Nell’appartamento di Baveno di Albertino Tridenti, in via Bertarello, le stanze erano tappezzate di foto, poster e ritagli di giornale dedicati a Lugosi, Boris Karloff l’indimenticabile “Frankenstein” del grande schermo
Albertino Tridenti, detto “Ràtt Vùlu”, era un “fan” di Bela Lugosi, l’attore ungherese che nel 1931 aveva prestato il suo volto al Conte Dracula.Nel suo appartamento di Baveno, in via Bertarello, le stanze erano tappezzate di foto, poster e ritagli di giornale dedicati a Lugosi, Boris Karloff ( l’indimenticabile “Frankenstein” del grande schermo), Christopher Lee, Vincent Price e Peter Cushing. L’horror era il suo pane e non perdeva un film alla Tv quando di scena erano i suoi beniamini. Li aveva scoperti al “cine”, frequentando assiduamente la sala cinematografica bavenese, nei locali vicino alla Stazione, fin quando non abbassò definitivamente la saracinesca. Il suo “sogno nel cassetto”? Aver potuto, in altra epoca, incontrare lo scrittore irlandese Bram Stoker, il “papà” del più noto “succhiasangue” della Transilvania: l’avrebbe bombardato di domande sui vampiri, sul professor Van Helsing e gli avrebbe certamente estorto almeno un autografo. Era talmente “fissato” che di giorno usciva raramente di casa e, quasi esclusivamente, quando pioveva ed il cielo era scuro.
Per il lavoro non c’erano stati problemi: al “Marmo Vallestrona”, dove faceva il “segantino” tagliando a fette le grandi lastre di pietra, aveva chiesto ed ottenuto di fare il turno fisso di notte. Vestiva rigorosamente di nero e si era comprato un mantello color pece, dentro il quale si avvolgeva fin sotto gli occhi. Si credeva, bontà sua, un pipistrello e, quando incontrava un conoscente, lo salutava aprendo le falde del mantello quasi fossero le sue ali, lanciando delle grida stridule. A volte saltava fuori all’improvviso da dietro un albero o dall’angolo di una casa e faceva prendere “un bel stremizzi”, un gran spavento, alle persone che, non conoscendolo, se lo trovavano di fronte. Una volta balzò all’improvviso davanti al Mariano Tramontana, un operaio grande e grosso che faceva il meccanico. E finì a terra, lungo e tirato, con un occhio pesto. Il Tramontana, apostrofandolo in malo modo ( ” Ma va là, Albertino. Ti sé propri un bel pirla“), gli tirò uno “slordone” da far paura. Era già arrabbiato del suo e lo scherzo del “pipistrello del Bertarello” non l’aveva per niente gradito. Le sue letture, negli ultimi anni, si erano concentrate sui “rischi del mestiere”. Pensando di essere uno – se non l’unico – erede del conte “vampiro”, aveva compilato un elenco di cose da evitare assolutamente: aglio, acqua santa, crocefisso, luce del sole, proiettile d’argento, paletto di frassino conficcato nel cuore, acqua corrente, grani del rosario sparati nel corpo, ecc. Ad ogni buon conto aveva anche fatto testamento. Nelle sue ricerche aveva messo le mani su di un vecchio articolo di fine agosto del 1956. Il Corriere della Sera scriveva: “ Il noto attore Bela Lugosi è morto di un attacco cardiaco a 73 anni a Hollywood (California), il 16 agosto 1956. Dopo i funerali è stato sepolto all’Holy Cross Cemetery a Culver City con indosso il mantello di Dracula, personaggio la cui interpretazione cinematografica l’aveva reso famoso negli anni trenta”.Ecco una bell’idea: anche lui, scrisse nel lascito testamentale, voleva essere sepolto con il mantello nero. Andò avanti per un bel po’, tanto che nessuno gli faceva più caso. Era uno dei tanti “balordi” che, in fondo, non facevano del male e nessuno. La svolta, nella sua vita, avvenne una sera di fine novembre. Le vie di Baveno erano avvolte da una nebbia piuttosto fitta. L’Albertino stava rincasando dopo un’oretta d’evoluzioni sul lungolago quando incrociò l’Arturo Magnaghi, detto anche “il Miazzina”.
Quest’ultimo era rientrato a Baveno da un paio di giorni dopo aver passato quasi vent’anni tra un sanatorio e l’altro. Nel lungo soggiorno alla casa di cura di Miazzina, nel Verbano ( che gli era giovato il nomignolo ), ormai debellate le malattie polmonari che gli avevano reso la vita un calvario, stava pensando a come rimettersi in sesto nel paese dov’era nato settant’anni prima. Del bell’uomo di forte corporatura non c’era nemmeno più l’ombra. Allampanato e magrissimo, dal passo malfermo e zoppicante, il Magnaghi era per di più bianco come un cadavere. Il “ràtt vùlu” se lo trovò dinnanzi e per poco non ci restò secco. Fu questione d’attimi ed il “pipistrello del Bertarello” scappò a gambe levate, gridando a squarciagola “Mamma mia, un morto che cammina. Ho visto uno zombie! Aiuto! Aiutatemi!”. Il Magnaghi non ebbe nemmeno il tempo di mandarlo a quel paese tanto era stato lesto l’Albertino a dileguarsi. La settimana dopo, passata la strizza, era in piazza. Con gli occhiali da sole scuri si difendeva dal pallido sole del tardo autunno. Eppure, nonostante le sue abitudini notturne, stava lì in piazza, dove si era recato per comprare la “Gazzetta dello sport” nell’edicola che, un tempo, era stata del “Tillio” Zaccheo. Era la prova di quanto si diceva nei bar ed al circolo: il “pipistrello” aveva perso le ali ed era tornato ad una vita più normale. Non per scelta ma per spavento. Il Magnaghi gli era sembrato più brutto della signora che, vestita di nero, andava in giro con la falce in spalla. E questo era troppo anche per l’erede di Bela Lugosi.
Marco Travaglini