A colloquio con alcuni grandi protagonisti del Salone del Libro
La 28° edizione della kermesse che per 5 giorni ha trasformato il Lingotto di Torino nella libreria italiana più grande del mondo, si chiude con un successo che era annunciato e prevedibile. Folla oceanica, infinite proposte editoriali, un palinsesto di appuntamenti con gli scrittori che avrebbe richiesto il grande dono dell’ubiquità. Anche correndo come leprotti assetati di cultura, ogni anno aumentano gli incontri ed è umanamente impossibile fare tutto. Noi abbiamo scelto tre autori che ci hanno incantati e ci hanno raccontato della loro vita, pensieri e opere.
Katia Petrowskaya: giornalista ucraina con radici ebraiche, ha fatto subito centro con il libro di esordio “Forse Esther” (Adelphi) in cui ricostruisce le vite spezzate di alcuni membri della sua ramificata famiglia, dispersa tra Polonia, Russia e Germania e travolta dalla seconda guerra mondiale. L’abbiamo incontrata nel padiglione del paese ospite, la Germania, splendidamente orchestrato dall’efficientissimo Goethe Institut .E’ dolcissima, quasi timida, viso acqua e sapone, grande semplicità e uno sguardo intenso che accompagna le parole con cui ci spiega:
«Alcune delle storie che narro fanno parte della mia vita, quasi leggende che mi sono state raccontate fin da quando ero piccola. Ho sentito il bisogno di rintracciare e ripercorrere quelle vite; così ho fatto alcune ricerche ed attraversato l’Europa per ricostruire destini di cui si era persa memoria. Non ho inventato nulla, semplicemente ho lasciato che le mie percezioni mi guidassero. Forse è per questo che non mi vedo come una scrittrice».
-Cosa pensa di Google che ha usato moltissimo?
«E’ stato importantissimo perché mi ha permesso di ritrovare e ricostruire vite e personaggi di cui sapevo poco. Ma è anche un mezzo inquietante: basta digitare una parola come Auschwitz e ci si può avventurare in una passeggiata virtuale nel lager».
-Quanto è stato doloroso?
«Non ho una gerarchia del dolore ma, certo, è stato difficile. Ed allo stesso tempo, molto importante: ricostruire gli orrori del XX secolo che hanno travolto la mia famiglia, mi ha permesso di rielaborare e, in parte, alleggerire la sofferenza. Il libro è un tentativo di comprendere quanto, restando sani, si riesca a sopportare del passato. Il discorso vale anche per gli orrori di cui ci parla la cronaca, come le guerre e le tragedie dei profughi ».
Perché a 30 anni ha deciso di trasferirsi proprio a Berlino, imparando anche la nuova lingua con cui scrive?
“Prima la mia vita era passata da Kiev, Mosca, S.Pietroburgo, New York e Amsterdam. A Berlino non ho solo incontrato l’amore, ma anche scoperto una città che è tra le più pacifiche e pacifiste d’Europa e in cui la tolleranza è all’ordine del giorno. Direi che li si è realizzato il sogno e l’utopia: è possibile superare il passato»
Per lei quali sono le meraviglie d’Italia?
«La Russia è uno dei paesi in cui il mito del vostro paese è più forte, anche grazie alla letteratura: da Puškin a Gogol’, ma anche Brodskij e i poeti di inizio 900. Noi abbiamo una nostra Italia ed ecco che il confronto di questi giorni diventa ancora più importante ed interessante».
Consiglio di lettura– tra i personaggi memorabili, oltre alla bisnonna del titolo, c’è la consanguinea Mira. L’autrice è riuscita a rintracciarla ed ha ricostruito la via crucis alla quale è sopravvissuta, e le cui tappe sono state: il ghetto, 5 lager, 10 giorni di marcia della morte, a 30° sotto zero e senza cibo.
