Possiamo immaginarlo mentre cavalca a fianco del Sultano nei giardini imperiali sul Bosforo o nella piazza dei Cavalli, il famoso ippodromo di Costantinopoli, all’ombra della Moschea Blu e di Santa Sofia, in mezzo a vecchi turbanti e donne velate, colonne romane e obelischi egizi, un po’ come si vede nelle cartoline d’epoca che ritraggono Istanbul nei secoli passati. Trascorreva le giornate nei palazzi della capitale ottomana, sempre a stretto contatto con il sultano, gran visir, pascià e giannizzeri. Istruì giovani soldati e ufficiali all’arte della cavalleria, riformò l’esercito e divenne consigliere militare e diplomatico del sultano che lo volle nelle stanze del potere. Ma chi era costui?
Il sultano ottomano era Mahmud II (1808-1839), il riformatore dell’Impero della Mezzaluna, ben presente nei libri di storia e immortalato dal pittore Luigi Gobbi in un ritratto esposto al Palazzo Reale di Torino mentre del nostro personaggio rimane ben poco, forse solo una fotografia e poche notizie. Non era un sovrano europeo o un celebre condottiero e si chiamava semplicemente Giovanni Timoteo Calosso. Non era nato a Roma o a Parigi, ma nella piccola Chivasso, alle porte di Torino, anche se la sua seconda città fu Costantinopoli, alla corte del sultano, al quale insegnò a cavalcare all’occidentale e a mettere in riga uno degli eserciti più potenti del mondo. Addestrava le reclute e incontrava ogni giorno il monarca che gli regalò una delle case più belle della capitale. È la straordinaria storia di un colonnello piemontese che all’inizio dell’Ottocento, in cerca di gloria, fortuna e avventura, si mise al servizio della potenza ottomana. Poco conosciuto in Italia e sicuramente più noto all’estero, Giovanni Calosso influenzò con le sue idee libertarie e innovatrici alcune scelte politiche del sultano convincendolo ad aprire l’Impero alle riforme europee, ispirate a principi democratici e liberali. Amò l’Impero sul Bosforo, già al tramonto ma ancora forte e tenace, e fu intimo del sultano. Fu quasi uno di loro, ma non si convertì mai all’Islam. Nato a Chivasso nel 1789, divenne ufficiale con Napoleone e partecipò a diverse campagne militari, tra cui quelle di Prussia nel 1807 e di Russia nel 1812, e alla fine dell’Impero prestò servizio nell’esercito del Regno di Sardegna. Cadde in disgrazia per aver preso parte ai moti rivoluzionari del 182021 in Piemonte e fu esiliato. Non si perse d’animo e, pur costretto a lasciare la moglie, la Contessa Secondina Tarini Imperiale e il suo Piemonte, continuò a viaggiare in vari Paesi europei e si fermò soprattutto in Grecia, dove combattè per la causa dell’indipendenza ellenica contro il dominio turco. Ma il suo avvicinamento all’Oriente e all’Impero Ottomano non tardò.
Il sultano, in difficoltà sul piano militare e politico, cercava ufficiali ed esperti europei per riformare il suo esercito, dopo aver sciolto il Corpo dei giannizzeri. Il quarantenne Calosso, come molti altri esuli europei, non si lasciò sfuggire l’occasione e giunse a Costantinopoli nel 1826 per restarci fino al 1843. L’ingresso nella Corte imperiale non fu immediato perchè i soldi scarseggiavano e fu quindi costretto a svolgere alcuni semplici impieghi per guadagnarsi da vivere lavorando per un certo periodo in alcuni locali di Istanbul. Ma le sue qualità di cavallerizzo non tardarono a farsi apprezzare.
Fu subito maestro di equitazione e poi istruttore capo della cavalleria ottomana. A quel punto il sultano lo chiamò a Palazzo per addestrare un gruppo selezionato di giovani destinati a diventare le sue guardie del corpo personali. Nell’arco di breve tempo Calosso diventò stretto consigliere militare e diplomatico del Gran Turco che gli diede il nome di Rustem Aga. Grazie al colonnello piemontese il nuovo esercito applicò l’ordinamento francese di cavalleria e questo successo gli conferì l’elevazione alla dignità di Bey, ovvero di Signore e gran capo. Nel 1830 ultimò la formazione di quattro reggimenti della Guardia imperiale e fu incaricato dal sultano in persona a rinvigorire il nerbo dei Sipahi, la cavalleria leggera dell’esercito, numerosa e indisciplinata, che negli ultimi tempi aveva perduto smalto e vigore. Non girò tutto sempre nel verso giusto in quanto l’esercito ottomano subì pesanti sconfitte contro i russi e contro le popolazioni che cercavano di liberarsi dal dominio turco, ma gli interventi di Calosso per istruire e formare le truppe continuarono senza sosta. Ma qualcosa cominciò a guastarsi nei suoi rapporti con i
vertici dell’esercito dopo la sostituzione di alcuni ufficiali con nuovi uomini a lui non graditi e dopo aver scoperto casi di corruzione e di malcostume tra i militari. Nel 1839 gli eventi precipitano. Mahmud II muore e Rustem Bey cade da cavallo procurandosi gravi lesioni agli arti che gli impediscono di proseguire il suo lavoro preferito. La sua brillante carriera nell’armata ottomana e presso la corte era finita. Calosso viene ricordato per la grande capacità professionale dimostrata nella sua attività e per aver inculcato nei suoi allievi una ferrea disciplina militare unita all’insegnamento di quelle idee liberali che riuscirono a infiltrarsi in qualche modo nel chiuso e tradizionale ambiente del palazzo imperiale. La sua fama era così elevata che anche il Regno Sardo fu
costretto a fare marcia indietro e ritirare le accuse contro di lui per i moti in Piemonte. Lo stesso ministro sardo, il marchese Vincenzo Gropallo, lo contattò più volte come intermediario per arrivare
al sultano. Nel 1843 l’ex rivoluzionario piemontese abbandonò la capitale sul Bosforo. A questo punto le poche fonti disponibili sulla vita di Calosso sono contrastanti. Si dice che tornò subito nella sua Chivasso, dove trascorse in ritiro e in pace l’ultima parte della sua esistenza, non prima però di essere ricevuto in udienza da Carlo Alberto, mentre secondo altri racconti tornò a Costantinopoli, dove si trattenne ancora tre anni per poi tornare definitivamente in Italia. Non si conoscono né la data, né il luogo della morte del Calosso, che pare comunque sia vissuto circa settant’anni. Ci ha lasciato un libro di memorie, «Mémoires de un vieux soldat», la sua vita di soldato e di diplomatico accanto a due grandi personaggi, Napoleone e il sultano Mahmud II, pubblicato a Torino, in francese, nel 1857.
Filippo Re
(Da “La Voce e il Tempo”)