In breve tempo il nuovo governo dà prova dell’ampiezza dei settori sui quali intende intervenire. Non si limita alla normale amministrazione, ma si muove lungo linee profondamente innovatrici, riflettendo “una visione non municipale dei problemi“
Nel periodo più buio della storia italiana, durante l’occupazione nazifascista dell’Italia del nord, la Repubblica partigiana dell’Ossola ha rappresentato il primo tentativo organizzato di rinascita democratica del paese. Per più di quaranta giorni, dal 10 settembre al 23 ottobre del 1944, oltre ottantamila cittadini furono i protagonisti del governo di un vasto territorio all’estremo nord del Piemonte, al confine con la Svizzera, dandosi un ordinamento repubblicano ed una legislazione che sarà in parte riproposta e rivalutata nella Costituzione italiana del 1946. La vicinanza con la Confederazione Elvetica consentì di seguire con interesse e attenzione le vicende di questo territorio libero anche da parte della stampa internazionale. Una storia, quella dei “quaranta giorni di libertà”, breve ma ricca di esperienze politico-sociali che trovarono poi un seguito ideale nei primi passi e nelle scelte della nuova Italia repubblicana. Nel territorio liberato dalle formazioni partigiane si trovavano 35 comuni con 85.000 abitanti. I centri principali erano Domodossola, Pieve Vergonte, Villadossola e poi tutti gli altri nel fondovalle e sulle vallate laterali.
Nel giorno stesso dell’occupazione di Domodossola, il 10 settembre 1944, Dionigi Superti, comandante della divisione Val d’Ossola, insediò la giunta di governo. In breve tempo il nuovo governo dà prova dell’ampiezza dei settori sui quali intende intervenire. Non si limita alla normale amministrazione, ma si muove lungo linee profondamente innovatrici, riflettendo “una visione non municipale dei problemi“. Anche nella riorganizzazione del sistema giudiziario ogni provvedimento viene inserito in un progetto di ampio respiro che non solo rimuove la legislazione fascista, ma afferma con chiarezza i principi democratici su cui intende fondarsi. La responsabilità della giustizia venne affidata ad un avvocato di formazione socialista, Ezio Vigorelli, che si dimostrò sempre attento a garantire i diritti degli imputati, compresi i fascisti di Salò. I prigionieri, radunati a Druogno in Val Vigezzo, erano trattati senza durezza, come testimoniato anche dalla “Tribune de Genève“, una delle tante testate internazionali che seguirono con interesse l’esperienza ossolana. In campo scolastico e pedagogico, grazie alla collaborazione di intellettuali antifascisti come Gianfranco Contini e Carlo Calcaterra, vennero sviluppati programmi molto avanzati, fondati su un ciclo iniziale di formazione comune a tutti e sulla successiva distinzione tra studi liceali e studi tecnico-professionali. In pratica vennero gettate le basi per molte riforme e la vita democratica fu molto intensa e partecipata.
Molti progetti restarono sulla carta, data la brevità dell’esperienza maturata nella zona liberata. Sul finire dell’ottobre del 1944 la controffensiva di tedeschi e fascisti provocò la caduta della piccola repubblica dopo giorni di duri combattimenti. Furono 13 mila gli uomini impiegati per la riconquista dell’Ossola, in gran parte truppe fasciste (meno di mille erano tedeschi), con un rapporto di forze di 4 a 1 nei confronti dei partigiani. Alle 17.40 del 14 ottobre i fascisti entrarono in Domodossola e trovarono la città semideserta, abbandonata da più della metà della popolazione stabile. Molti erano fuggiti in Svizzera, dove furono alloggiati a Briga in capannoni militari, per evitare il rischio di gravi rappresaglie. Proprio in quei giorni fu organizzata dal governo Provvisorio , e in modo particolare da Gisella Floreanini ( nome di battaglia, Amelia Valli: la prima donna a ricoprire un incarico governativo in Italia), commissario all’assistenza e ai rapporti con le organizzazioni di massa, un’importante operazione di salvataggio di 2500 bambini che, con alcuni treni, vennero inviati in Svizzera. Contrariamente a quanto avveniva normalmente per gli espatriati in Svizzera, i bambini dell’Ossola non furono trasferiti in campi di concentramento ma vennero accolti da centinaia di famiglie elvetiche che li nutrirono e accudirono come i propri figli. Quasi tutti i bambini rientrarono in Italia dopo la liberazione e la fine della guerra mantenendo , in molti casi,un legame affettivo con le famiglie che li avevano accolti nel “paese del pane bianco”. L’esercito partigiano si divise in tre spezzoni in val Divedro, in Val Formazza e in Valsesia.
L’ultimo combattimento di un certo rilievo avvenne il 19 ottobre, con il contrattacco partigiano alle Casse del Toce. Di lì a poco, lunedì 23 ottobre 1944, la fine dei “quaranta giorni di libertà” . Restava però, indelebile, il segno lasciato da quel “piccolo mondo pieno d’amore, di vita, di speranza e verità”. La “repubblica” dell’Ossola, certamente la più nota e prestigiosa delle 18 “zone libere” partigiane che ebbero vita tra estate e autunno 1944 in piena occupazione tedesca, rappresentò un esperimento democratico di straordinaria importanza. In proposito, è utile riportare il lucido sintetico giudizio che, a distanza di anni ( nel 1989) ne dette il filologo e critico letterario domese Gianfranco Contini: «La Resistenza Ossolana è stata un movimento di popolo, sia nei momenti della clandestinità, sia in quello palese della collaborazione al Governo provvisorio. La misura della partecipazione pubblica, in cui ognuno ebbe qualcosa da pagare o da perdere (e poi da non reclamare), fu un fatto civile di rara e non abbastanza sottolineata rilevanza».
Marco Travaglini
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