Visioni al femminile a Palazzo Madama

La location nella Corte Medievale è unica. L’allestimento pure. Il senso simbolico della mostra è già all’entrata: nella foto di gruppo di queste 11 formidabili donne e nei pannelli che introducono i lavori di ognuna, in cui sono ritratti solo i loro occhi, e capite subito che vi attende il loro impareggiabile sguardo sulla vita

 

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Il mondo visto e raccontato da 11 grandi fotografe del National Geographic. E’ “Women of vision”, 99 scatti al femminile e i reportage più emblematici degli ultimi anni, in mostra a Palazzo Madama, da oggi all’11 gennaio 2015, grazie alla prestigiosa partnership tra Fondazione Torino Musei e National Geographic Italia.

 

La location nella Corte Medievale è unica. L’allestimento pure. Il senso simbolico della mostra è già all’entrata: nella foto di gruppo di queste 11 formidabili donne e nei pannelli che introducono i lavori di ognuna, in cui sono ritratti solo i loro occhi, e capite subito che vi attende il loro impareggiabile sguardo sulla vita. Intelligenza, sensibilità e cuore stanno dietro ai loro obiettivi puntati ad ogni latitudine per descrivere  popoli, tradizioni, guerre e natura ai 4 angoli del mondo. Ma con una marcia in più, perché ci sono storie che solo le donne possono raccontare: le loro macchine fotografiche sono le uniche ammesse nei privatissimi mondi femminili di alcune culture (off  limits invece per i colleghi reporter). L’ha capito benissimo (anche se all’inizio le fotografe non hanno avuto vita facile) il National Geographic; l’organizzazione scientifico-pedagogica che da 125 anni mette a fuoco i grandi cambiamenti e le sorti del pianeta, diventata un grande canale mondiale di comunicazione, capace di raggiungere  450 milioni di  persone (attraverso riviste, televisione, documentari, radio, libri, ecc.) e finanziatrice di oltre 10mila ricerche scientifiche.

 

“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento….e si fanno, non solo con la macchina fotografica, ma soprattutto con gli occhi, il cuore e la testa” . Lo diceva il grande Henri Cartier-Bresson ed è esattamente ciò che hanno realizzato queste 11 donne. 

 

-Amy Toensing, vedere col cuore. Collabora col National  Geographic da 15 anni ma è affezionata soprattutto al suo primo reportage da Monhegan Island: piccola comunità di pittori e pescatori di aragoste, al largo della costa del Maine, di cui ha saputo cogliere lo spirito e svelare le consuetudini. Da allora ha attraversato il mondo, dall’Australia alla Papuasia, dalla Nuova Guinea al New Jersey, sempre con il suo infallibile metodo: prima legge e si documenta, poi trascorre del tempo con le persone che immortala, è così che ne afferra l’essenza.

 

-Stephanie Sinclair, testimoniare tematiche controverse: dalle spose bambine Yemenite alla poligamia in Texas, ad altri temi legati ai diritti umani. Laureata in giornalismo è stata fotografa free lance nelle zone turbolente del Medio Oriente e ha documentato la guerra irachena. Il suo principio base è: registrare ciò che vede, ma giudicare il meno possibile. Eppure, di fronte all’immagine della bimba di 6 anni sposata ad un uomo di 25, proiettata nel 2012 su mega-schermo a Times Square (per la Giornata mondiale della bambina, istituita dalle Nazioni Unite) qualche sanzione a noi viene in mente.

 

-Diana Cook, illuminare un paesaggio. E’quello che fa da anni, in tutto il mondo, insieme al marito  fotografo. Che siano rigogliosi giardini in cima ai grattacieli di New York e Chicago, o una grotta e un arcobaleno alle Haway, preferisce questi soggetti agli uomini; ma in fondo ne racconta ugualmente (e indirettamente) habitat e vita, basti guardare le barriere sulla spiaggia di Tijuana al confine messicano.

