STORIA- Pagina 7

Il 1975 (annus horribilis anche a Torino) 50 anni dopo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
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Il 1975 fu  un anno orribile della storia italiana (solo il ‘77 e il ‘78 furono peggiori per gli assassini di Casalegno e di Moro) perché la violenza della contestazione gruppettara stava imperando in modo selvaggio. Fu l’anno in cui, chiamato dal prof. Emilio Papa a tenere il mio primo seminario alla Facoltà di Scienze politiche di Torino sui due manifesti degli intellettuali fascisti ed antifascisti di Gentile e Croce scritti nel 1925, mi trovai in seria difficoltà perché una parte degli studenti si era iscritto solo perché con il seminario veniva fiscalizzato l’esame. Malgrado i miei sforzi volti a  condurre il seminario su una direttrice rigorosamente storica, come era stato il libro di Papa sui due manifesti del 1958, ci furono tentativi di introdurre in modo rozzo temi politici legati all’attualità che non avevano nessun legame con il Seminario.  Ci fu persino chi obiettò in modo ridicolo che non si doveva parlare di Gentile che era stato con Mussolini anche a Salò. Fui fermissimo nell’impedire o almeno a contenere  interventi inappropriati. Più che un seminario fu una serie di mie lezioni, il  che mi rivelò nel giro di pochi anni il decadimento degli studi universitari.  Pochissimi studenti a conclusione del seminario furono in grado di elaborare una ricerca che avesse anche un minimo di valore scientifico. Anche in ragione di ciò Papa volle intervenire ad un colloquio conclusivo del seminario in cui emerse la tendenza ad “attualizzare” il tema.
Ma il 1975 fu per me anche un periodo di insegnamento in un istituto superiore di Torino con sede nella precollina torinese nel quale un soviet di professori ex sessantottini  tentò, riuscendovi, di creare un clima politico irrespirabile, complice un preside allora vicino al  “Manifesto” destinato ad una lunga traversata del deserto che lo portò tanti anni dopo a finire a destra. Quando entrai la prima volta in quella scuola, vedendo tutti in giacca a vento (solo io avevo il cappotto),mi domandai se stessero tutti  tornando dalla montagna. Capii poi che era una uniforme come l’eskimo. Il Soviet impose votazioni per alzata di mano su tutti i temi su cui i docenti dovevano esprimersi, l’abolizione dei libri di testo a vantaggio di striminzite e improvvisate biblioteche di classe, l’abolizione delle lezioni frontali sostituite con i gruppi di studio durante i quali i professori leggevano il giornale. Una docente disse che lei riteneva la lezione una imposizione dall’alto di tipo fascista che andava abolita  in una scuola davvero “democratica”.
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Fu un disastro con la scuola occupata per un altissimo numero di giorni da una esigua minoranza di studenti esaltati. Fu davvero un fatto  eccezionale che non capitarono incidenti gravi perché le premesse per la violenza c’erano tutte. Ovviamente l’anno scolastico fu totalmente improduttivo e si concluse con una promozione generalizzata. Fu un vero peccato che penalizzò gli studenti provenienti da famiglie non abbienti i quali avrebbero  potuto avvantaggiarsi della scuola per la loro crescita culturale e civile. Fu un anno perso per centinaia di studenti che furono presi in giro dalla demagogia più greve. Il clima di intolleranza fece sì che per alcuni mesi anch’io chinai la testa silenziosamente ,anche attanagliato da problemi personali che angustiarono molto quel periodo Dopo qualche mese con alcuni colleghi ritirammo su la testa e, nei limiti del consentito, ci ribellammo al Soviet anche perché il preside si rese conto che così non si poteva andare avanti. A Torino non si arrivò mai alle chiavi inglesi che uccisero Sergio Ramelli, anche se il rogo a cui fu condannato  lo studente Roberto Crescenzio, resta a testimoniare una pagina indegna di cronaca torinese in cui fu coinvolta “Lotta continua” . Il clima di certe scuole torinesi, rileggendo come si viveva nelle scuole milanesi, non era molto diverso. Anche all’Università vivemmo anni bui. Le mie in modi  non confrontabili furono   due esperienze indimenticabili anche a 50 anni di distanza.

Francesco Faà di Bruno, il beato torinese di via San Donato 

Le celebrazioni torinesi nel bicentenario della nascita di San Francesco Faà di Bruno, nato ad Alessandria nel 1825 e morto a Torino nel 1888 in concetto di santo, ricordano l’anima squisitamente religiosa e intellettuale che seppe armonizzare in modo splendido la scienza e la fede. La sua evoluzione morale  non aveva per meta un cielo popolato di costellazioni ma un cielo ben più elevato, denso di princìpi ricchi di unità e giustizia. Francesco concluse gli studi classici a Novi Ligure nel collegio dei Padri Somaschi e a Torino completò gli studi all’Accademia militare con il grado di luogotenente di Stato maggiore, seguendo le orme del fratello Emilio capitano di vascello. Dopo la ferita subìta nella disfatta della battaglia di Novara a fianco del giovane principe Vittorio Emanuele II di Savoia, Francesco fu promosso capitano dal re Carlo Alberto. Alla Sorbona di Parigi ottenne il dottorato in scienze matematiche e astronomia e fu nominato astronomo dell’osservatorio delle longitudini. Il suo celebre maestro e religioso Cauchy della Sorbona e l’amico Don Bosco gli trasmisero non solo l’amore per i numeri ma qualcosa di più profondo e significativo, la scienza di tutte le scienze, il loro Dio.

