Sino a domenica all’Alfieri per il cartellone di Torino Spettacoli
Era l’Inghilterra puritana ed estremamente perbenista (dove trovava pur spazio lo scandalo Profumo che faceva cadere un governo) del 1966, quando Charles Dyer scrisse – e Peter Hall mise in scena – Staircase ovvero “Il sottoscala”, commedia agrodolce intorno alla vita di ogni giorno e ai ricordi di una coppia gay, soltanto tre anni dopo divenuta un film interpretato da Rex Harrison e Richard Burton. Charlie e Harry vivono insieme da trent’anni, gestiscono una barbieria che è anche la loro casa, portano avanti gesti affettuosi e piccole attenzioni come pure acidumi repressi e ripicche che feriscono, litigano e si amano come in qualsiasi ménage, il primo come un buon pavone avvolto nel proprio narcisismo da quattro soldi in cui millanta un passato di grande attore e di tournée in giro per i teatri di ogni dove, presto ritiratosi nell’anonimato, con un matrimonio alle spalle e una figlia, “avrà sì e no trentuno, trentadue anni”, mai conosciuta, un processo da affrontare per sospetto di omosessualità e per atti osceni in luogo pubblico, pronto a sfruttare ogni occasione per buttare in faccia al compagno ogni sua debolezza. Harry, la componente femminile della coppia, tutto mossette e passi di danza, un vistoso asciugamano che gli avvolge la testa a nascondere una calvizie sempre più marcata, ha sempre riempito di attenzioni il compagno, curato, sostenuto, accettato. Un trantran “familiare” in cui trovano posto, invisibili, le figure materne, l’una ributtata in una inguardabile casa di riposo (quella di Charlie), l’altra ospite della casa pronta a farsi sentire dal piano di sopra (quella di Harry).
Nel riproporre oggi la commedia (sino a domenica all’Alfieri per il cartellone di Torino Spettacoli) con la regia attenta di Roberto Valerio, mai sbrodolature, mai un qualcosa di troppo o ancor più di banale, Massimo Dapporto, oltre a ricoprire il ruolo di Charlie, nelle vesti di adattatore ha fatto suo il compito, per piccole note, che più spiegano senza mai disturbare, di porre qua e là tra il testo originale qualche accenno di attualità, inserendo con garbo frasi che sentiamo o viviamo oggi quotidianamente ma ieri impensabili; dando pure maggior spessore al quadro di una società (quella dell’autore) che soltanto un anno dopo il debutto della commedia avrebbe cancellato quella legge contro l’omosessualità, il “Buggery act”, che era in vigore dal lontanissimo 1533 e che già aveva tra gli altri colpito persone come Oscar Wilde (si fece due anni a Reading) o Alan Turing, che all’indomani dei suoi studi, determinanti per la sconfitta nazista, fu condannato alla castrazione chimica e preferì togliersi la vita.
Quei due o, si diceva, “Il sottoscala” non è soltanto un testo fatto di parole, di gesti, di comicità, di ricordi, di battibecchi, è un testo di e per attori, due attori di razza, pronti a scendere in campo per far sentire tutta l’autenticità dei loro personaggi, con gli affetti e le carognate gestiti in parti eguali. Dapporto e Tullio Solenghi, che è Harry, si dividono il palcoscenico con una professionalità ed un ventaglio di sfumature invidiabili, si ritagliano situazioni e piccoli spazi senza spintonare uno contro l’altro, danno in maniera perfetta a due persone un’umanità fatta di luci e di ombre. Come è giusto che sia.
Elio Rabbione
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE