Cent’anni fa, il 22 novembre 1916, Jack London moriva nel suo “Beauty Ranch” di Glen Ellen nella Sonoma Valley , a poco più di un’ora da San Francisco dov’era nato quarant’anni prima. L’autore di “Zanna Bianca”, “Il richiamo della foresta”, “Martin Eden” e “Il tallone di ferro” , conosciuto come una tra le più singolari e romanzesche figure della letteratura americana, bruciò in fretta una vita avventurosa. Figlio illegittimo di un astrologo ambulante , cresciuto dalla madre e dal suo secondo marito John London, abbandonò la scuola a 13 anni , crescendo tra Oakland e San Francisco e guadagnandosi da vivere in tanti modi, non sempre legali. La lista è davvero lunga: strillone di giornali, pescatore clandestino di ostriche, lavandaio, agente di assicurazioni, coltivatore, cercatore d’oro nel Klondike, corrispondente nella guerra russo-giapponese e ,infine, lo scrittore e fotografo. Jack London – avventuriero, viaggiatore, artista – è stato un’ innovatore e anche un’ attivista dei diritti civili e sociali. Nella sua breve e intensa vita ha scritto cinquanta libri oltre a centinaia di saggi, tradotti in tutto il mondo. Un’irrefrenabile voglia di vivere , uno spirito rivoluzionario, di cui un libro che porta la sua firma – appena pubblicato da Chiarelettere, “Il senso della vita (secondo me)” – offre una testimonianza importante e appassionata. Come sottolineano i curatori del libro, ci sono almeno tre buoni motivi per leggerlo: innanzitutto perché, a cento anni dalla morte “ il suo vitalismo incontenibile rimane un monito a non darsi mai per vinti o sconfitti”. Perché London ha riversato in questi scritti “la critica instancabile a un sistema sociale che privilegia la competizione e il successo rendendo sempre più cupa, monotona e triste la vita”. E, infine, perché “la grinta, il talento, la passione di queste pagine sono una via di fuga dalla nostra solitudine digitale”. Jack London è stato davvero un uomo venuto dal futuro, capace di leggere la storia del suo tempo e di pensare “oltre”. Nell’introduzione del libro, Mario Maffi – che insegna cultura angloamericana presso l’Università degli Studi di Milano – scrive che “non si possono leggere La strada, Martin Eden, Il tallone di ferro e in particolare le pagine che seguono senza essere spinti a guardare fuori della finestra, a osservare quanto succede giù in strada, a interrogarsi senza remore sulla realtà che ci sta intorno, a sentirne e condividerne il pulsare continuo e vitale”. E invita a farlo “ non con distaccata freddezza o – peggio – con cinica disillusione, bensì con la passione che ha sempre guidato la penna di Jack London”. Un’osservazione che trova conferma sia nelle pagine de “Il senso della vita”, sia nella pièce teatrale dedicata a London dall’attore Marco Paolini che, con il suo “Ballata di uomini e cani” , ha portato in scena con grande successo in questi ultimi anni alcuni racconti brevi del grande narratore americano sul rapporto uomo-natura.
Marco Travaglini