Rientrato a Torino, Francesco diede le dimissioni dallo Stato maggiore e ottenne per acclamazione la cattedra di matematica e fisica all’Università, insegnando analisi e geometria superiore. Con grande ardore di apostolato fondò l’Opera Pia di Santa Zita al numero 31 di Borgo San Donato, la protettrice delle domestiche nel borgo dei dannati dell’epoca, rifugio e sostegno per le categorie femminili più vulnerabili e ragazze madri con scuola per allieve maestre e lavanderia a vapore con sessanta operaie, un’opera assistenziale che i torinesi conoscono molto bene. Sul terreno acquistato dieci anni prima attivò la costruzione della chiesa di Nostra Signora del Suffragio, oggi comprensiva di istituto scolastico per l’infanzia, scuola primaria e secondaria di primo grado, centro studi di ricerca scientifica, biblioteca, teatro e museo. Suo il progetto architettonico del campanile a forma di matita attiguo alla chiesa posto su 14 piani differenti raggiungibili con 300 gradini, dotato di osservatorio astronomico all’ultimo piano e di orologi con diametro di due metri e mezzo sui quattro lati, visibile dalle lavoratrici per non essere ingannate sull’orario di lavoro.

 Dopo la nomina di sacerdote, fondò a Torino e a Benevello di Alba l’Istituto San Giuseppe per l’istruzione professionale femminile, a Torino la Congregazione Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio e ad Alessandria la Confraternita di San Vincenzo de’ Paoli. Mirabile la sua affermazione in campo scientifico, pubblicando trattati sulle teorie delle funzioni variabili complesse di alta matematica e astronomia, gettando nuova luce sulla complicata sfera di studi accessibili a pochi. Fu anche pianista, organista e musicista utilizzando i testi di Alessandro Manzoni e del fratello padre scolopio Carlo Maria per completare le  partiture musicali prodotte nella sua piccola casa editrice. Compose tre mazurche per la regina Maria Adelaide di Savoia e fu molto apprezzato da Liszt. Nella chiesa del Suffragio, Francesco ripeté l’esperimento dimostrativo sulla rotazione della terra con il metodo del parigino Léon Foucault, la teoria delle forme binarie detta formula Faà di Bruno tradotta in tedesco. Fu premiato con medaglia d’argento per l’invenzione di uno scrittoio per ciechi utilizzato dalla sorella non vedente Maria Luigia, inventò una sveglia elettrica, un barometro a mercurio, un fasiscopio che rappresentava la formazione delle fasi lunari e partecipò alle Esposizioni Universali di Londra e Parigi. Fu giornalista e scrittore di opere religiose e fondò l’almanacco morale e istruttivo “Il galantuomo”, in seguito gestito da Don Bosco.
Il sacerdote Francesco era l’ultimo dei tredici figli del marchese Luigi Faà, studioso, scrittore e sindaco di Bruno, Solero, Alessandria e di Carolina Maria Teresa Sappa dè Milanesi, nipote del poeta monferrino Alessandro marito della contessa Porzia Marianna Gozzani di San Giorgio. Nella genealogia della antica e nobile casata astigiana risalente al XVI secolo troviamo la marchesa di Mombaruzzo Camilla Faà di Bruno, la bella Ardizzina sposata  rocambolescamente con il duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Gonzaga, antenato del principe Maurizio Gonzaga di Roma. Camilla era prozia del marchese Ferdinando II Faà di Bruno, sposato con la contessa Antonia Maria Gozzani di San Giorgio, zia di Porzia Marianna. Francesco, nipote del vescovo e principe della chiesa di Asti mons. Antonino Faà di Bruno, fu sepolto nel camposanto torinese e traslato nella sua chiesa di via San Donato nel centenario della nascita. Il geniale ed eclettico sacerdote, considerato uno dei santi sociali torinesi e patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito Italiano, non si accontentò di predicare esaurendo sulle labbra il fervore umanitario ma sacrificò la dedizione della sua persona nell’attività economica e spirituale in favore del prossimo. Il processo canonico per l’elevazione agli altari iniziato nel 1928 si concluse nel 1988 con la beatificazione da parte di papa Giovanni Paolo II.
Armano Luigi Gozzano 

Expo 1911, sette milioni di visitatori a Torino

Fu il Falstaff di Verdi ad inaugurare a Torino, la sera del 29 aprile, l’Esposizione Internazionale dell’industria e del lavoro alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Una serata trionfale per festeggiare il cinquantenario dell’Unità d’Italia e dare il via all’Expo voluto per esaltare il percorso economico e sociale compiuto dal Regno dal 1861 in avanti. Un “Ponte monumentale” che dal Borgo medioevale univa le due sponde del Po accolse quel giorno il Re d’Italia. Era il 29 aprile 1911, Vittorio Emanuele III venne a Torino per aprire solennemente la grande Kermesse. Un giorno speciale per l’ex capitale d’Italia, da protagonista nel mondo, e per il Regno, seppure in un contesto di importanti e preoccupanti eventi come la guerra coloniale italo-turca avviata da Giolitti nel settembre di quell’anno. Torino si vestì a festa mentre dal Teatro Regio le potenti note di Arturo Toscanini risuonavano in tutta la città evocando immagini di grandezza. Torino mostrò che era pronta per diventare la capitale dell’industria e del lavoro. Fu creato un immenso spazio espositivo che si allargava dal Parco del Valentino alla zona del Pilonetto, lungo il fiume, dove era disponibile per i visitatori un servizio di battelli. Qui fu allestito il famoso Expo 1911 organizzato per celebrare il progresso raggiunto nella tecnica, nella tecnologia e nel settore manifatturiero.
Il cuore di Torino si trasformò in un enorme cantiere di edifici costruiti in legno e gesso, da conservare soltanto per la durata della manifestazione. Solo il Palazzo dei Giornali fu eretto in cemento e muratura. Sui ponteggi, per la realizzazione delle strutture, furono impiegati oltre 3500 operai. Enormi padiglioni occuparono una superficie di circa 350.000 metri quadrati. Si susseguirono cerimonie imponenti alla presenza di centinaia di rappresentanti degli Stati ospiti che sarebbe troppo lungo ricordare, provenienti da tutto il mondo, dall’Europa all’America Latina, dalla Turchia al Marocco, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Persia alla Cina, alcuni dei quali presentavano al pubblico un proprio padiglione mentre altri inviavano i loro prodotti esposti in appositi stand. Alla fine della manifestazione, il 19 novembre, si contarono più di 7 milioni di visitatori in una città che nel 1911 aveva 415.000 abitanti. L’attrazione maggiore, il pezzo forte dell’Expo, fu sicuramente il Ponte monumentale sul fiume, realizzato all’altezza di via Valperga Caluso con 5 arcate e una serie di statue decorative sui colonnati. Eretto in legno e stucco, era lungo 106 metri e largo 25 e furono tre gli architetti che lo progettarono, il torinese Pietro Fenoglio, Stefano Molli di Borgomanero e Giacomo Salvadori di Wiesenhoff.
L’esposizione era vastissima: presso il ponte Umberto I si trovavano, solo per citare alcuni edifici, il palazzo della moda, i padiglioni dell’arte, della città di Parigi, della regia marina, delle poste, degli strumenti musicali, l’acquario, il palazzo delle feste, ristoranti internazionali, l’agricoltura francese. Attraversando il Po, su ponti provvisori, si incontravano, sull’altra sponda, tanti altri padiglioni, tra i quali l’aeronautica, le industrie estrattive, chimiche e manifatturiere, l’industria della seta, gli italiani all’estero e decine di stand, settori e reparti allestiti dai Paesi stranieri. Non mancavano edicole e chioschi che caldeggiavano case produttrici come la Fiat, Liebig, Cinzano, Martini e Rossi, Evian e l’Istituto geografico De Agostini. Mostre, concorsi, feste, balli, congressi, gare sportive e i concerti dell’orchestra del Regio, alcuni dei quali diretti da Arturo Toscanini, arricchirono quel grande mondo strabiliante e anche un po’ effimero che fu l’Expo di Torino del 1911.
Filippo Re

