Mentre Antonio Latella prova L’isola dei pappagalli di Sergio Tofano (debutto al Carignano il 28 maggio), mentre si guarda all’immediato futuro con la stagione attuale che avrà il suo termine nel prossimo luglio con le serate shakespeariane di “Prato inglese” con La bisbetica domata e Otello, i vertici dello Stabile torinese hanno presentato ieri le proposte e il calendario del prossimo anno
“Una fabbrica di spettacolo a ciclo continuo”, sottolinea il direttore Filippo Fonsatti, con 53 titoli in cartellone – produzioni e ospitalità che allineano classicità e drammaturgia contemporanea – per oltre 500 alzate di sipario. L’immagine simbolo che sovrintende alla stagione, che ne segna il corso, è opera della fotografa norvegese Maren Klemp, una bambina poggiata all’angolo di un ring, un viso diviso tra luce ed ombra, due occhi (“adulti”, ben lontano da quelli sgranati e pieni di curiosità della bambina dello scorso anno, in Wonderland) che fissano melanconici e un paio di guantoni da boxe enormi che forse scatteranno contro qualcuno. Il titolo originale, The boxer, ha lasciato il posto a Fair play. Perché? Tra piroette linguistiche e divertimento assicurato, tenta di darne un significato il direttore artistico Valerio Binasco: “Questa bambina è la mia anima, probabilmente, ma di sicuro è l’anima del teatro… Siamo qui perché crediamo nell’Arte di combattere con fair play, perché crediamo nella delicatezza di un’Arte aggressiva come il teatro, che racconta quasi sempre storie di persone che cercano disperatamente di stare in piedi, di portare addosso con dignità e bellezza il loro ko. Lo so che siamo tutti così. Che siamo anche stanchi morti di essere così. Ebbene, quasi solo di questo parla il teatro. Saliamo sul palco o scendiamo in platea per combattere contro la perdita della memoria della nostra umanità”. Dentro ognuno di noi c’è quella bambina, il suo stesso sguardo, la sua voglia di combattere, magari il desiderio di lasciarsi alle spalle una sconfitta per tirare avanti. Sera dopo sera.
Un’immagine ad incorniciare una stagione che si aprirà, per quanto riguarda le produzioni, con le prove di regista e di interprete (un ritorno!) di Binasco. Ha scelto per inaugurare la stagione il 7 ottobre un cult del teatro contemporaneo, quel Rumori fuori scena di Michael Frayn sinora appannaggio di varie compagnie private (Attori e Tecnici, ad esempio), l’omaggio ad un testo di successo che può aspirare con diritto ad una struttura pubblica di più ampio respiro: tre atti che sono l’allestimento, il debutto e la tournée di una farsa erotica, con le entrate e le uscite ad orologeria, con le invidie e i dispetti, con i congegni che s’inceppano, con gli equivoci di varia natura che stanno per rovinare ogni cosa. Un classico ormai, che segue alle recenti prove di Molière Goldoni e Shakespeare, già trasformato da Bogdanovich nel ’92 in un film di successo, dove ogni risata è un piccolo capolavoro. In finale di stagione Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, che da un po’ di anni manca dai nostri palcoscenici, un esempio di italiani in America, di immigrazione clandestina, del ritratto a tutto tondo del portuale Eddie Carbone e della passione cieca verso la nipote Catherine. Binasco ancora regista e interprete, con Deniz Özdogan. Kriszta Székely, tra i nuovi talenti della scena europea, che abbiamo conosciuto grazie a Nora – Natale in casa Hekmer, proporrà il cecoviano Zio Vanja, la quotidianità e l’impossibilità ad essere felici, il trascinarsi delle esistenze, interpreti Paolo Pierobon, Ivano Marescotti, Ariella Reggio e Beatrice Vecchione. Eugenio Allegri si confronterà ancora una volta con Mistero Buffo di Dario Fo, Gian Luca Favetto si affida ad un progetto che a cent’anni dalla nascita vuole dire una parola nuova su Fausto Coppi. L’affollata solitudine del campione, Leonardo Lidi cresciuto alla scuola dello Stabile sarà il regista di La casa di Bernarda Alba, terminato da Garcìa Lorca soltanto due mesi prima di essere trucidato dalla milizia franchista, la vicenda di una donna autoritaria e oppressiva, capace di imporre alle figlie otto anni di lutto alla morte del secondo marito, condannandole di fatto a una prigionia che scatenerà il dramma.
Tra le coproduzioni, Gabriele Lavia ambienta in un antico teatro in rovina l’ultima opera pirandelliana, incompiuta (“una folle e poetica sarabanda”), I giganti della montagna, Filippo Dini – autore di quel Così è (se vi piace) che tanto è piaciuto al pubblico negli scorsi mesi e che verrà ripreso tanto da raggiungere anche il Teatro del Popolo di Pechino – si cimenterà in compagnia di Arianna Scommegna nelle atmosfere claustrofobiche e malate di Misery che William Goldman ha tratto dal romanzo di Stephen King, Fuoriusciti di Giovanni Grasso indagherà sul carteggio tra Don Sturzo e il laico Gaetano Salvemini, Elena Serra – nello spazio inconsueto della galleria d’arte Franco Noero – proporrà Scene di violenza coniugale di Gérard Watkins mentre Anna di Francisca farà rivivere L’anello forte di Nuto Revelli. Ancora tra le ospitalità Filippo Timi, Ditegli sempre di sì di Eduardo per la regia di Roberto Andò, Geppy Gleijeses che in periodo natalizio porta a Torino, in compagnia di Marisa Laurito, Così parlò Bellavista dal film e dal romanzo di Luciano De Crescenzo, Massimo Popolizio (Un nemico del popolo di Ibsen), Umberto Orsini (Il costruttore Solness, ancora Ibsen), Alessandro Gassmann che dirige Fronte del porto e la lettura contemporanea di Tartufo di Molière, la comunicazione e l’arroganza e l’arrivismo, dovuta al lituano Oskaras Koršunovas, presentata con grande successo all’ultimo festival di Avignone.
Elio Rabbione
Nelle immagini (nell’ordine) Valerio Binasco tra il presidente Lamberto Vallarino Gancia e il direttore Filippo Fonsatti; scene tratte da “Così è (se vi pare)”, “I giganti della montagna”, “Tartufo”, “Così parlò Bellavista” e “Skianto” con Filippo Timi.