Con i coetanei e amici del paese andavo “a caccia” di questi coleotteri. Bastava dare qualche robusta pedata ad alberi con fusto non troppo grande (castani, noci, ciliegi, gelsi e altri ancora) per farne cadere a terra un bel numero
Mi ritorna in mente il “mio” tempo dei maggiolini, quando leggo il libro omonimo di Marco Travaglini, collega scrittore ma soprattutto concittadino delle nostre terre, a cavallo tra laghi grandi e piccoli, tra monti e valli, strette e pittoresche: mete turistiche purtroppo non abbastanza apprezzate. Di “brutto” , che mal ci contraddistingue, abbiamo sono la sigla che ci accomuna: VCO. Mi ritorna in mente che, quand’ero ragazzino, dopo che la maestra ci aveva spiegato che i maggiolini, pur non essendo pericolosi, sono comunque insetti dannosi per l’agricoltura: con i coetanei e amici del paese andavo “a caccia” di questi coleotteri. Bastava dare qualche robusta pedata ad alberi con fusto non troppo grande (castani, noci, ciliegi, gelsi e altri ancora) per far cadere a terra un bel numero di maggiolini, che se ne ristavano tranquillamente sulle foglie; si raccoglievano e si mettevano questi parassiti in una scatola di latta, che veniva poi riempita d’acqua. Questo accadeva “a metà della primavera, tre gli ultimi giorni di aprile e l’inizio di maggio, appena le giornate accennavano a diventare più lunghe e tiepide….”. A quei tempi, abitavo in un piccolo paese tra Varese e Como, ma tornavo spesso dalle nostre parti, in Valle Intrasca, dove si respirava la stessa aria degli anni ‘50 e ’60, le galline razzolavano nelle corti e le bestie (mucca, vitello, conigli…) e abitavano nelle stalle di fronte alle abitazioni. Nei singoli paesi, ogni tanto arrivavano il mulìta, munito di una bicicletta i cui pedali potevano azionare anche la mola rotante per affilare forbici e coltelli, oppure l’ombrellaio, ottimamente descritto in uno dei quadretti di Travaglini. Vi ricordate, donne e uomini anziani, il grido di richiamo ? “Muuulitaaa !! “Ombrellaiooo !!” Questa seconda figura, protagonista di una delle novelle del libro dello scrittore omegnese, è descritta ne “L’ombrellaio di Sissi”. L’ombrellaio, che era chiamato, a seconda delle singole zone, addirittura dei singoli paesi, umbrelè o anche lüciàt. ¨, sbarcava così il lunario proponendo così il proprio lavoro alle massaie. Sì, proprio di singoli quadretti si tratta, affascinanti opere pittoriche più che fotografie. Qualche foto, casomai, la possiamo ammirare ancora sulla credenza della nonna. Lo stile di Travaglini nonché i contenuti, non hanno più (aggiungerei, fortunatamente) quello e quelli di tanti scrittori moderni che fanno proprio uno stile volutamente e scriteriatamente telegrafico, frasi brevissime intervallate da punti e punti e virgola a iosa, parolacce sparate a ripetizione, trame improbabili o assurde. Eppure la letteratura che “vende” oggi è quest’ultima e gli editori fanno i loro interessi. Fuoco di paglia? Speriamo…
Elio Motella
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