 

-Maggie Steber, la passione per la vita. Fotogiornalista di fama mondiale ha immortalato i travagli di Haiti, fin dal suo primo scatto nel 1985; da allora è sempre stata cronista fedele di rivolte sociali e disastri  naturali (compreso il devastante terremoto del 2010). In tanto orrore lei sa cogliere anche sprazzi di autentica bellezza dell’isola e della sua gente. Negli ultimi anni la tragedia della madre colpita dall’Alzeheimer l’ha portata a focalizzare l’attenzione sul senso della memoria e lascia senza parole l’immagine emblematica di una sezione di cervello letteralmente mangiato dal morbo.

 

-Jodi Cobb, abbracciare la bellezza. E’ una delle 4donne entrate nello staff del National Geographic, e il suo lavoro è leggenda: dalle prime foto ai concerti hippie dei suoi amici, poi diventati famosi e nientemeno che Springstein, Crosby, Stills e Nash. Decisa a fare tutto quello che facevano i colleghi maschi, nel 1980 fu tra i primi occidentali a varcare i confini della Cina, dopo la rivoluzione del 1949. Poi tanti  reportage per documentare il mondo delle geishe o il traffico di esseri umani, sempre inseguendo immagini che parlassero alla gente.

 

-Erika Larsen, trovare il momento umano. E’ la sua cifra stilistica: ha iniziato con le immagini intime dei suoi familiari, poi è entrata nelle case di chi affronta cancro e suicidio. E’famosa per aver documentato la vita del popolo Sami, gli allevatori di renne nell’impervio nord scandinavo e russo. Ha imparato la loro lingua e fatto la governante in una famiglia per 2 anni: una full immersion che le ha permesso di capire cosa rende unico questo popolo.

 

-Beverly Joubert, catturare il lato selvaggio della savana e mettere la salvaguardia della natura alla base di ogni foto. Leoni, leopardi, elefanti e altre specie animali a rischio di estinzione sono i protagonisti del lavoro fatto col marito, in Botswana, dove ha vissuto 30 anni. Insieme hanno prodotto 22 film, dozzine di libri e numerosi articoli per il National: un’imponente mole di lavoro per sensibilizzare chi di dovere e contribuire a ricreare zone di  wilderness.

 

-Lynn Johnson, ispirare il cambiamento. Foto che spingano ad agire e migliorare le cose. Straordinari i suoi reportage dall’infernale mondo dei svantaggiati: che sia per l’aviaria, il vaiolo contratto dalle scimmie o gli abusi sessuali subiti, lei da un trentennio dà volto e voce alle sofferenze. Quando ha iniziato, a metà anni 70, le donne fotografe erano mosche bianche e la strada tutta in salita. Ma ha dimostrato la sua tempra, si è specializzata nella fotografia documentaristica e le sue immagini compaiono sulle riviste più importanti del mondo.

 

-Lynsey Addario, sulla linea del fronte; come fotografa di guerra in Medio Oriente e Africa, con un occhio particolare ai civili “dilaniati”, in particolare le donne. Per qualcuno “una pazza furiosa” che non teme nulla: è stata rapita due volte (l’ultima nel 2011), tenuta in ostaggio dalle truppe di Gheddafi e la morte l’ha vista in faccia. Ma è in simbiosi col suo lavoro e neanche la recente maternità riesce a tenerla lontana dalla prima linea.

 

-Carolyn Drake, la sfida alle etichette e un altro punto di vista sul mondo. A Istanbul e nell’Asia Centrale ha trascorso 6 anni per documentare trasformazioni fisiche e sociali dell’area intorno ai  due fiumi che simboleggiano il paradiso nella tradizione islamica. In Cina ha fotografato il popolo Uiguro dei villaggi agricoli (al limite del deserto del Taklamakan) il cui stile di vita sta rapidamente cambiando sotto il pugno di ferro militare-economico del governo centrale. Cerimonie, credenze sciamaniche e culti di spiriti invisibili sono al centro delle sue immagini più famose e premiate.

 

-Kitra Cahana, immaginando il futuro e puntando sul senso di responsabilità sociale. Nata a Miami, cresciuta tra Svezia e Canada, vissuta in Italia e Israele, è cittadina del mondo, sempre pronta a nuove sfide con zaino in spalla. E’ fotografa di documentari e artista multimediale con una passione per esperienze nuove, il mondo degli adolescenti, ma anche i riti di guarigione e purificazione venezuelani che è riuscita ad immortalare in foto uniche.

 

Laura Goria

 

 

 

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