Flop Musei civici. Quando dal male può nascere un bene

L’OPINIONE di Enzo Biffi Gentili

 

Il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili

 

Dal male può nascere un bene (copyright Paolo di Tarso). Vien così da commentare la precipitazione dei numeri dei visitatori dei musei civici torinesi: 200.000 in meno tra 2016 e 2017. Ma attenzione: non è vero che il bene per i musei sia esclusivamente rappresentato dallo sbigliettamento, e che le arti siano da considerare solo come strumenti di consenso. Eppure a Torino da troppo tempo si pensa che la cultura debba produrre affollati eventi, graditi ai “clienti”, con qualche eccezione: è il caso di Remo Bassetti con il suo libro Contro il target (Bollati Boringhieri, 2008). Dove l’autore afferma che il target aziendale -anche quello della politica locale e culturale- “si propone di offrire ai consumatori non tanto ciò che essi desiderano ma ciò che essi sono”. Quindi “si costruisce un pubblico su misura che riconferma nelle opinioni che già possiede”. Anche il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili: quindi si capisce la svolta grillina, e l’attuale, impopolare, politica della lesina. Ma non basta. Si invoca da più parti anche un progetto, e solo qualche timido tentativo si intravvede… Per quanto riguarda la GAM è importante il lavoro sulla storia e sulla memoria di quell’edificio compiuto da una ricercatrice eccellente, Giorgina Bertolino; per quanto concerne altri spazi come Palazzo Barolo è stata notevole la mostra Fuoriserie, dedicata a pratiche artistiche borderline, produttrici di disagio e dissenso, non appartenenti all’ufficialità del sistema. Tuttavia l’esposizione è durata solo poco più di un mese, e nonostante che una delle due brave curatrici, Tea Taramino, lavori per il Comune di Torino, non è stato fatto un adeguato lavoro di comunicazione. Per il futuro in questa direzione di lavoro, da perseguire, ci si ricordi di coinvolgere figure eclettiche come quella Alfredo Accatino, autore di grandi eventi internazionali e di programmi televisivi, esperto di culture giovanili, di tutela delle professioni creative e, last but not least, di artisti non conformi. Si tratterà pure di temi di nicchia -di “micchia” direbbero ex sinistri citando Checco Zalone- ma coerenti con un’ immagine storica di città laboratorio che va rilanciata, nella penuria. Al contrario, altre recenti mostre alla GAM, come L’emozione dei COLORI nell’arte, che sin dal titolo e per la notorietà degli invitati destano il sospetto di un tentativo furbesco di “piccionare” un tipo di visitatore più tradizionale, non solo non hanno ammortizzato la caduta in picchiata del pubblico, ma non hanno dimostrato sufficiente scientificità. Insomma, occorre che Appendino e Leon si dimostrino “donne di conseguenza” e non provino anche loro a sbigliettare. Perché, come dice un vecchio proverbio, profano, è dal falso bene -il botteghino- che viene il vero male.

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