L’invidia è un vissuto scomodamente inconfessabile. Viviamo in una società di persone invidiose e frustrate, al punto tale da sperare nell’insuccesso dell’altro piuttosto che concentrarsi sul loro, in un vortice di inettitudine e scarsa propensione al sacrifico, talmente alta da essere invidiosi anche di un sorriso. C’è un giudizio in queste parole, un’accusa forte, rumorosa, quasi quanto un’unghia sulla lavagna, come se andasse di moda “sputare” sul trionfo altrui per giustificare il proprio fallimento. L’invidia è il desiderio di possedere qualcosa che appartiene a qualcun altro e di cui si sente intimamente l’assenza.Dal punto di vista psicologico ciò provoca uno stato d’animo tanto angosciante quanto ambivalente. Da una parte coltiviamo rabbia verso chi, secondo i nostri personali standard, sembra apparentemente appagato dal proprio stile di vita, ma dall’altra coviamo desiderio per gli stessi traguardi. Vogliamo essere come la persona che invidiamo, proprio perché ciò che possiede è quello che vorremmo anche noi. Attraverso l’invidia demoliamo l’altro, non avendo potuto raggiungere come lui, o per lo meno non ancora, quel “grappolo d’uva sul ramo più alto”. Aggredire, in questo caso, rappresenta il tentativo di tenere a galla la propria autostima e la fiducia in se stessi. Infatti, svalutando ciò che abbiamo intorno, il nostro vissuto non apparirà più così negativo come sembra. “Sporchiamo” gli altri non riuscendo a “lavare” noi stessi. In questo modo si placa quel senso di insoddisfazione che, evidentemente, si può provare. Sminuire quello che non si riesce ad ottenere diviene dunque una sorta di “stratagemma” per preservare dal dolore di non essere come si vorrebbe. E’ un autoinganno che, nella società attuale, fortemente centrata sul valore della competizione e della rivalità a colpi di “selfie” pubblici, trova terreno fertile.
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L’osservare, lo sbirciare cosa fanno gli altri comporta un confronto continuo ed ossessivo, quanto inutile, con qualcuno di cui la maggior parte delle volte sappiamo poco. Veniamo completamente assorbiti dal superficiale fattore visivo e lo prendiamo come dato certo: “Se sorride in quella foto vorrà dire che è più felice di me”. Muoviamo le nostre riflessioni su dati apparenti, considerandoli assoluti nel tempo, all’interno del quale l’invidia si espande, presentandosi come un’emozione che danneggia l’autostima, col rischio di cristallizzarsi emotivamente in maniera duratura. Prende vita, così, nel proprio io, uno stato di malessere e inadeguatezza che sfocia nell’avversione nei confronti della persona invidiata. La conseguenza più grave per lo stato d’animo è un danno psicologico in termini di crisi della considerazione che abbiamo di noi, poiché, invece di apprezzare le personali abilità, si tenderà in modo non sano, a confrontarle con quelle degli altri che appaiono migliori, fuori da un ottica di valutazione oggettiva costruttiva. La persona che ha raggiunto il successo non viene considerata un punto di riferimento da cui trarre semmai inspirazione per migliorarsi, ma un nemico da svalutare il più possibile. L’osservazione dell’altro, da eventuale momento di confronto creativo, viene trasformata in occasione di insulto e denigrazione, perdendo qualsiasi funzione vitale alla crescita individuale. Le persone diventano bersagli da colpire. Gli altrui successi, il risultato di comportamenti sicuramente scorretti e di mera fortuna, lontani da una logica di sudata realizzazione ricercata professionalmente. Per liberarsi da questa condizione nociva sia per il proprio benessere psicofisico, sia per la qualità e salute delle relazioni interpersonali, è fondamentale far emergere il coraggio e l’impegno di concentrarsi solo sulla propria frustrazione, piuttosto che disperdere energie in tentativi di denigrazione dell’altro. In questo processo è determinante mantenere come punto di riferimento il proprio “io”, anziché fattori e dettami sociali, riscoprendo il valore positivo nella conquista di un sorriso ricevuto, apparentemente piccola cosa, ma oggi assai rara, invece che perdere il sonno dietro incubi di angosce persecutorie. L’occhio dell’invidia altro non fa che mettere in evidenza il disagio emotivo che si può sperimentare nella vita sociale, e porta ad incamerare un vissuto così indigesto da inquinare una parte profonda dell’individuo, la considerazione di sè. La mancata elaborazione di questo processo mentale può far insorgere serie problematiche di adattamento. Per evitare che questo accada sarebbe opportuno prendersi cura delle proprie imperfezioni ed essere consapevoli dei propri pregi e traguardi raggiunti, donandoci valore, per non venire fagocitati dalla moltitudine di stimoli e vivere in uno stato di insicurezza perenne e di inadeguatezza interiore. Si evita, così, di sprofondare nell’invidia, usandola come “nocivo” meccanismo di difesa. Se avremo la capacità di riconoscere i nostri limiti non sentiremo l’esigenza di confrontarci al di là del nostro cuore.
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Dott. Davide Berardi, Psicologo – Psicoterapeuta
Psicologo, Psicoterapeuta ad Indirizzo Relazionale Sistemico, Docente Corsi di Accompagnamento al parto, Psicologo della riabilitazione e del sostegno nella terapia individuale e familiare, Terapeuta del coraggio emotivo.