Anche la senatrice leghista Roberta Ferrero, eletta nel collegio di Collegno, ha avuto il suo attimo di gloria, anche se non proprio esaltante.

La signora Ferrero che appare laureata in Economia e commercio ed esercita un’attività artigiana , ha promosso un convegno in una sala prestigiosa del Senato della Repubblica che farebbe sorridere, se non facesse piangere. Infatti il convegno era dedicato al COVID “come malattia curabilissima a domicilio“ che ha avuto come principale relatore un dottore in scienze politiche, tale Rango, il quale ha avuto modo di lanciare da una sede istituzionale le sue teorie in materia medica. C’è già troppa confusione sui green pass e tante altre cose. E’ mai possibile che un partito di governo come la Lega appoggi queste iniziative che diffondono messaggi socialmente pericolosi? Questo convegno non è da confondere con il libero dibattito, come sostiene la senatrice di Collegno. Il libero dibattito è tutt’altra cosa e non è propriamente congeniale a chi non sa nulla di cultura liberale, come testimonia il davvero molto succinto curriculum della senatrice. Già sul green pass la Lega ha preso una posizione ambigua, per non dire in contrasto con il Governo di cui fa parte. Che dia spazio e visibilità ad una senatrice che è stata in piazza contro il green -pass e che non risponde alla domanda che le viene posta se è vaccinata, risulta una scelta da censurare in modo netto. Tra l’altro da questo convegno è venuto anche fuori che la Regione che si è peggio comportata nella lotta al COVID è la Lombardia a guida leghista. Davvero un autogol politico incredibile. Consigliamo alla senatrice Ferrero di tornare nei ranghi dei peones, evitando esposizioni mediatiche che vadano oltre quella che un tempo era la cinta daziaria di Collegno. La senatrice in questione mi ha fatto perfino riconciliare con Gustavo Zagrebelski dal quale mi divide da sempre un totale dissenso.
Un manifesto che si potrebbe definire corporativo. Non ho più risposto di recente sul tema delle foibe a Barbero che ho la colpa di aver contribuito a far conoscere quando era un modesto professorino di Pinerolo e non esibiva davanti a me la gloriosa tessera del PCI firmata da Berlinguer oggi ostentata come una reliquia . Ho chiuso il discorso con lui in un capitoletto a lui dedicato nel mio ultimo libro e non intendo riaprire il discorso oggi che, seguendo il suo degno compare Montanari, contesta il giorno del ricordo del 10 febbraio vedendolo come una risposta di stampo fascista alla giornata della memoria. Barbero dimentica perfino che quel giorno venne votato dal pds e sostenuto da Violante e Fassino. Ma forse ha l’attenuante che nel 2004 ,quando venne istituito il giorno del ricordo, forse egli si occupava solo di Medio Evo e non seguiva più la politica, essendo ormai un orfano inconsolabile del suo amato PCI. Non posso tuttavia non ricordargli che il 10 febbraio è la data del Trattato di pace che privò l’Italia dei suoi territori dell’Adriatico Orientale è una data infausta della nostra storia imposta dalla sinistra per votare il giorno del ricordo: un compromesso all’italiana anche sulle vittime delle foibe. Non è il caso di attenzionare ulteriormente Barbero , ma non si può non condannare con tutta la durezza necessaria l’ennesima comparsata mediatica sul Green Pass che è stata condannata persino da Gramellini il quale ha definito ipocrita la posizione del Vercellese. Barbero e i suoi colleghi che condannano il green pass si credono dei cittadini speciali in diritto di ribellarsi alle norme sancite da un governo democratico che gode della fiducia del Parlamento. Forse essi vedono il Green pass come il giuramento imposto ai professori dal Fascismo, mentre si rivelano soltanto dei cittadini poco responsabili. I professori dovrebbero dare per primi l’esempio. Innanzi tutto si loro studenti. Certi manifesti ci portano a pensare, seppur in tempi e contesti differenti, ai documenti degli anni 70 che armarono la mano agli assassini del commissario Calabresi. Chissà cosa penserebbe di Barbero il suo maestro Giovanni Tabacco che era un uomo pacato e uno scienziato che non cercò mai visibilità. Una volta che venne a parlare al Centro Pannunzio, si stupì molto di un mio invito a Barbero. Aveva ragione. Mille volte ragione. Una volta o l’altra scriverò cosa mi disse.
