Reportage di Marco Travaglini
Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello(Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Terezìn si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole
Una città che per fama toccherà le stelle
“Vedo una città che per fama toccherà le stelle”. Si racconta, a Praga, che la principessa Libuše, leggendaria fondatrice della dinastia boema dei Premyslide, pronunciò questa frase dal castello di Vyšehrad, adagiato su uno sperone roccioso sulla riva destra della Moldava. Da lì, dal “castello alto”, lo sguardo domina la città e la tradizione lega questa rupe a molte leggende, delle quali la più nota racconta che appunto qui iniziò la storia di Praga. Decisamente profetica la principessa del popolo ceco se si pensa che oggi è da molti considerata la più bella tra le capitali d’Europa. Praga ricorda una delle “città invisibili” di Calvino:contiene, come in un gioco di scatole cinesi, tante città, aprendosi di volta in volta su una e sull’altra.
Mai uguale a se stessa
Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello(Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Il centro storico della città è formato da sei quartieriche in passato erano città indipendenti e che poi vennero unificate nel Settecento:Staré Mesto, cioè la Città Vecchia, Josefov, il quartiere ebraico che attualmente fa parte della Città Vecchia, Nové Mesto, cioè la Città Nuova, Malá Strana, cioè la Parte Piccola,Hradcany, ossia il quartiere Novy Svet, e Vysehrad.
Il triangolo della magia bianca
Si dice che Praga con Torino e Lione formi il triangolo della magia bianca, e che si creda o no va ricordato che l’alone di mistero che avvolge la città ha fornito spunti per un’infinità di leggende. La capitale boemaesercita un fascino del tutto particolare, ed è facile rimanere colpiti dalla sua atmosfera, dalle vie strette e dai ponti, da palazzi e chiese, dalle statue. Dal Ponte Carlo, vecchio ormai di quasi sette secoli e lungo mezzo chilometro tra la città vecchia e Malá Strana, con i suoi “protettori di pietra”, fino alla Torre dell’Orologio, all’isola di Kampa, alla via dell’Oro (Zlatá ulička) dove vivevano all’epoca di Rodolfo II gli alchimisti segregati nelle piccole casette (Puppenhaus). La leggenda più nota è quella del Rabbino Loew e del suo Golem: dove si racconta che Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel , nel ’500, creò il gigante d’argilla, destinato a difendere gli ebrei dalle persecuzioni. Praga è così: mai uguale a se stessa, sfuggendo a qualsiasi definizione ed etichetta, si presenta con i suoi volti immobile, vorticosa e originale.
Le tombe all’ombra dei sambuchi
Il vecchio cimitero ebraico di Praga (in ceco Starý Židovský Hřbitov), fondato nel 1439, è uno dei più celebri in Europa. Per oltre tre secoli, a partire dal Quattrocento, a fianco della vecchia sinagoga è stato l’unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. Le dimensioni sono rimaste all’incirca quelle medievali e nel tempo si è sopperito alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe, perché il cimitero non poteva espandersi fuori dal perimetro esistente. In alcuni punti si sono sovrapposti fino a nove strati di diverse sepolture. L’affastellarsi delle lapidi, tardogotiche, rinascimentali, barocche, l’una contro l’altra, il silenzio assoluto del luogo la penombra creata dalle fronde degli alti sambuchi che crescono nel cimitero, danno a questo luogo un’aura spettrale.Le tombe consistono in lapidi di arenaria o di marmo, piantate nella terra. Solo dai disegni simbolici si può intuire la professione o le qualità del defunto: forbici per sarti, pinzette per i medici, mani che benedicono per i sacerdoti e così via. Si contano circa dodicimila lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre centomila ebrei. La più antica è quella di Avigdor Kara e risale al 1439, mentre l’ultima è quella di Moses Beck del 1787.Durante l’occupazione tedesca, il cimitero fu risparmiato: le autorità occupanti del Terzo Reich decisero che sarebbe rimasto “a testimonianza di un popolo estinto”.
Le pietre del Tempio di Salomone
Il nome della Sinagoga Vecchianuova di Praga (Staronovà Sinagoga) non deve trarre in inganno : ha più di ottocento anni ed è chiamata così solo perché fu la seconda in ordine di tempo ad essere costruita. La prima sinagoga di Praga,infatti, venne distrutta nel 1867 e sostituita dalla Sinagoga spagnola, in stile moresco. Costruita verso la fine del 1200 in uno stile a metà tra il romanico e il gotico. Secondo la leggenda per edificarla vennero usate le pietre provenienti dal Tempio di Salomone e , si dice che quando tornerà il tempo di ricostruire il Tempio, la sinagoga sarà distrutta e le pietre riportate a Gerusalemme. Tra le altre sei sinagoghe praghesi del Josefov , il quartiere ebraico della città, l’edificio che ospita la sinagoga Pinkas, risalente al 1535, ospita il Monumento agli Ebrei Boemi e Moravi, vittime delle persecuzioni naziste. Furono 80.000 quelli trucidati nei campi di sterminio i cui nomi sono stati scritti tutti a mano lungo le pareti del museo. La Pinkasova è la seconda più antica del ghetto e oggi è un luogo aperto al pubblico dedicato ai 77.297 ebrei di Boemia e Moravia, vittime dell’Olocausto. Al primo piano della sinagoga si può visitare l’esposizione dei Disegni dei bambini di Terezín 1942–44. Ed è qualcosa di veramente tremendo. Ma di questo se ne parlerà andando a Terezìn.
