Intervista / Coach PersonAtelier Daniela Prandi
Seconda puntata del nostro viaggio nell’universo di “PersonAtelier” che, con un ciclo di seminari e workshop -tenuti da esperte di coaching, immagine e creatrici di moda e bijoux- aiuta le donne torinesi a rinnovare look e atteggiamento. Oggi incontriamo l’ideatrice del progetto: la psicologa, coach e consulente in ambito risorse umane, Daniela Prandi.
-Quanto è fondamentale l’apporto di un coach per chi insegue un cambiamento?
«Direi che è il suo habitat, perché è proprio nella professionalità del coach lavorare su questo, su cosa manca per transitare da una situazione così com’è e traghettarla verso una dimensione futura».
-Come è nata l’idea di abbinare il coaching allo stile?
«E’ la sintesi del mio percorso professionale. Da 15 anni mi occupo del cambiamento, con strumenti differenti. Ho iniziato come psicologa, poi consulente di carriera e ho lavorato sull’orientamento e bilancio di competenze. Sono fermamente convinta che per realizzare un cambiamento, la sinergia tra dentro e fuori sia la formula vincente».
-Idea assolutamente nuova?
«Nella psicologia della moda e nella consulenza di immagine si è visto e fatto già molto; di diverso e personale, nella nostra proposta, c’è l’affiancare punti di vista e professionalità differenti. Si lavora a 360°; partendo dalla rappresentazione mentale, dalla percezione che si ha di se stesse, poi si veicola all’esterno».
-Quanto è importante la collaborazione con la consulente d’immagine?
«Direi fondamentale, proprio per lavorare su più piani. Ho pensato a Giuseppina Sansone perché ha un approccio “psico”; sa parlare di cose profonde in maniera simpatica, leggera ed accessibile».
-E le altre anime dell’iniziativa?
«Sono fondamentali per la parte concreta del progetto. Mi piace la filosofia dietro le creazioni di Elena Pignata e dell’Augelli; tutte insieme aiutiamo le donne a costruire la loro immagine, partendo dalle rappresentazioni interne per arrivare a ciò che vogliono mostrare agli altri, e sperimentare in atelier è una parte molto importante».
-Qual è la tipologia di donne che si rivolge a te?
«Soprattutto quelle in fase di ridefinizione della loro identità o libere professioniste con più ruoli che vogliono trovare un’integrazione tra le diverse sfaccettature, per arrivare ad una personale sintesi. Poi persone che hanno perso il lavoro e devono reinserirsi con un diverso ruolo; o ancora donne che da tempo si sono dedicate alla famiglia e desiderano un cambiamento, non necessariamente legato al mondo del lavoro».
-Si può affermare che l’autostima ti fa più bella?
«E’ un buon punto di partenza. Nell’ottica del miglioramento c’è la possibilità di vedersi di una bellezza diversa, anche grazie alla consulenza di un professionista. La percezione che si ha di se stesse può migliorare ascoltando nuovi punti di vista, così da riuscire a valorizzare ancora di più le proprie risorse, ed esistono tecniche e metodi precisi. Poi è importante anche il contributo tecnico di chi crea abiti e accessori, si occupa di make up e hairstyling. Interiorità ed esterno non sono in contrapposizione; ed è strategica la sinergia tra le due facce della stessa medaglia».
-Le maggiori difficoltà sulla strada del cambiamento?
«L’ostacolo da abbattere più comune è la difficoltà di modificare quello sguardo e quel linguaggio che parla con i “se”, piuttosto che con i “nonostante”. Spesso mi sento dire “cambierei se ci fosse questa o quell’altra condizione”; io rispondo con una sorta di provocazione e chiedo di sostituire al “se” la parola “nonostante” e vedere se succede qualcosa di diverso. Occorre modificare quel modo di vedersi che sottolinea prevalentemente ciò che non si ha e che ci manca, e considerare, invece quanto si ha già e puntare sul positivo».
-Ma fino a che punto e a che età è possibile cambiare?
«Non c’è un limite, perché ognuno ha un potenziale di cambiamento lungo tutto l’arco della sua vita. Piuttosto, accade che non tutti abbiano voglia di attivarlo; ma questa porta è sempre aperta. Mi affascina proprio cercare di capire come trovare una motivazione, una leva, che faccia scattare quel potenziale».
-Gli aspetti più difficili del tuo lavoro?
«Gestire proprio le fasi dello stallo; perché ci sono delle resistenze che sono anche energie utili, ma è complicato riorientarle ai fini di un cambiamento positivo».
-E la soddisfazione più grande?
«Assistere ai cambiamenti delle persone che accompagno nel percorso di coaching. Per esempio, lavorare per fare ottenere una promozione, che poi arriva».
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Laura Goria
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