Marsala, il destriero di Giuseppe Garibaldi

L’isola di Caprera fa parte dell’arcipelago di La Maddalena a nord-est della Sardegna, al largo della costa Smeralda. L’isola, abitata da poche decine di persone (la maggior parte degli abitanti risiede nel borgo di Stagnali) è raggiungibile grazie a un ponte che la collega all’Isola Maddalena, e fa parte integrante da più di vent’anni dell’area protetta dell’Arcipelago della Maddalena. Caprera è famosa per essere stata il buen retiro di Giuseppe Garibaldi che giunse per la prima volta sull’isola il 25 settembre del 1849. Tra varie peripezie vi tornò spesso e vi visse a lungo fino alla morte. L’eroe dei due mondi si spense nel tardo pomeriggio del 2 giugno 1882 e nella sua casa l’orologio fu fermato mentre i fogli di un grande calendario non vennero più staccati segnando per sempre l’ora e il giorno della sua morte.

Le spoglie di Giuseppe Garibaldi riposano da allora in un’area dell’isola che prende il nome di compendio Garibaldino. Lì, nel piccolo cimitero di famiglia, il sepolcro del comandante dei Mille si trova sotto un grande masso di granito con delle grosse maniglie sui lati. A poca distanza dalla sua sepoltura c’è anche un cippo abbandonato, coperto dai rovi, dove si può leggere a malapena l’incisione voluta dallo stesso eroe: “Qui giace la Marsala che portò Garibaldi in Palermo, nel 1860. Morta il 5 settembre del 1876 all’età di 30 anni”. Marsala era l’inseparabile cavalla bianca di Garibaldi. Aveva 14 anni quando gli venne regalata dal marchese Sebastiano Giacalone Angileri che, raggiunto Garibaldi e i suoi Mille sulla spiaggia di Marsala, tenendola per le briglie, disse: “Generale, questo è un dono per voi”.

E così, in sella alla sua adorata cavalla, Garibaldi entrò a Palermo il 27 maggio 1860. E con lei affrontò l’intera campagna militare nel regno delle Due Sicilie, affezionandosi a tal punto da portarla con sé il 9 novembre 1860, quando salpò per Caprera. Sull’isola, la cavalla, rimase con lui fino alla morte, nel 1876, quando aveva ormai trent’anni, età avanzatissima per questi quadrupedi. Lo storico Giuseppe Marcenaro, nel suo libro Cimiteri. Storie di rimpianti e di follie, citandone la storia, scrive che a Marsala in via Cammareri Scurti una lapide collocata nel maggio del 2004 su iniziativa del Centro Internazionale di studi Risorgimentali Garibaldini ricorda il giorno del “regalo”. Recita, l’epigrafe: “Sebastiano Giacalone a Giuseppe Garibaldi donò l’anonima bianca giumenta che ribattezzata Marsala uscì da questo portone e corse le vie della gloria a Calatafimi, a Teano, a Caprera con l’invitto Generale unificatore della patria italiana”. Così, come Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, Asturcone, il destriero di Giulio Cesare o Marengo, il piccolo stallone arabo di Napoleone, anche Marsala è giusto che abbia il suo posto nella storia.

Marco Travaglini

 

Il marmo di Candoglia e il sigaro del signor Brusa

STORIE PIEMONTESI  a cura di https://crpiemonte.medium.com/

A monte della frazione di Candoglia nel comune di Mergozzo, sulla sinistra del fiume Toce, proprio all’imbocco della Val d’Ossola, si trovano le cave dalle quali proviene il marmo del Duomo di Milano

di Marco Travaglini

L’idea di usare quella pietra bianca, screziata di rosa, al posto del mattone per la costruzione della cattedrale fu di Gian Galeazzo Visconti che, per rifornirsi della materia prima, fondò la “Veneranda Fabbrica del Duomo”.

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Accendersi un sigaro

Il Signore di Milano, affascinato dalla bellezza cristallina del marmo, cedette in uso alla Fabbrica le cave di Candoglia, concedendo altresì il trasporto gratuito dei marmi fino al capoluogo lombardo, attraverso le strade d’acqua. Era il 24 ottobre 1387. E, da allora, per secoli, da quelle cave si è estratto il marmo che è servito a costruire il monumento simbolo del capoluogo lombardo, dedicato a Santa Maria Nascente, sormontato dalla madonnina che venne innalzata sulla guglia maggiore del Duomo negli ultimi giorni di dicembre del 1774.

