"Non scrivere di me", scampoli di vita di otto grandi autori

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Sono tutti straordinari, scelti in modo “poetico” (in base all’intensità dell’incontro e ciò che ha rappresentato per lei) e svelati con garbo nel libro che ammalia come un romanzo

 

Essere amica di Philip Roth e l’autrice di 2 splendidi documentari su di lui, dormire a casa della biografa Judith Thurman a New York, incontrare David Foster Wallace in un desolato fast food a 2 ore da Chicago, bere l’aperitivo con Richard Ford, conversare con la scrittrice canadese Mavis Gallant, o ancora, stanare Joseph Mitchell nel suo ufficio al “New Yorker” e James Purdy nel minuscolo apartment di Brooklyn Heights. No, decisamente non sono esperienze che chiunque possa vantare. Lei si. E le condivide con i lettori. Livia Manera Sambuy, giornalista letteraria (firma di punta del “Corriere della sera”), esperta di letteratura anglo-americana, in “Non scrivere di me” (Feltrinelli), racconta 8 grandi autori con cui ha condiviso scampoli di vita. Sono tutti straordinari, scelti in modo “poetico” (in base all’intensità dell’incontro e ciò che ha rappresentato per lei) e svelati con garbo nel libro che ammalia come un romanzo, ma ha il valore aggiunto di farci scoprire certa letteratura americana.

 

Philip Roth.

«Il nostro rapporto si basa sulla curiosità intellettuale, sicuramente sull’eros e una fiducia non espressa che è patto  fortissimo a impegnarsi a non tradire. Sebbene uno scrittore sia traditore per eccellenza: dove trova prende senza chiedertelo».

 

-Ma non le aveva proibito di scrivere di lui?

«Siamo molto legati e non tradirei mai un amico. Gli ho fatto leggere il capitolo che lo riguarda ed è la storia del nostro rapporto personale. Ha accettato tutto, cambiato due parole e commentato “it’s very good”. E’scherzoso, ma se si tratta di scrittura il registro è uno solo, serio e niente battute».

 

-Qualche aneddoto?

«Oggi è un uomo ricchissimo che tutti gli editori vorrebbero accaparrarsi con contratti miliardari; eppure vive in modo particolarmente frugale, spende poco nulla, salvo invitarti in un elegante ristorantino newyorkese. Ha usato tutto quello che possiede per costruirsi intorno la tranquillità per scrivere. Come quando per non essere disturbato dal bambino dei vicini comprò il loro appartamento e gli altri di fianco; anche la casa nel Connecticut è funzionale solo al suo lavoro. Mentre giravamo un documentario si macchiò la camicia di acqua e mi colpì scoprire che aveva ben poco per cambiarsi: il suo intero guardaroba consisteva in 5 camicie e 3 paia di pantaloni».

 

Around writers (o) Scrittori e dintorni. 

– Lezioni di vita che ha appreso da loro?

«Da Mavis Gallant il coraggio di scelte azzardate e indipendenza; Judith Thurman, un certo modo di relazionarsi alla letteratura usando il proprio lato femminile; da D.F.Wallace nulla, se non la terribile frattura che c’è tra una persona molto malata di depressione, com’era lui, e il resto del mondo. Da Richard Ford, l’intensità dell’amicizia; da Paula Fox che la fiducia comprende il tradimento e bisogna accettarlo; Joseph Mitchell, gentilezza, generosità, la capacità di leggere la vita attraverso la letteratura, cosa che lui ha fatto isolandosi. E quasi tutto quello che so me l’ha insegnato Roth».

 

-Il personaggio che più l’ha strappata dal ruolo di osservatrice e risucchiata nel suo mondo?

«Nel libro non c’è, ma è Dave Eggers, catapultato giovanissimo in una fama planetaria con “L’opera struggente di un formidabile genio”; memoir delle sue vicissitudini con il fratellino di 8 anni, dopo la morte dei genitori. Fu difficile ottenere l’intervista e mi concesse solo 5 minuti; poi finimmo per pranzare insieme in un ristorante e parlò a lungo. Era geniale, timidissimo e si fece accompagnare dal regista che voleva trarre un film dal suo libro. Mi ritrovai allo screening dello strepitoso “Prima che sia notte” di Julian Schnabel, che era quasi in ginocchio davanti a Eggers. Situazione bizzarra e molto divertente».

 

-L’autore, anche di altri secoli, che le piacerebbe poter incontrare e per scoprire cosa?

«Flaubert; vivo a Parigi da 6 anni e vorrei capire perché per i francesi è più importante di Proust. Poi Tolstoj, di cui recentemente, al cocktail di un amico pittore, ho conosciuto una discendente. La contessa è una signora anziana elegantissima, vedova di un medico che era l’ultimo nipote dello scrittore; mi ha raccontato anche che a Parigi c’è una società letteraria che si riunisce intorno all’associazione “Jàsnaja Poljàna” per parlare dell’opera tolstoiana».

 

Life with writers (o) Vita con gli scrittori.

«Per evitare delusioni, li incontro senza troppe aspettative. Il segreto è conoscerne l’opera, inizio da com’è nato il libro -curiosità autentica- e li metto a loro agio. Per qualche ragione funziona sempre. Spesso scopro che sono creature davvero meravigliose, con cui trascorro ore non qualsiasi, e a volte entro a far parte del corredo delle loro vite. E’ un gioco di specchi e relazioni».

 

-Che effetto fa essere accolta nelle loro case?

«E’ un privilegio. Come quando mi ha ospitata Judith Thurman.(ndr. autrice di “Isak Dinesen. La vita di Karen Blixen” Feltinelli). E’ stato facilissimo anche perché abbiamo stili di vita simili. Lei scriveva al piano di sopra, io a quello sotto; nelle pause, pranzavamo insieme, parlando tantissimo».

 

-Come ha gestito lo shock, non solo culturale, ogni volta che ha cambiato paese, città, lingua?

«Con la curiosità che mi spinge sempre a cercare altrove e in un ambiente internazionale. A20 anni, sola a New York, all’inizio ero spersa; dopo 3-4 mesi, già integrata. Meno facile ambientarmi a Parigi, a tutt’altra età e scrivendo di letteratura angloamericana; ma ne vale comunque la pena». 

 

Reading suggestions (o) Consigli di lettura.

«Sarebbero tantissimi, ne cito qualcuno alla rinfusa e scusandomi per le omissioni. Di Junot Diaz

“La breve favolosa vita di Oscar Wao”, Aleksandar Hemon “Il progetto Lazarus”, i racconti di John Cheever, Mavis Gallant “Varietà di esilio” e Richard Ford “Sportswriter”».

 

-E il suo prossimo libro?

«Per scaramanzia preferirei non parlarne. Posso solo dire che sarà diverso da questo; una storia complicata con dentro un po’della mia vita, di Francia e India».

 

Laura Goria

 

 

 

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