con ipocrisie e scandali e tutto il resto (per cui viene abbastanza facile che “altri abbiano un Napoleone che resta un grande Sole” mentre “a noi ci sono rimasti soltanto i Raggi”), tutto quanto rientra alla perfezione nelle scene di Teresa Caruso, costruita su di un girevole che apre e dischiude interni e squarci suggestivi. É davvero uno spettacolo degno del Sistina romano, tempio della commedia musicale di casa nostra, questo “Marchese del Grillo” che chiude già domani le sue recite torinesi. Veloce, con i tempi tutti giusti la regia di Piparo, orecchiabili le musiche di Emanuele Friello, le coreografie di Roberto Croce dispongono al meglio il perfetto corpo di ballo. In un panorama di osti e prelati, di ferree Marchese Madri e di sorelle dall’alito maleodorante, di castrati e di cuginette che a tempo debito ritroveranno gli ardori perduti, tutte quante efficaci figure di un presepe imbastito nell’imperativo del divertimento, Montesano spicca in gran forma, costruisce il suo duplice personaggio tra lo sberleffo e la dabbenaggine e sigla con grande sicurezza uno spettacolo che ha tutti i numeri per essere uno dei migliori dell’annata.

Elio Rabbione

 

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