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Il Duomo di Milano

Si trattava di un lavoro faticoso, ritmato da picconi, mazze, punte, cunei e palanchini. Così, partendo dall’impressionante caverna della cava Madre, la montagna è stata risalita, scavandola nel ventre, tagliando i blocchi di pietra con il filo in metallo. Il trasporto via acqua del materiale avveniva dal Toce al Lago Maggiore, lungo il Ticino e il Naviglio Grande per finire nel cuore della città fino alla darsena di S. Eustorgio, a Porta Ticinese. Così, grazie ad un ingegnoso sistema di chiuse, realizzato dalla “Veneranda Fabbrica”, il prezioso carico arrivava fino a poche centinaia di metri dal cantiere della Cattedrale. I barcaioli, per entrare in città senza pagare il dazio, utilizzavano una parola d’ordine — “Auf” — che in realtà era l’abbreviazione di Ad usum fabricae, cioè ad uso della Fabbrica, con la quale potevano passare senza versare il tributo imposto.

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Il naviglio grande di milano negli anni 50

In Lombardia, e non solo, è rimasta traccia di quell’usanza nell’espressione “A ufo” , intesa come “gratuitamente”. Chissà, poi, perché, a differenza del “gratis”, si è sempre più connotata con un profilo negativo, ma questa è un’altra storia… Il Cavalier Agenore Brusa, grossista di legname, proveniva da una delle famiglie che avevano, per generazioni, fornito il materiale alla Veneranda, un fatto che lo rendeva oltremodo orgoglioso. “Bei tempi quelli, caro Giovanni. Mio nonno, prima, e mio padre poi hanno lavorato per la Fabbrica di Candoglia tutta la vita. E ora, dopo che anch’io ho fatto la mia parte, tocca al mio Giulio tenere alto il buon nome dei Brusa” era solito ripetere all’amico Ambrogini.

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I sigari

Il ragionier Giovanni Ambrogini era il braccio destro del signor Brusa. Da oltre trent’anni, senza mancare un giorno dall’ufficio, teneva con scrupolo la contabilità della “Brusa & Figli”. Era diventato, per Agenore, quasi un fratello. E come tale lo trattava, chiedendo consigli e ascoltandone i punti di vista che, immancabilmente, teneva in gran considerazione. Per il resto, grazie all’impegno di tutti, la “Brusa & Figli” era un’azienda più che solida e al fidatissimo contabile l’anziano titolare garantiva un adeguato stipendio, commisurato ai suoi servigi. Da troppo tempo, per mille ragioni, il signor Agenore non si recava a Milano, in visita al Duomo. L’ultima volta, con uno sforzo di memoria, immaginò fosse stata quand’era nato il piccolo Giulio. Ma da allora, di anni n’erano passati ben trentadue. “Occorre andarci, a Milano”, comunicò al ragioniere. “E ci andremo insieme, caro Giovanni. Così vedrai anche tu come sono conosciuto in quella città. Devi sapere che è proprio grazie alla mia attività al servizio della Fabbrica del Duomo che mi hanno insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro”.

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La cava madre del Duomo a Candoglia

Agenore teneva moltissimo a quel titolo e amava, come lui stesso affermava, “vestirsi con l’abito giusto”, quello “da Cavaliere”, una divisa che, per l’imprenditore, equivaleva a pantaloni e giacca di fustagno scuro, camicia bianca e corto cravattino nero, scarpe comode e, in testa, un vecchio “Panizza” di feltro al quale teneva molto, regalatogli dal padre Igino. I due partirono dalla stazione di Verbania-Fondotoce con il treno delle 6,29. Era un sabato e non faticarono a trovare posto a sedere sul treno mezzo vuoto, dato che gran parte dei pendolari che si recavano ogni giorno a Milano per lavoro avevano terminato la loro settimana. A Porta Garibaldi presero la linea verde della metropolitana fino a Cadorna e da lì, con la linea rossa, giunsero a destinazione alla fermata “Duomo”. Uscendo dalla metropolitana, in cime alle scale, si trovarono davanti l’imponente e gotica sagoma del Duomo. “Ah, che meraviglia”, esclamò estasiato il Cavalier Brusa, agitando la mano destra dove, tra indice e medio, teneva l’immancabile sigaro toscano. Il ragionier Ambrogini, estrasse dalla tasca un piccolo bloc-notes , leggendo i suoi appunti. “La quarta chiesa in Europa per superficie, dopo San Pietro in Vaticano, l’anglicana Saint Paul di Londra e la cattedrale di Siviglia ;la più importante dell’arcidiocesi milanese, sede della parrocchia di Santa Tecla..”. Il buon Giovanni, preciso come un ferroviere svizzero, si era documentato ben bene. Al Cavaliere quell’accuratezza, diligente e meticolosa, piaceva molto. In molti consideravano l’Ambrogini un pignolo, persino un po’ pedante, ma ciò che i più consideravano un difetto, per Agenore Brusa rappresentava una qualità. E che qualità: cura, scrupolo e rigore! Il massimo che potesse desiderare dal suo più stretto e fidato collaboratore.

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La Veneranda Fabbrica alle cave di Candoglia

Lo ascoltava, ammaliato, senza dimenticarsi di ricambiare — con un cenno di capo — al saluto che gli era stato rivolto da alcuni passanti. “Ci sono voluti cinque secoli per costruirlo, durante i quali si sono avvicendati nella Fabbrica del Duomo architetti, scultori, artisti e maestranze, provenienti da tutta Europa. Il risultato è un’architettura unica, una felice fusione tra lo stile gotico d’oltralpe e la tradizione lombarda. Con una decorazione impressionante di guglie, pinnacoli, cornici e un patrimonio immenso di oltre tremila statue. E sulla più alta delle 145 guglie, la celeberrima Madonnina che non è d’oro, ma ricoperta di fogli d’oro”. Il ragioniere era, come sempre, sintetico ed esauriente. A quel punto il Cavalier Brusa lo esortò a varcare il doppio portale in bronzo.