Ci eravamo conosciuti al Gruppo d‘Unione “Camillo di Cavour” con Vittorio Prunas Tola e Metello Rossi di Montelera. Fondammo insieme il centro studi “Gimmy Curreno“, il quindicenne patriota medaglia d’Oro al Valor Militare agli ordini di Mauri, eroicamente caduto per mano dei tedeschi. Eravamo ambedue impegnati per ricordare una Resistenza tricolore, volta a superare le vulgate ideologizzate. Un comune amico fu Domenico Giglio Presidente del circolo “Rex” di Roma, mancato in luglio. Pich aveva una cultura liberal-democratica e vide con simpatia la nascita del Centro Pannunzio , prendendo parte a qualche iniziativa. Fu lui a farmi conoscere ij Brande’, la poesia di Pinin Pacot e di Nino Costa. Un altro comune amico fu Tavo Burat che arrivò a dialettizzare anche il cognome. Fu uno dei fiori all’occhiello del centro studi piemontesi. Il suo identificarsi con la cultura e con la lingua piemontese contribuì ad allentare il nostro rapporto. Qualche volta tramite mio Mario Soldati gli chiedeva la corretta scrittura di parole piemontesi e la sua risposta era sempre pronta e dotta. Molto lontana, ad esempio, da Camillo Brero un maestro elementare sopravvalutato che Soldati non considerava affatto. Negli ultimi decenni ci eravamo persi perché da quando la Lega voleva salvaguardare a modo suo il patrimonio linguistico piemontese, inserendolo nell’insegnamento scolastico , io mi schierai nettamente contro e per una scuola nazionale uguale dalle Alpi alla Sicilia . Le idee di Farassino erano per me non degne della benché minima considerazione. Lui invece si rinchiuse sempre di più in difesa della piccola patria e della sua lingua. Un discorso che in verità non mi ha mai convinto e da cui anzi sono lontano. Detto con un esempio, io amo il Burzio scienziato della politica, molto meno il piemontese d’antan. Ritengo che funzione della scuola sia quella di insegnare un buon uso dell’Italiano , cosa che non fa come invece dovrebbe. Ma Censin era di un’altra idea e le nostre strade si allontanarono progressivamente. Pich ha messo una vera passione nel culto del vecchio Piemonte che per noi era anche il Piemonte sabaudo. Con lui scompare una razza piemontese , per dirla con Costa, in via di estinzione. Oggi abbiamo troppa gente che cita parole inglesi per moda e non sa l’italiano. Pich, pur sapendo benissimo l’Italiano, preferiva il piemontese, un piemontese letterario che non coincide con quello parlato ad Asti, a Cuneo o Vercelli. Di questo ed altro parlammo molte volte e mi addolora che una figura come lui non ci sia più. Era il simbolo di un vecchio Piemonte che resta parte della nostra storia migliore.
Forse di lui resta intatto il ricordo del gastronomo, ma sarebbe errato scrivere di Sandro Doglio
Quando studiai un po’ di storia del quartiere San Salvario per una lezione che tenni nella sede del quartiere e il cui testo è rimasto in rete, constatai che uno dei motivi, se non il principale, di degrado della zona circostante la stazione è stata ed è la stazione stessa . Non si tratta certo di un unicum perché in tutte le grandi città è così. A Napoli, è opportuno, arrivando in treno, infilarsi subito in un taxi, magari abusivo, perché l’aria stessa della stazione è irrespirabile. Io che abito a qualche centinaio di metri da Porta Nuova, potrei migliorare le mie condizioni di vita, ma questo è un discorso individualistico che non ha nessun valore, anche se una parte di città potrebbe trarre un giovamento della chiusura della stazione, anche per la zona di via Sacchi sempre più abbandonata a sè stessa. Anche l’urbanista e deputato comunista Alberto Todros, uomo colto ed anche ironico (virtù quasi sconosciuta nel Pci) sosteneva con passione la tesi della città futura costruita sugli spazi liberati dai binari di Porta Nuova. I comunisti nel 1985 andarono al potere ma tra i mille errori che commisero in dieci anni, non ci fu quello di chiudere Porta Nuova come stazione centrale. Commisero l’errore storico di bloccare la costruzione della Metro , condannando la città ad una mobilità sempre più insoddisfacente. Ma non seguirono Todros che pure era allora un leader importante.
Solo chi è sprovveduto o è in malafede può disconoscere che il ritiro degli USA e della NATO dall’ Afghanistan non abbia un contraccolpo immediato e drammatico sulla ripresa del terrorismo islamico, in questo caso non islamista, secondo un linguaggio vellutato e falso, usato in Europa quando gli attentati erano all’ordine del giorno e si voleva disperatamente separare l’ Isis da un Islam moderato che è sempre più difficile individuare. La vittoria talebana a Kabul darà una spinta a tutto l’ Islam nel suo complesso e renderà vane certe distinzioni. Viene fuori in maniera lampante il fallimento della politica estera americana espressa da quattro presidenti che, alla luce di questi fatti, rivelano tutta la loro mediocrità . Balza in tutta evidenza l’impossibilità di esportare la democrazia ,ma anche l’inconciliabilità tra Islam e Occidente ,come aveva sostenuto Oriana Fallaci. Sulla lunga distanza appaiono velleitari i tentativi di portare alla normalità un paese contro il quale dovettero desistere a combattere anche i sovietici, i cui eredi putiniani gioiscono di fronte al fallimento degli Americani che stanno vivendo un nuovo Viet – Nam, camuffato dai goffi tentativi di Biden a cui spero nessuno vorrà conferire il Premio Nobel Biden si rivela un omino inadeguato e attempato che è stato votato solo per eliminare Trump, una mina vagante in primis per il futuro degli Americani Davvero l’Afghanistan è invincibile come i Parti o i Germani di fronte a cui l’invitta potenza romana dovette fermarsi? Un esercito afghano addestrato e ben equipaggiato si è sciolto come neve al sole, il presidente afghano è scappato con la scusa di non provocare altre morti, un ritornello che piace molto ai pavidi ed opportunisti fuggiaschi che si succedono nella storia. La NATO, già minata dalla folle politica di Trump, non c’è più. Un elemento che avrà conseguenze storiche imprevedibili. Che dei guerriglieri dalle idee medievali e dai modi selvaggi obblighino l’Occidente a far fagotto in fretta e furia è un segno grave dei tempi che forse neppure Maurizio Molinari nei suoi lucidi libri aveva previsto. Che differenza tra il direttore de “ La Stampa “ che fa sue le analisi di Gino Strada erette a testamento e il predecessore Molinari che viveva scortato perché aveva denunciato la situazione esplosiva della Jjadd con coraggio e limpida freddezza. C’è stato un periodo in cui io stesso, amico di Oriana Fallaci negli anni dopo l’
