Tra due candidati fasulli, l’unico “quasi torinese” è stato Giuliano Amato, a meno che nella riffa si voglia anche mettere quel Gustavo Zagrebelski, presidente emerito della Consulta, piazzato nella rosa grillina ma anche lì trombato
“Sono l’uomo più semplice che c’è, sono l’uomo giusto per te”, così canta Vasco Blasco e, almeno per la seconda parte della frase, a questa filosofia si è ispirato Mario Turetta, neo-direttore della Reggia di Venaria, replicando alle contestazioni di chi avrebbe preferito scegliere il successore di Vanelli con un bando pubblico. Ma come, avrà pensato l’ex-portaborse di Giuliano Urbani, persino i parlamentari sono nominati e proprio io devo affrontare i rischi di una gara? “Le persone come me vengono chiamate”, ha detto.
Esatto: molti sono i chiamati ma pochi gli eletti, come predicava già un paio di millenni fa un Profeta allora messo in croce, ma che oggi sembra suggerire molte scelte di questo paese, a cominciare dalla vulgata renzian-berlusconiana che ha dato forma alla nuova legge elettorale, l’Italicum. Insomma, si sono detti i due grandi leader: Alfano vuole le preferenze, la minoranza Pd pure, insieme a tutta l’intellighènzia nostrana, allora diamogliele ‘ste benedette preferenze, basta che non contino nulla. Spieghiamoci: tutti potranno votare il candidato preferito, anzi addirittura due, purchè di sesso diverso (con la confusione che c’è sotto il cielo di Giove, già sarà un bel problema…), però la precedenza per il seggio l’avrà il capolista indicato dai vertici di partito. Questo fatto, abbinato alla divisione del territorio in cento collegi, farà si che, quasi matematicamente, i partiti di opposizione non avranno neppure un candidato eletto, ma solo “nominati”.
Per tornare a Venaria dove, a sentire le dichiarazioni del neo-direttore, sembra finalmente tornato a esserci almeno qualcuno con consapevolezza regale, la novità è rappresentata anche da un consiglio di amministrazione “formato gineceo”: cinque donne su cinque, guidate dalla presidentessa Paola Zini. E non c’è stato uno che abbia invocato le quote azzurre, forse perché – si è pensato – con l’auto-considerazione che ha di sé Turetta, come uomo basta e avanza.
O forse perché i maschietti di casa erano impegnati in ben altra tenzone, ovvero le “corse al Quirinale” che hanno visto tornare azzoppati alle scuderie tutti i destrieri piemontesi. Considerato l’esito finale – con Renzi che ha puntato subito su un nome secco, Mattarella – vien da pensare che l’astuto premier abbia usato il nome di Fassino, ex-segretario Ds, solo per stoppare un nome sgradito come Veltroni, che anche lui ha nel suo palmares la segreteria del partitone. Invece, per Chiampa potrebbe essersi trattato di una bufala politico-giornalistica, avviata da qualcuno che, improvvisamente, si è ricordato che due anni fa i renziani avevano dato nel segreto dell’urna qualche innocuo voto a Chiampa (mentre cucinavano Prodi a fuoco lento). Poi il nostro governatore avrebbe alimentato la faccenda con vezzosa leggiadria (“Ho tante cose da fare, ma certo mi fa piacere che se ne parli”) e il gioco è fatto.
Tra due candidati fasulli, l’unico “quasi torinese” è stato Giuliano Amato, a meno che nella riffa si voglia anche mettere quel Gustavo Zagrebelski, presidente emerito della Consulta, piazzato nella rosa grillina ma anche lì trombato. Giunto solo quinto nelle “quirinarie”, nonostante il suo passato giacobino, non è sembrato abbastanza giustizialista per Casaleggio & C, che gli hanno preferito l’ex-magistrato Ferdinando Imposimato. E alla fine a Montecitorio il piemontese più votato è stato Ezio Greggio, da Gaglianico (Biella).
Ghinotto
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