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La Veneranda Fabbrica del Duomo

Forza, Giovanni. Andiamo a vedere anche all’interno com’è stato magistralmente lavorato il nostro marmo! A proposito, hai visto che persone ben educate? Salutano, cortesemente. Si vede che anche qui conoscono i Brusa, con tutto quello che abbiamo fatto per Milano, eh?”. Spento il toscano sotto la suola della scarpa e riposto in tasca il resto del sigaro ( Brusa era un parsimonioso e il suo motto era “non si butta via niente”), entrarono in Duomo, rimanendo a bocca aperta davanti alle cinque navate. Quella centrale, poi, era davvero ampia e alta e ai lati si potevano ammirare magnifiche vetrate istoriate che raffiguravano scene religiose. Una di esse, superba, rappresentava il Giudizio Universale. Il Cavalier Brusa, informato dal fedele Giovanni, di ciò che conteneva la teca sopra il coro, voleva a tutti i costi ammirare quel chiodo che si riteneva provenisse della croce di Gesù e si avviò in quella direzione con ampie falcate. Mentre camminava, s’accorse degli insistenti sguardi da parte delle persone che incontrava.

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Una targa commemorativa della visita di Paolo VI alla cava

Alcuni sgranavano gli occhi, altri si davano di gomito. Mentre avanzava impettito, gli venne incontro un sacerdote in chiaro stato d’ansia, visibilmente affannato. Il prelato , rivolto al Cavaliere, ripeteva concitato la stessa breve frase, in milanese: “ Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”. Agenore Brusa, voltandosi verso il ragionier Ambrogini, disse soddisfatto: “Vedi, Giovanni. Qui mi conoscono tutti”. Solo in quel momento il povero ragioniere s’accorse che la marsina del suo principale stava andando in fiamme. Evidentemente il toscano non era stato spento bene e si era ravvivato nella tasca. Il prete, sicuramente lombardo e certamente alterato, aveva lanciato l’allarme rivolgendosi al Cavaliere in dialetto meneghino e quel “Sciur, al Brüsa”, più che ad una individuazione dell’identità del signor Agenore equivaleva all’allarmante fumo che proveniva dal vestito del medesimo, ignaro, visitatore del Duomo. Così, spento l’incendio, i due lasciarono la cattedrale e Milano, frastornato e ammutolito, Giovanni Ambrogini, contrariato e scuro in volto, il Cavaliere che, una volta tanto e suo malgrado, era stato costretto a venir meno al suo principio del “non buttar via niente”, lasciando in un bidone della spazzatura la giacca bruciacchiata e quel resto di sigaro che aveva tenuto per il viaggio di ritorno.

Gli anni formidabili della Valanga Azzurra

IL LIBRO DI AUGUSTO GRANDI

Pare incredibile in un’epoca di turismo dello sci per altospendenti e bassopensanti, ma ci sono stati anni in cui l’Italia intera (o quasi) si fermava per ascoltare i risultati degli slalom e delle discese libere. Erano gli anni della Valanga Azzurra.  Teoricamente dal 1974 al ’76, ma in realtà i trionfi dello sci azzurro erano iniziati prima, con Gustavo Thoeni che aveva già vinto le Coppe del mondo generali nel 70/71/72 oltre ai successi alle Olimpiadi e ai Mondiali.
Dunque perché la Valanga nasce nel ’74?
Lo racconta il nuovo libro del giornalista Augusto Grandi,  “Giuliano Besson: il ragazzo terribile della Valanga Azzurra”, pubblicato dalla casa editrice Cicles. Un racconto che parte dai ricordi del grande discesista di Sauze d’Oulx – uno degli esponenti più pazzi di quella squadra irripetibile – per andare a svelare i retroscena non sempre edificanti di un’avventura che non fu solo sportiva.
La Valanga Azzurra nasce, formalmente, il 7 gennaio 1974 grazie alla definizione creata dal giornalista Massimo di Marco di fronte al successo nel Gigante di Berchtesgaden di 5 slalomisti italiana nei primi 5 posti: Gros, Thoeni, Stricker, Helmuth Schmalzl e Pietrogiovanna. Uno sport tipicamente individuale si trasformava in uno sport di squadra.
Ma Grandi e Besson non si accontentano delle rievocazione di facciata. E spiegano le ragioni che hanno portato al successo di una squadra che, nel momento di massimo fulgore, evidenziava già le crepe che ne avrebbero sancito la fine.
Dalla squalifica della squadra francese alla grande opera realizzata dall’allenatore transalpino degli Azzurri, Bernard Favre. Dagli scontri con Vuarnet all’arrivo di Cotelli, più attento ai giornalisti che agli atleti. E, infine, alla radiazione di Besson e Stefano Anzi, nel 1975, per aver osato mettere in dubbio l’operato della Federazione in ambito economico ed in quello della sicurezza soprattutto per le squadre giovanili.
Besson e Anzi, i gemelli della velocità, erano stati scelti dai compagni di squadra per rappresentarli nelle trattative con la federazione. Ma di fronte alla radiazione nessuno osò protestare.
I due non si persero d’animo e l’anno successivo diedero vita ad un’azienda di abbigliamento per lo sci, la AnziBesson, che alle Olimpiadi di Torino conquistò ben 11 medaglie con le  nazionali di Francia e Austria.
Ma il libro affronta anche i temi legati al turismo alpino. Che non si è sviluppato grazie alla Valanga Azzurra poiché già negli Anni 30 erano state costruite le colonie montane per i figli dei lavoratori (la Torre di Sauze era nata proprio per questo) e dopo la guerra era iniziata la trasformazione (non proprio entusiasmante) di Cervinia. Negli Anni 60 la Francia lancia il Plain Neige e lo stesso succede ad esempio a Viola St.Gréé nel cuneese.
Mentre i campioni della Valanga hanno il merito di essere stati i protagonisti del cambiamento dell’abbigliamento dello sci.
Non potevano mancare gli aneddoti sulle goliardate e sulle avventure erotiche di ragazzi che avevano 20 anni e volevano divertirsi, non solo sugli sci. Qualcuno preferiva andare a dormire presto, altri preferivano vivere. Dalle follie alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi in Giappone alla fuga in Brasile dopo un trionfo in Cile. Ragazzi terribili, non solo Besson…

Torino è libera: una mostra all’Archivio storico

All’Archivio Storico, in via Barbaroux, 32, è stata inaugurata la mostra “Aprile 1945: Torino è libera. La ripartenza della città” con fotografie, manifesti e documenti originali che raccontano la Liberazione e la ricostruzione del capoluogo piemontese.

