INCHIESTA
IL FUTURO DELLA CULTURA A TORINO / 2
Quel tipo di “compromesso storico”, la “concordia istituzionale” da metà Anni ’90, ha prodotto costosissimi strumenti del consenso oggi divenuti parzialmente ingestibili, e privilegi ingiustificabili. Dubito che i creatori di questo tipo di situazioni siano nelle condizioni politiche e culturali e psicologiche e comportamentali per trovare reali soluzioni, che presupporrebbero alcune scelte anche radicali
Enzo Biffi Gentili canta fuori dal coro nel mondo della cultura. Fu socialista di quelli veri e seri, vicesindaco di Torino, e da decenni si occupa di mostre e iniziative culturali di livello. Dal 2000 è l’anima del Miaoo, il Museo Internazionale delle Arti Applicate, in via Maria Vittoria 5, nel complesso monumentale di San Filippo Neri. Il “Torinese” lo ha intervistato dopo aver pubblicato la chiacchierata con Alberto Vanelli, tra gli artefici della storia di successo della Venaria Reale, nell’ambito dell’inchiesta sul futuro della cultura e del turismo nella nostra città e in Piemonte.
– Dottor Biffi Gentili, a gestire la cultura torinese sono sempre i soliti nomi. Condivide l’idea di Vanelli di formare una nuova classe dirigente della cultura in città?
– Figuriamoci se non la condivido, non avendo mai fatto parte se non lateralissima negli ultimi trent’anni, a differenza di Vanelli, della classe dirigente della cultura cittadina. Ma vorrei un po’ estendere la riflessione su una necessità del rinnovamento di classe dirigente in generale. I nostri cugini transalpini hanno usato la locuzione “exception culturelle française” per marcare una loro differenza, in positivo, dagli altri stati dell’Unione Europea ; io sostengo che anche per noi si debba parlare di “exception culturelle”, evidentemente “piémontaise”, che ci differenza dalle altre regioni e dalle altre grandi città italiane. Le nostre sono infatti le sole realtà guidate da un Presidente e da un Sindaco nati negli anni ’40, provenienti dal PCI, già politicamente attivi negli anni ’70 del secolo scorso, e che hanno iniziato a interessarsi di politica intorno al 1968, lo stesso anno nel quale suppergiù nascevano, tanto per fare un paio di esempi, Zaia Presidente del Veneto, Bonacina Presidente dell’Emilia Romagna, De Magistris Sindaco di Napoli… Il che non vorrebbe ancora dir nulla: dato che anch’io appartengo a quello generazione politica, come per altro lo stesso Vanelli, non credo che il giudizio su una classe politica sia solamente una questione anagrafica od ormonale… Il fatto è che questi personaggi, come si suo dire, nel bene e nel male hanno già dato, hanno già esercitato importanti ruoli in anni apparentemente migliori, e non penso che da qualche tempo abbiano più gran che da dire. Insomma, sono in disaccordo con Vanelli quando pochi giorni fa vi ha dichiarato che il ciclo politico-amministrativo avviato negli anni 90 “rischia nei prossimi anni di veder lentamente esaurire la spinta propulsiva e innovativa che la accompagnava”. Perché quella spinta, se c’è stata, è già esaurita, e non lo sostengo solo io, lo hanno dichiarato “compagni di strada” di Chiamparino come il professor Giuseppe Berta, che è stato anche vicepresidente di Torino Internazionale (cito dal suo articolo La fine di un ciclo politico, in “La Stampa” 9 aprile 2009): “Questa spinta, assai robusta in passato, si è attenuata visibilmente negli ultimi tempi. Al punto che potremmo indicare il suo termine nel 2008“. Ma, si noti, Berta non imputa quella fine alla più generale crisi economica, alla grande recessione iniziata nel 2007 e in quel 2008 esplosa, tiene a precisare che, certo, crisi globale ha pesato su un’area metropolitana come quella di Torino, ma che, testualmente “quel ciclo amministrativo stava esaurendosi per conto suo, indipendentemente dalla crisi”. E Chiamparino resta Sindaco sino al 2011, quando gli da il cambio Fassino, poi dal 2014 diviene Presidente del Piemonte. Nel frattempo, tra il 2012 e il 2014 diventa Presidente della Compagnia di San Paolo, fatto non irrilevante… Perché trovo assurdo quando si discute di cultura prendersela soltanto con i politici e le amministrazioni pubbliche dimenticando le Fondazioni, che meriterebbero -è un chiaro invito- molto maggiori attenzioni…
–Dov’è oggi il dibattito culturale? Esiste ancora in città e chi lo coltiva a Torino?
