E’ la “seconda sorgente minerale più alta d’Europa”
“Come tante vallate del Piemonte e della Lombardia anche l’Ossola può giustamente oggidì rendersi vantaggiosa per soggiorno estivo colle efficaci sue acque minerali…la sorgente che promette maggior avvenire è quella di Varzo – di più recente scoperta –perché si trova in una località preferibile e più elevata sul livello del mare, nell’alpe di Veglia. Questo si trova all’altezza di 1753 metri, in un bellissimo ed esteso altipiano delle Alpi Lepontine, che decorrono dal Monte Rosa al Gottardo”. Il dottor Costantino Alvazzi Delfrate nel suo “Guida all’acqua minerale della stazione climatica d’altezza di Varzo Veglia nell’Ossola”, pubblicato a Torino da Rosemberg & Sellier nel 1892, decantava così la seconda sorgente minerale più alta d’Europa, dopo quella di Panticosa, nei Pirenei aragonesi, “dove le montagne toccano le nubi”. La sorgente dell’alpe Veglia si trova nell’alveo del Rio Mottiscia dove sgorga tra le acque del torrente. Nel 1875 due alpini di presidio all’Alpe Veglia ( all’epoca, sulle montagne di confine, furono inviate le truppe alpine a difesa di eventuali sconfinamenti stranieri )notarono questa sorgente, dalla quale fuoriusciva acqua lievemente frizzante che colorava di ruggine le rocce circostanti. Quattro anni dopo, le analisi chimiche la definirono “un’ottima acqua minerale acidulo ferruginosa“. Nel 1883, il Comune di Varzo stipulò un accordo per la durata di nove anni, con una ditta di Torino, per l’esclusiva di raccolta, trasporto e commercio dell’acqua di Veglia. L’anno successivo, in occasione dell’Esposizione Generale Nazionaledel 1884 a Torino, l’acqua di Veglia venne premiata con una medaglia d’argento per le sue proprietà tonico ricostituenti, unite alla “grande conservabilità di quell’acqua aggradevole”. I riconoscimenti e la fama conquistata dalla sorgente aumentarono l’affluenza di forestieri verso questa splendida conca alpina e così venne costruito un primo posto di accoglienza e ristoro, il mitico albergo Monte Leone ( che prese il nome della montagna che domina , con i suoi 3.553 metri, l’alpe Veglia)finanziato dai soci del Club Alpino Italiano ed inaugurato il 17 agosto 1884. Bere quest’acqua bicarbonato-calcica-ferruginosa che sgorgava, effervescente e naturale, dalla viva roccia, era diventato il piacere di molti che frequentavano i gruppi di baite dell’alpe (Isola, Ponte, Aione, Cianciavero, La Balma, Cornù). Diverse ditte si dimostrarono interessate al suo sfruttamento tra le quali anche la ditta Branca di Milano, senza tuttavia giungere ad un accordo con i Comuni di Varzo e di Trasquera. Inizialmente l’acqua aveva una portata in uscita di 300 litri ogni ora, ma nel 1907 si ebbe una diminuzione della fuoriuscita a causa delle notevoli dispersioni durante il percorso. Negli stessi anni s’avvio la costruzione di un secondo albergo, il Lepontino, per far fronte alla grande richiesta turistica. Ma l’acqua non venne mai incanalata. Nel 1981, una forte scossa sismica ebbe come epicentro proprio l’area dell’alpe Veglia e causò la scomparsa della fonte. Si rese necessario un successivo sondaggio per ripristinare il punto di deflusso dell’acqua, che tuttavia si trovò spostato poco più in basso rispetto al punto di uscita precedente. Tornando alla vecchia guida del 1872, si informava il lettore che “col riposo l’acqua minerale depone un copioso precipitato giallo-ocracco, che pure deponesi abbondantemente sulla ghiaia del canaletto, ove scorre l’acqua;segno evidente dell’abbondanza di ferro contenuto”, precisando altresì che “in Veglia, per ora, non si paga né diritto d’acqua, né diritto di soggiorno…l’acqua è libera..ma il diritto di esportazione e di commercio è riservato alle due ditte Costanzo e fratelli Passa fino alla fine dell’anno 1892”. Il lungo periodo di innevamento del Veglia ( dove l’inverno “è solo neve e silenzio”), la portata limitata e le difficoltà di trasporto hanno di fatto impedito uno sfruttamento commerciale di questa sorgente di acqua ferruginosa ossolana. Nonostante le buone indicazioni terapeutiche ( “debolezza organica, malattie polmonari, catarro bronchiale cronico, dispepsie, malattie dell’utero, malattie nervose, malattie vescicali, malattie oculari e della pelle”), non se ne fece niente, lasciandola scorrere libera e fresca. E forse è giusto così. Quest’acqua color del ferro che “stimola l’appetito, è diuretica, purifica il corpo e, inoltre, risveglia felicità e allegria”, è di tutti e di tutti deve restare. In fondo, come è stato scritto “contribuisce ad allontanare tristezza, noia e a dimenticare i bui luoghi in cui si vive durante l’anno”. Cosa chiedere di più? Prosit!
Marco Travaglini
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