La mostra che sarà visitabile per tutto l’anno, sino al 31 dicembre 2025 con orario dal lunedì al venerdì, dalle ore 8,30 alle 16,30, presenta alcune rarità.

Si va dalla copia  del quotidiano realizzato grazie all’utilizzo delle rotative de “La Gazzetta del Popolo” ed uscito la notte stessa della Liberazione, alle deliberazioni della  Giunta Popolare delle prime vie dedicate ai partigiani ed agli eventi collegati alla lotta per la libertà e tante altre curiosità tutte da scoprire.

Igino Macagno

Krumiri Rossi, un dolce pezzo di storia piemontese

Anche un biscotto può aggiungere fama ad una città come Casale Monferrato, già nota per aver dato i natali a grandi pittori e scultori, ad un politico della statura di Giovanni Lanza, a Stefano Guazzo autore della “Civil conversazione” oltre ad una nutrita presenza di chiese e palazzi settecenteschi, della Cattedrale con il magnifico nartece romanico, del castello Paleologo e di tutto quanto la rende la “Siena del Piemonte” come un tempo fu definita.

Ad attirare il turismo allo stesso modo concorrono i KrumiriRossi,  deliziosi biscotti inventati pochi anni dopo l’esito risorgimentale in una tranquilla serata allorché il pasticcere Domenico Rossi li sfornò nel suo laboratorio per farli gustare agli amici.

Ne uscì una prelibatezza dalla forma ricurva simile ai baffi di Re Vittorio Emanuele II di Savoia che con Cavour “Fece l’Italia”.

I dolci, attualmente forniti dagli eredi della famiglia Portinaro, che rilevò l’azienda nel 1953, sono rimasti identici a quelli originali ottocenteschi ottenuti con uova, farina, burro, zucchero, vaniglia a cui si aggiungeva un ingrediente, gelosamente tenuto segreto ancor oggi, al fine di ottenere il gusto inconfondibile ed inimitabile.

KrumiriLe belle scatole di latta rossa litografata contenenti i biscotti sono un ulteriore attrazione e talmente apprezzate da diventare oggetto di collezionismo.

Se l’arte, per essere tale, deve essere invenzione di qualcosa che prima non c’era e creatività, perché non pensare che i Krumiri, inventati e creati dal signor Rossi, non siano essi stessi opere d’arte.

Giuliana Romano Bussola

 

(Nella foto di copertina la latta gigante di Krumiri Rossi che riproduce un’antica confezione dei famosi biscotti)

 

La passione secondo Jaquerio. Visita guidata agli affreschi

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

20-21 aprile 2025

La passione secondo Jaquerio

Visita guidata agli affreschi del più grande esponente piemontese del gotico internazionale

 

La Salita di Cristo al Calvario è il capolavoro del pittore torinese Giacomo Jaquerio, maggior esponente del gotico internazionale, realizzata nella cappella adibita a sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso nel primo quarto del XV secolo.

Ciò che contraddistingue questa raffigurazione rispetto agli altri affreschi della cappella è la resa dei personaggi che appare più realistica all’interno di una scena drammatica. Per accrescere nei devoti la meditazione e la partecipazione alla sofferenza della Passione di Cristo, Jaquerio ha infatti accentuato i caratteri patetici e drammatici della scena. Lo spazio non è reso con una visione prospettica corretta, ma il senso di profondità è ottenuto disponendo i personaggi ad arco e collocando il volto dei soggetti più arretrati in una posizione più elevata rispetto a quella dei personaggi che sono in primo piano.

Nella folla è evidente la contrapposizione tra il Bene il Male nella scelta di colori e in un certo tipo di gestualità. I personaggi che trattengono la croce o quello che tira Gesù con una corda presentano lineamenti talmente alterati e deformati che sembra abbiano quasi connotazioni non umane. Tra la folla, si riconoscono il fabbro, a cui i giudei si rivolgono per fabbricare i chiodi della croce di Cristo, nell’uomo che tiene in mano tre chiodi e un martello (la sua partecipazione agli eventi della Passione si trova in alcune rappresentazione teatrali popolari diffuse in Francia e Inghilterra) e Giuda con la barba e i capelli rossi (colore che richiama la violenza e le fiamme dell’inferno) e il vestito giallo per evocare il tradimento.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

20-21 aprile, ore 15

La passione secondo Jaquerio

Costo attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietto di ingresso: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Prenotazione obbligatoria

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603 ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Castelli Aperti: un traguardo di 30 anni tra storia e cultura

A Pasqua e Pasquetta, come da tradizione, riparte la rassegna che propone un viaggio in Piemonte tra bellezza, cultura e meraviglia

Nel cuore della primavera, tra le colline e i borghi, torna puntuale l’appuntamento con Castelli Aperti, la rassegna che nel 2025 celebra trent’anni di apertura, conoscenza e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Piemonte.

Era il 1995 quando, con il sostegno della Regione Piemonte, prendeva vita un progetto ambizioso: restituire vitalità alle dimore storiche del territorio e renderle accessibili al grande pubblico. Da allora, edizione dopo edizione, il circuito si è trasformato in un vero e proprio viaggio collettivo nella memoria architettonica e culturale della regione, contribuendo in modo concreto alla salvaguardia e alla riscoperta di un patrimonio che oggi si conferma tra i più ricchi e articolati del panorama nazionale.

Quest’anno saranno oltre ottanta i luoghi che apriranno le loro porte: castelli medievali e manieri rinascimentali, giardini storici e ville aristocratiche, musei, borghi fortificati e residenze nobiliari disseminati in ogni angolo del Piemonte. Luoghi che non sono semplici contenitori di storia, ma organismi vivi, pronti a raccontarsi attraverso l’arte, la memoria, le architetture e le suggestioni paesaggistiche. Dimore reali, panorami incantati, sale affrescate, archivi preziosi: ogni visita è un’occasione di scoperta, conoscenza e meraviglia.