Terezìn, la “città di Teresa“
Terezìn si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole. Per il calendario è primavera ma il vento porta con sé un’aria ancora invernale. Nell’arco di un decennio, tra il 1780 ed il 1790, l’imperatore d’Austria Giuseppe II fece edificare questa “città di guerra” proprio al centro della Boemia. La città prese il nome di Theresienstadt (in ceco, appunto, Terezìn), ovvero la “città di Teresa“, in onore della madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Il profilo era quello di una città militare, divisa in due parti ( la “piccola” e la “grande” fortezza), progettata allo scopo di difendere Praga da attacchi provenienti da nord, edificata alla confluenza dell’Ohře (Eger in tedesco) con l’Elba, uno dei fiumi più lunghi dell’Europa centrale. Il punto prescelto era all’altezza della divisione in due rami dell’ Ohře.
Le due fortezze
Lungo il ramo più a occidente venne costruita la fortezza più grande e più munita. Lungo il ramo orientale, quella più piccola. La distanza tra le due è di circa un chilometro. Questo sistema difensivo poteva ospitare una popolazione di sei-settemila persone, compresa la guarnigione. Il ruolo militare di Terezìn era in funzione antiprussiana. Le lotte tra l’Austria e la Prussia di Federico II avevano insegnato che era cosa saggia oltre che prudente proteggere adeguatamente la capitale della Boemia. Però, nonostante la minaccia prussiana, rimase una città militare per meno di un secolo e non fu mai al centro di combattimenti. Così, nel 1882, venne abbandonata come sede di guarnigione e la piccola fortezza ad oriente venne adibita a carcere per prigionieri particolarmente pericolosi. Come Gavrilo Princip, che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie il 28 giugno 1914 a Sarajevo, accendendo la scintilla che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Chi era Gavrilo Princip?
Nato il 27 luglio del 1894 a Oblaj, in Bosnia, quarto di nove figli di un postino, sin da piccolo si ammalò di tubercolosi che gli compromise a vita la salute. Frequentò la scuola commerciale a Sarajevo, e dopo s’iscrisse al ginnasio, dal quale venne espulso nel 1912 per le sue idee politiche. Nel maggio dello stesso anno si trasferì a Belgrado, dove continuò i suoi studi. Verso la fine dei suoi studi, nel 1914, partì alla volta di Sarajevo, in compagnia di altri due giovani (Nedjeljko Čabrinović e Trifko Grabež), con l’obiettivo di assassinare Francesco Ferdinando. L’attentato riesce, ma i tre ragazzi vengono immediatamente catturati. Vennero condotti nella fortezza-prigione di Terezin, processati e condannati a vent’ anni di carcere. Evitarono la pena di morte poiché per la legge erano minorenni all’epoca dell’assassinio (avevano tutti sotto i 21 anni).
“Lo trovo rassegnato,come sempre”
In quella tetra prigione Gavrilo attese la fine. Lo psichiatra viennese Martin Pappenheim, che a Terezin studiava i soldati sofferenti da traumi di guerra, lo visitò quattro volte, nel 1916. Il 5 giugno di quell’anno, dopo l’ultimo incontro, scrisse una breve nota: “Lo trovo rassegnato, come sempre. Quando da Vienna arriverà il permesso, il braccio dovrà essergli amputato”. L’arto sinistro, compromesso dalla tubercolosi ossea era tenuto insieme dal filo d’argento che sostituiva l’articolazione del gomito. E, infatti, lo amputarono nel novembre del 1917. Gli ultimi mesi di vita furono un calvario. Si disse che Princip era ormai un cadavere vivente che riempiva d’orrore e di pietà gli stessi carcerieri. Non parlava quasi mai e quelle rare volte che lo fece si limitò a chiedere la data e l’ora. Morì alle 18 del pomeriggio del 28 aprile 1918, nella stanza numero 33 dell’ospedale militare. Gli altri congiurati arrestati erano morti prima di lui, uno dopo l’altro. Ed anche il Kaiser, Francesco Giuseppe I d’Austria, aveva esalato l’ultimo respiro il 21 novembre del 1916, nella reggia imperiale del castello di Schönbrunn.
“Emigreranno a Vienna i nostri spettri..”
Gavrilo Princip, in una bara di assi grezze con una nera croce disegnata sul coperchio, vene seppellito in modo anonimo da una piccola squadra di soldati, composta da un boemo e quattro austriaci. Le autorità asburgiche, presero questa decisione, impaurite all’idea che il nazionalismo jugoslavo potesse fare del luogo una meta di pellegrinaggio.Le sue spoglie non sarebbero mai state ritrovate se il soldato boemo non si fosse annotato con esattezza il luogo e non avesse, finita la guerra, scritto al fratello di Gavrilo, Jovo Princip. Trovarono in quel luogo lo scheletro e il riconoscimento fu attestato da un certificato medico: “Individuo di sesso mascolino, di statura inferiore alla media, che ha subito l’amputazione del braccio sinistro”. Sul muro della cella numero 1 della “piccola fortezza” di Terezìn , tracciati sull’intonaco, trovarono anche gli ultimi versi di Gavrilo: “Emigreranno a Vienna i nostri spettri e là si aggireranno nel Palazzo a incutere sgomento nei sovrani”.
(continua)
Marco Travaglini