Delle 2.223 persone a bordo (equipaggio compreso), ne sopravvissero 705; gli altri, in gran parte, persero la vita per assideramento, causato dalla prolungata permanenza nell’acqua a zero gradi. Dalle 02.15 il destino del Titanic prese una piega irreversibile: sommerso per metà dall’acqua, lo scafo si spezzò in due e cinque minuti più tardi s’inabissò anche la poppa
“La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento;e puzza di sudore dal boccaporto,e odore di mare morto…E gira, gira, gira l’elica,e gira, gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”. Così nel 1982, Francesco De Gregori, nel suo ottavo album “Titanic”, parlava della nota nave passeggeri britannica affondata per la collisione con un iceberg per proporre una metafora dell’umanità che, divisa in classi, si dirige verso il disastro. Tutto accadde, nella storia vera e sventurata del Titanic, nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile 1912 , con l’impatto tremendo e il conseguente drammatico affondamento avvenuto nelle prime ore del15 aprile. Una scena apocalittica: l’iceberg come uno spettro bianco nel buio della notte, il violento impatto e l’avanzata incontenibile dell’acqua. Erano le 23.40 e il supertransatlantico, salpato il 10 aprile da Southampton per il suo primo viaggio, si trovava quattrocento miglia a sudest della costa di Cape Race (isola di Terranova, “Newfoundland” in inglese, territorio del Canada). E’ lì che si scontrò con un enorme iceberg: la vedetta Frederick Fleet l’avvistò solo quando era ormai a cinquecento metri di distanza («Iceberg di prua, signore!», gridò), e il primo ufficiale William M.Murdoch ordinò: «Tutto a dritta. Indietro a tutta forza».
Ma era tardi e la repentina virata a sinistra si rivelò inutile. Trentasette secondi dopo l’avvistamento avvenne l’urto a prua, sulla fiancata destra della nave, più di un terzo dei sedici compartimenti stagni rimasero danneggiati, a sei metri di profondità l’acqua incominciò a filtrare nella nave che trasportava oltre duemila passeggeri. In poche ore quello che si credeva un colosso inaffondabile si spaccò in due, inabissandosi per sempre sul fondo dell’oceano. Fu un colpo terribile al mito dell’infallibilità del progresso e s’infranse il sogno della Belle Époque. La costruzione del Titanic rappresentò il guanto di sfida lanciato dalla compagnia navale britannica White Star Line ai rivali della Cunard Line, che in quegli anni dominavano le rotte oceaniche con i transatlantici Lusitania e Mauretania. La nuova nave, completata in tre anni nei cantieri Harland and Wolff di Belfast e costata 7.5 milioni di dollari (equivalenti a 167 milioni di dollari di oggi), si estendeva in lunghezza per 269 m e in larghezza per 28 m, con una stazza complessiva di 46.328 tonnellate. Dotata di un motore a vapore, alimentato da 29 caldaie, venne salutata come un “gioiello di tecnologia e di sicurezza”, al punto da ritenerla “praticamente inaffondabile”. Come viaggio inaugurale venne stabilita la rotta da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown. Preceduto nel nome dalla sigla RMS (che indicava la funzione di servizio postale), il Titanic iniziò il suo viaggio mercoledì 10 aprile 1912. A bordo 1.423 passeggeri più 800 unità di equipaggio agli ordini del capitano Edward John Smith. Le cabine erano divise in tre classi ( come sintetizza bene la canzone di De Gregori). Nella prima, la più lussuosa e il cui biglietto costava 4.350 dollari (83mila dollari di oggi), si accomodarono esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’epoca, come il milionario Jacob Astor IV e l’industriale Benjamin Guggenheim (fratello del titolare dell’omonima fondazione d’arte).
Nella seconda, al prezzo di 60 dollari, presero posto gli appartenenti alla classe media. L’ultima si riempì di emigranti che con un biglietto da 32 dollari andavano incontro a una nuova vita nel continente americano. L’evento, abbastanza clamoroso, venne seguito con interesse dalla stampa e dall’opinione pubblica. Nella fretta di partire nei tempi previsti (sempre una cattiva consigliera, la fretta..) e per alcuni cambi negli ufficiali avvenuti all’ultimo momento, vennero dimenticati i binocoli, costringendo i marinai di vedetta a svolgere a occhio nudo la loro attività. Un elemento che si rivelò fatale nel corso degli eventi. A ciò si unì una smodata frenesia di raggiungere la destinazione nel più breve tempo possibile, che portò a mantenere i motori costantemente al massimo. La velocità non fu ridotta nemmeno dopo la segnalazione fatta pervenire al capitano Smith, nella tarda mattinata di domenica 14 aprile: il messaggio avvertiva della presenza di ghiaccio a 400 km sulla rotta del Titanic. Circa dieci ore più tardi,nel buio fitto di una notte senza luna, le vedette avvistarono l’iceberg quando ormai era di fronte alla nave. Una distanza che, alla velocità di crociera di 20 nodi (circa 37 km/h), impediva qualsiasi tentativo di evitare l’impatto. Alle 00.27, quando si comprese che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. La fase delle operazioni di salvataggio fu drammatica! Le scialuppe a disposizione erano soltanto sedici e ognuna poteva contenere fino a 60 persone. Per inesperienza e cattivo coordinamento tra loro, gli ufficiali ne fecero salire in molti casi un numero inferiore, riducendo ulteriormente la quota di passeggeri destinati a salvarsi.
Delle 2.223 persone a bordo (equipaggio compreso), ne sopravvissero 705; gli altri, in gran parte, persero la vita per assideramento, causato dalla prolungata permanenza nell’acqua a zero gradi. Dalle 02.15 il destino del Titanic prese una piega irreversibile: sommerso per metà dall’acqua, lo scafo si spezzò in due e cinque minuti più tardi s’inabissò anche la poppa. Nei giorni immediatamente successivi la notizia del disastro scioccò il mondo, creando le premesse per una profonda riflessione sull’episodio che portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza delle persone in mare. Le vittime italiane accertate furono 34, in gran parte camerieri residenti in Inghilterra. Il 10 giugno 2001, una domenica, ad Isernia, in Molise, morì Antonio Martinelli. Aveva ottantanove anni ed era ritenuto l’ultimo sopravvissuto del disastro del Titanic. Nato a Boston agli inizi del 1912, ancora in fasce era stato portato in Italia, a Sesto Campano, dalla madre la quale aveva poi deciso di tornare negli Stati Uniti. Il nipote Alessandro raccontò: “Lui parlava volentieri della tragedia del Titanic, raccontava spesso di quella notte della quale aveva saputo tutto, nei minimi dettagli, grazie ai racconti della madre, scomparsa nel 1972, con la quale viaggiava e che riuscì a salvarsi con il suo piccolo Tony. Io e mia madre ci siamo salvati – ripeteva sempre – perché gli ufficiali ordinarono di far salire sulle scialuppe di salvataggio prima le madri con i bambini più piccoli”. Così, l’ultima voce si spense e a “parlare” sono rimaste le migliaia di oggetti: piatti, vasellame, documenti, vestiti ma anche pezzi del leggendario transatlantico, compresa la campana della nave. Ma il Titanic non sarà mai recuperabile. Si consumerà, a poco a poco, nel silenzio dell’oceano.
Marco Travaglini
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