Il calendario della trentesima edizione prenderà il via domenica 20 aprile, come da tradizione proprio nel fine settimana di Pasqua e Pasquetta, per proseguire ogni domenica fino al 2 novembre. Una programmazione pensata per accogliere un pubblico ampio e variegato, dai turisti di passaggio agli appassionati di storia e architettura, dalle famiglie in cerca di esperienze culturali coinvolgenti fino a chi cerca atmosfere intime e suggestive per un fine settimana diverso dal solito.

A rendere l’offerta ancora più completa, la possibilità di soggiornare all’interno delle dimore storiche aderenti al circuito: hotel di charme, camere d’epoca, ville eleganti o appartamenti situati in borghi pittoreschi, per vivere un’esperienza immersiva che unisce ospitalità e bellezza.

Ma la trentesima edizione porta con sé anche importanti novità, a partire dal restyling completo del sito ufficiale www.castelliaperti.it, affidato alla matita contemporanea e raffinata della graphic designer e illustratrice Alice Lotti. Il nuovo portale si presenta con un design pulito e moderno, una navigazione intuitiva e un impianto visivo fortemente evocativo: fotografie in alta risoluzione, colori vivaci, una tipografia elegante e una struttura che guida l’utente in modo naturale alla scoperta del circuito. Non solo una vetrina, ma un vero archivio digitale del patrimonio piemontese, con approfondimenti, percorsi e strumenti per esplorare in autonomia un mosaico culturale di straordinario valore.

A coronare l’edizione celebrativa, un fitto programma di eventi speciali distribuiti su tutto il territorio regionale: incontri con autori, conferenze, concerti, spettacoli e iniziative tematiche che animeranno i luoghi coinvolti, rendendoli ancora più accessibili, partecipati e capaci di dialogare con il presente. Un modo per far vivere la cultura in forma attiva, non come reliquia ma come esperienza da condividere.

Trent’anni dopo la sua nascita, Castelli Aperti si conferma non solo un progetto di promozione culturale e turistica, ma un autentico strumento di cittadinanza, capace di educare alla bellezza, di creare connessioni tra passato e presente e di offrire a ogni visitatore l’occasione di sentirsi parte di una storia più grande.

Castelli Aperti, da trent’anni non si limita solo a proporre le visite alle dimore storiche – commenta Elisa Bogliotti neopresidente dell’Associazione Amici di Castelli Apertima invita anche a riflettere sul valore della conservazione e sulla necessità di tutelare questi luoghi così significativi per la storia piemontese. In un periodo in cui la riscoperta delle tradizioni locali è più importante che mai, Castelli Aperti, attraverso il suo programma ricco e variegato, continua a suscitare interesse e a promuovere la bellezza di una regione che è un autentico scrigno di tesori storici. Festeggiare il trentesimo anniversario di questa rassegna significa celebrare non solo il passato, ma anche guardare al futuro, incoraggiando nuove generazioni a scoprire e valorizzare il patrimonio culturale che ci circonda.”

Di seguito l’elenco delle aperture per il fine settimana di Pasqua e Pasquetta, organizzate per province, con costi e orari:

PROVINCIA DI ALESSANDRIA

Acqui Terme – Villa Ottolenghi: aperta a Pasqua e Pasquetta con visita guidata e degustazione alle 14.30; ingresso intero 15€, gratuito per i minori di 12 anni. 

Acqui Terme – Castello dei Paleologi – Civico Museo Archeologico: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 19.00 con visite libere. Ingresso: intero 4€, ridotto 2€.

Alfiano Natta – Tenuta del castello di Razzano: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 15.00 alle 17.00. Visita libera al Museo Artevino e alle cantine di invecchiamento: 5 €, visita libera al Museo Artevino e alle cantine di invecchiamento + degustazione di 3 vini: 15 €

Giarole – Castello Sannazzaro: aperto a Pasquetta con due turni di visita: alle 11.30 e alle 15.30; ingresso intero 15 €; ridotto (ragazzi tra i 12 e i 18 anni) 5 €, gratuito per bambini fino a 12 anni accompagnati dai genitori.

Rivalta Bormida – Fondazione Elisabeth de Rothschild – Palazzo Lignana: A Pasqua e Pasquetta visite guidate solo su prenotazione dalle 10 alle 19. Si consiglia di prenotare la visita almeno con un giorno di preavviso. Info e prenotazioni: tel. 345 8566039. Ingresso: intero 10€.

Trisobbio – Salita alla Torre del castello: a Pasqua e Pasquetta su prenotazione al 345 6044090. Ingresso 2 €

PROVINCIA DI ASTI

Castelnuovo Calcea – Area del Castello di Castelnuovo Calcea: visite libere a ingresso gratuito sia a Pasqua che Pasquetta dalle 10 alle 17.

Nizza Monferrato – Gipsoteca Formica: aperta a Pasquetta con visite guidate alle 11.30 e 16.30. Ingresso intero 7 eruo. Per informazioni e prenotazioni: 0141 441565, 379 1354571;  iat@comune.nizza.at.it.

Costigliole d’Asti – castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. IIngresso intero: 5€, ingresso gratuito per bambini di età inferiore ai 12 anni.

PROVINCIA DI BIELLA

Biella – Palazzo Gromo Losa: Pasqua e Pasquetta aperto in occasione della mostra “Steve McCurry. Uplands&Icons” (Palazzo Gromo Losa + Palazzo Ferrero), orario 10.00 – 19.00. Biglietteria presso Palazzo Gromo Losa con biglietto unico d’ingresso per le due sedi espositive: intero: 13,00€, ridotto: 10,00€

Candelo – Ricetto di Candelo: accesso libero tutti i giorni. Per visite guidate contattare: Tel. 015 2536728; ufficiocultura@comunedicandelo.it

Magnano – Collezione Enrico a Villa Flecchia: aperta a Pasqua e Pasquetta dalle ore 14.30 alle ore 18.30. La visita della villa è guidata. Prenotazione consigliata. Tel: 0125 778100; faiflecchia@fondoambiente.it Ingresso: Intero: 8 euro, ridotto (6-18 anni): 6 euro, iscritti FAI: 4 euro.