-Secondo me un vero dibattito culturale non c’è. C’è un po’ di discussione sindacale sui contributi, sui licenziamenti… E c’è o l’irrilevanza o l’assenza di quello che si chiamava il “ceto intellettuale”, poco propenso per convenienza ad apparire conflittuale. Voi stessi, introducendo l’intervista a Vanelli, sembrava rimpiangeste , ricito testualmente, una “straordinaria stagione di concordia istituzionale tra i governi nazionale, regionale e municipale che, se pur di colore politico differente , hanno collaborato per raggiungere obbiettivi comuni”. Sul piano teorico, nulla di dire. Sul piano pratico, molto. Quel tipo di “compromesso storico” ha prodotto costosissimi fabbriconi del consenso oggi divenuti parzialmente ingestibili, e privilegi ingiustificabili. Dubito che i creatori di questo tipo di situazioni siano nelle condizioni politiche e culturali e psicologiche e comportamentali per trovare reali soluzioni, che presupporrebbero alcune scelte anche radicali. Insomma, per usare il titolo di un recentissimo vero pubblico dibattito, che non si vedeva tanto tempo, si può anche parlare di “cultura tradita”. Ma era un dibattito al quale non partecipavano rappresentanti ufficiali o inequivocabili del PD o di FI, che dell’attuale situazione sono responsabili un po’ in compartecipazione… Perché le piccole polemiche che ogni tanto emergono sulla cultura di sinistra e sulla cultura di destra sono risibili… Lo aveva capito da tempo un notevole filosofo torinese come lo scomparso Costanzo Preve, denunciando la fine, o meglio la pretestuosità, di quella che lui chiamava “la dicotomia destra-sinistra”. Anzi, vi dico più. Secondo le idee ricevute, sarebbe quella di sinistra la cultura dominante soprattutto a Torino: per certi versi è ancor vero, ma anche quella in fondo è una cultura tradita… Non solo per paradosso, io sostengo che un vero vincitore culturale in Piemonte e a Torino è Berlusconi…Senza di lui sarebbe stato impensabile pensare che al vertice di importanti istituzioni culturali dovessero andare personaggi provenienti dalla televisione: Minoli a Rivoli, Braccialarghe all’Assessorato alla Cultura del Comune, Milella al Salone del Libro… con quali risultati poi abbiamo visto e vedremo. La grandezza di un orizzonte culturale che coincide con il piccolo schermo… (oltre al resto il pubblico televisivo è un pubblico in invecchiamento…). Oppure l’apologia dello “sbigliettamento” , sino ai dati quasi sempre e dappertutto gonfiati, o dopati dalle truppe cammellate delle scuole e dei pullmann dei pensionati… E infine, le scelte “sicure”, per cui secondo Fassino e i Comune di Torino gli avanguardisti sono gli impressionisti, e Artissima è bellissima, nella complessiva sensazione di vivere ormai solo tra madame attempate e ritoccate molto attente al mercato, in senso lato, e così i poveri pagano il divertimento dei ricchi. A me, alcuni di questi ex PCI non paiono dei convertiti, ma dei rinnegati.
– A Torino i fruitori del consumo culturale ci sono, ma dal punto di vista della produzione importiamo tutto da fuori e valorizziamo poco le nostre capacità produttive : per usare una locuzione che lei ha inventato e Vanelli ha ripreso “c’è una cultura sommersa poco conosciuta e poco valorizzata”
È evidente: la città produttiva per eccellenza è diventata una piazza distributiva e commerciale, sovente minore, dal punto di vista culturale. Ma guardate le mostre allestite in occasione di una di quelle Esposizioni che hanno costruito il mito della modernità: Torino si presenta al mondo con Modigliani, Monet, Tamara de Lempicka, Raffaello…ma in che cazzo di anno siamo? Mentre a Milano si fanno l’Arte e il Cibo, e la Grande Madre Femmina: le Figure eterne, piaccia o non piaccia, dell’Identità Italiana (e a me non è che piaccia sempre molto questo passaggio dal popolo dei santi eroi navigatori a quello dei cuochi sarti camerieri…) Sono contento che Vanelli abbia riesumato le “culture sommerse” torinesi, che furono oggetto di un duro scontro culturale tra socialisti e comunisti torinesi all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. E mi fa piacere che molte di quelle tesi siano poi passate, anche troppo: penso alla necessità che sostenni allora di investire sull’Arte Povera… Ma si dimentica che un capitolo di quel documento che contribuii a elaborare, e il cui titolo completo era Recuperiamo le culture sommerse di Torino indicava nel rapporto tra progetto e conflitto -non consenso quindi- uno dei caratteri di una nuova politica culturale. Aggiorniamo il discorso: il sintomo peggiore della crisi culturale attuale, prima della mancanza di fondi, è la mancanza di una cultura di opposizione. Di nuovo, non lo affermo solo io, ma un altro rivoluzionario del tipo di Giuseppe Berta, Luca Ricolfi… E manca una cultura del progetto, capace di atti di indirizzo, di scelte: è per questo che, come del resto sostenete voi, c’è la tendenza a far sopravvivere a stento mille strutture culturali, a farle agonizzare… Ma credo sia il momento di una “resa dei conti”: e a esempio e per fortuna alcuni nuovi oppositori come la Chiara Appendino nel Consiglio Comunale di Torino conti li sanno fare, anche per mestiere… Ci sarebbe bisogno pure di un’opposizione di destra, anche se oggi Renzi rischia di coprire questo spazio, come del resto ieri Chiamparino, tant’è che un berlusconiano dichiarato come il critico d’arte Luca Beatrice dichiarò a “la Repubblica” l’11 maggio 2014: “darò il voto a Chiamparino come presidente, l’unico amministratore serio in grado di contrastare l’ondata crescente di grillismo”.
Memorabile.
Lei è’ fondatore del MIAAO che cerca di valorizzare a livello internazionale la creatività metropolitana È’ sempre convinto che vi siano tanti brillanti giovani creativi che andrebbero ben diversamente valorizzati?
Il mio lavoro di oltre un ventennio in favore della figura dell’ artigiano metropo-.litano, e più in generale di “promotore di sottoculture”, condotto in molti casi in un regime -obbligato- di volontariato, ha più senso oggi di ieri, proprio grazie alla crisi. Son qui che aspetto, sempre pronto a valorizzare nuovi giovani creativi (ma anche in questo settore vorrei vedere, consentitemi la battuta di alleggerimento finale, più paracadutisti e meno paraculi…).
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