Ci lascia Massimo Scaglione, grande regista piemontese

Fondatore del Teatro delle  Dieci, ha sempre difeso il recupero della piemontesità

 

 

Massimo_ScaglioneEra un gran signore, forse erano inusuali per i nostri tempi convulso e disordinato la sua eleganza e la sua squisita gentilezza che mostrava con tutti; era un grande signore del teatro italiano Massimo Scaglione. . Se n’è andato in una giornata di ottobre lasciandoci un grande vuoto. Nato a Garessio nel 1931, approdò alla Rai vincendo un concorso come regista nel 1955, per un posto allora occupato da Aida Grimaldi. Assunto, quindi,  come assistente di studio, iniziò la sua attività artistica in radio. A lui si deve la fondazione di una compagnia teatrale storica torinese, il Teatro delle Dieci, a fianco del quale avrebbe firmato numerose  regie per il palcoscenico. A partire dal ’62 intraprese quindi l’attività di regista televisivo, per poi abbandonare la regia nel 1992. Ampia la filmografia che ci ha lasciato. Solo prima citare alcuni titoli, “Albert Einstein”,  “Il versificatore”,  tratto da Primo Levi, “Una nuvola d’ira”,  da Giovanni Arpino, scrittori da lui molto amati, e “Ancora un giorno” da Joseph Conrad. Non si può assolutamente tralasciare la sua regia della parodia dei Promessi Sposi con il trio Marchesini Lopez – Solenghi.

 

Massimo Scaglione era uomo di teatro a 360 gradi. Amava molto, infatti,  anche l’opera lirica, tanto da  curare, nel 1991,  la regia della prima rappresentazione,  al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania de “Il paese del sorriso”. A lui si deve il grande merito di aver contribuito, con l’inseparabile amico Gipo Farassino,  al recupero della cultura piemontese, il cui amore era capace di trasmettere, in maniera naturale, non solo al suo pubblico sempre affezionato, ma anche agli studenti, che seguivano i suoi corsi universitari al Dams. Più di recente curò la regia dell’Elisir d’amore di Donizetti,  in una versione in lingua piemontese, datata 1859, recuperata e allestita dalla Società Culturale Artisti lirici ” Francesco Tamagno”. Ci lascia molti saggi sulla storia del teatro, in particolare piemontese. Mi piace ricordare la sua cordialità nell’ambiente del Teatro delle Dieci, una rara signorilità,  che si rifletteva anche nel suo stile di scrittura, come nel celebre saggio intitolato ” I divi del ventennio. Per vincere ci vogliono i leoni…”. Quei leoni che nel mondo oggi, tanto artistico quanto politico, troppo spesso mancano perché mancano il coraggio delle proprie idee e la coerenza con se stessi. 

 

Mara Martellotta

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