PROVINCIA DI CUNEO

Alba – Museo Diocesano di Alba: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 14.30 alle 18.30. Informazioni e prenotazioni: 345 7642123; mudialba14@gmail.com. Ingresso: intero 5€; ridotto 2,5€.

Barolo – Castello Falletti di Barolo e WIMU Wine Museum: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 19.00. Informazioni e prenotazioni: 0173 386697; info@wimubarolo.it; prenotazioni@wimubarolo.it Ingresso: Intero 9€; ridotto 7€. 

Bra – Museo Civico di Storia Naturale Craveri: Aperto solo a Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; info 0172 412010, turismo@comune.bra.cn.it Ingresso: Singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Museo Civico di Palazzo Traversa: Aperto solo a Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; info 0172 423880, turismo@comune.bra.cn.it. Ingresso: Singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Museo del Giocattolo Aperto solo e Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; ingresso: singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Pollenzo Banca del Vino: Aperta a Pasquetta 10.00 alle 14.00. Per informazioni: 0172 458416  info@agenziadipollenzo.com

Caraglio – Il Filatoio: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.30 – 12.00 – 15.00 – 16.30 e 18.00. Ingresso: Intero 9€; ridotto 6€. 

Cherasco – Palazzo Salmatoris: Pasqua e Pasquetta dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. Per Ingresso gratuito.

Dronero – Museo Civico Luigi Mallé: Aperto solo a Pasqua dalle 15.00 alle 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30); info Tel. 0171 908704 oppure Tel. 347 8878051; museo.malle@comune.dronero.cn.it. Ingresso gratuito.

Fossano – Castello dei Principi D’Acaja: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 13,00 e dalle 14.00 alle 18.00 con visite guidate Ingresso: Intero 6€; ridotto 3€.

Govone – Castello Reale: Aperto a Pasquetta dalle 10.00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.30). Info Tel. 0173/58103 oppure tel. 371 4918587; info@castellorealedigovone.it. Ingresso: Intero 7€; ridotto 5€.

Magliano Alfieri – Museo dei soffitti in gesso e Teatro del Paesaggio nel Castello degli Alfieri di Magliano: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.30-18.30 (ultimo ingresso 17.30). Biglietto intero: € 5 per un singolo museo; € 7 per entrambi i musei.

Manta – Castello della Manta: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.00. Ingresso al castello: iscritti FAI €0,00; Intero € 11,00; ridotto (6-18 anni) € 4,00

Ingresso con visita guidata: iscritti FAI €4,00; Intero € 15,00; ridotto (6-18 anni) 

Pamparato – Borgo Antico e Castello: a Pasquetta visite guidate alle ore 10.30 e 15.30. Intero 8€; ridotto 5€.

Mombasiglio – Museo Gnerale Bonaparte nel castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10 alle 18. Ingresso 8€; ridotto 6€.

Priero – visita guidata al borgo e alla torre medievale: visite guidate a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 18.00. Prenotazioni su www.castelliaperti.it

Roddi – castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 18.30. Partenze visite ogni ora: 10.30, 11.30, 12.30, 14.30, 15.30, 16.30, 17.30. Ingresso intero 6€.

Saluzzo – Casa Cavassa: Aperta a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 6€; ridotto 3,5€. 

Saluzzo – Casa Natale di Silvio Pellico: Aperta a Pasqua e Pasquetta dalle 14:00 alle 19:00.

Ingresso: intero 3,5€; ridotto 2,5€. 

Saluzzo – La Castiglia: Aperta a Pasqua e Pasquetta orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 8€; ridotto 6€. 

Saluzzo – Torre Civica e Pinacoteca Olivero: Aperta a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 3,5€; ridotto 2,5€.

Saluzzo – Villa Belvedere: aperta a Pasquetta dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00. Intero 5 €; ridotto 3€

Savigliano – Palazzo Muratori Cravetta: aperto solo a Pasqua dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.30. Ingresso intero 3€

Savigliano – Museo Civico A. Olmo e Gipsoteca D. Calandra: aperto a Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 15.00-18.30. Ingresso: intero 5€; ridotto 3€.

Serralunga d’Alba – Castello di Serralunga d’Alba: Aperto a Pasqua e Pasquetta con visite guidate alle ore 10.30; 11.15; 12.00; 12.45; 14.30; 15.15; 16.00; 16.45; 17.30. Informazioni e prenotazioni: 0173 613358; info@castellodiserralunga.it; Ingresso: intero 6€; ridotto 3€.

PROVINCIA DI NOVARA

Oleggio Castello – Castello dal Pozzo: Aperto a Pasqua e Pasquetta con visite guidate su prenotazione alle 10.00 di mattina. Ingresso 15€; Per informazioni e prenotazioni: Tel: 0322 53713, 335 6121362, contact@castellodalpozzo.com

Vinzaglio – Castello di Vinzaglio: Aperto a Pasqua e Pasquetta solo su prenotazione contattando il numero 346 7621774 

PROVINCIA DI TORINO

Arignano – Castello Quattro Torri: aperto a Pasquetta con visite alle 11 e alle 15.00 e possibilità di ordinare un cesto pic nic. Ingresso intero € 10, ridotto €8

Caravino – Castello e Parco di Masino: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.00 (ultimo ingresso ore 17.00). Ingresso castello e parco: iscritti FAI*: ingresso gratuito, intero: € 15, ridotto (6-18 anni): € 8

Pralormo – Castello di Pralormo: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 18.00. Ingresso: intero 9€; ridotto 8€

San Secondo di Pinerolo – castello di Miradolo: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.30. Ingresso solo su prenotazione: Tel. 0121/502761 prenotazioni@fondazionecosso.it Ingresso Solo Parco: Intero 6€; Parco + Mostra: Intero 15€.