Camilla Läckberg: è la regina incontrastata del giallo svedese (tradotta in 55 paesi, 15 milioni di copie vendute) con le sue trame ambientate sempre nel natio
borgo di pescatori Fjällabacka (apparentemente idilliaco, ma poi ne capitano di tutti i colori) e la coppia super vincente di Erica Falk con il marito ispettore Patrick Hedström. Diciamo subito che la Läckberg è ancora più bella di quanto suggeriscono le sue foto in circolazione. Fisico perfetto (pensare che ha 3 figli di 13, 11 e 6 anni), incredibili, immensi occhi blu che ti spalanca davanti, accompagnandoli con un sorriso splendente come il sole di mezzanotte delle sue parti. L’ultimo successo è “Il segreto degli angeli” (Marsilio) storia che inizia con un cold case. A inizio anni 70, sull’isola di Valö (al largo di Fjällabacka) il giorno di Pasqua, una famiglia scompare nel nulla; restano solo la tavola imbandita e la piccola Ebba di un anno. Delitto o scomparsa volontaria? Anni dopo quella bambina ritorna, col marito, il dolore per la morte del figlio da superare ed il progetto di riprendere i fili della sua esistenza proprio in quella casa. E non sa che l’orrore è in agguato. I libri della Läckberg sono garanzia di successo anche sugli schermi, con un film ispirato al suo 5° giallo “Il bambino segreto” e due serie tv, di cui una su Laeffe. «Ci sono state due stagio
ni di fiction per la tv: alla prima non ho collaborato, ma solo venduto i diritti e, dal momento che sono piuttosto ossessionata dal controllo, il fatto di non poter intervenire mi ha creato una certa ansia. Con la seconda è andata decisamente meglio perché l’ho co-prodotta e revisionavo ed approvavo le bozze della sceneggiatura. Le fiction si discostano un po’ dai libri e ricreano un clima alla Agatha Christie, del genere piccoli fatti ma che fanno molto scalpore; e devo dire che la cosa non mi dispiace».
La sua eroina Erica, come lei ha tre figli e scrive, non mi dica che non vi assomigliate…
«Quando ho avuto l’idea pensavo ad un personaggio autonomo e con una sua personalità; poi mi sono resa conto che quando raccontavo qualcosa che avevo vissuto, scrivevo meglio. La verità è che sono io che la copio; per esempio lei ha sposato il poliziotto prima che lo facessi anch’io».
Che mamma è?
«Più affettuosa di Erica, ho bisogno del contatto fisico, di abbracciarli e coccolarli; questo mio comportamento mette in imbarazzo i più grandi e la cosa mi diverte. Sono molto rigida per quanto riguarda l’educazione e il rispetto di semplici, ma importanti, regole, anche perché sono convinta che aiutino i bambini a diventare più sicuri».
Lei vive a Stoccolma, e Fjällabacka?
«Mia mamma vive lì e mi tiene aggiornata su tutto quello che accade, anche perché sa sempre tutto di tutti. Ci sentiamo spesso telefonicamente e quando posso vado a trovarla. I miei figli adorano quel paese, così a volte li imbarco sull’aereo, anche da soli, e li spedisco dalla nonna. Ma se vivessi a Fjällabacka non riuscirei a scriverne, ho bisogno di guardarla dall’alto e in modo distaccato.
Il suo prossimo libro?
«In Svezia lo stanno già traducendo; invece per Natale aspettatevi un racconto breve ispirato ad Agatha Christie»
Sempre dai fiordi è arrivato Björn Larsson, l’affascinante scrittore svedese che ha conquistato il cuore delle lettrici italiane fin dal suo grande successo “La vera storia del pirata Long John Silver” in cui raccontava la storia veritiera del personaggio di Robert Louis Stevenson. Dobbiamo alla lungimiranza e bravura della casa editrice Iperborea la scoperta di Larsson: scrittore che spazia dalle avventure legate al mare a traversate della letteratura di tutti i tempi e latitudini, con la prua puntata soprattutto verso quella francese, che insegna all’u
niversità. Al Salone arriva per “Raccontare il mare”, sua ultima navigazione attraverso i grandi classici della letteratura marinaresca, svelandoci anche autori minori e smantellando qualche luogo comune, come quello su Ulisse. «Non era un marinaio, ma un soldato che voleva solo tornare a casa, costretto suo malgrado a peregrinare da un approdo all’altro. Il libro è un capolavoro assoluto della letteratura mondiale, l’ho riletto più volte e se penso a Penelope trovo che sia una bellissima storia d’amore»
Lei invece è un uomo di mare, ha solcato più volte il Mare del Nord e il Nord Atlantico. Quanto della sua vita vive in barca?
«Almeno metà del mio tempo, soprattutto nella bella stagione; invece d’inverno vivo in un monolocale che è una piccola biblioteca»
Ci racconta la sua vita a bordo della sua magnifica barca a vela?
«Sono un navigatore che non sfida mai il mare, mi preparo e bado agli aspetti pratici che sono molti. Alcuni semplici, come fare una scorta di sugo in pentola a pressione che duri almeno i primi due giorni di navigazione; quelli in cui ci si deve abituare all’idea che poi si sarà sempre in movimento».
Ispirazione e scrittura avvengono in mare?
«Non sarebbe possibile, occorre controllare costantemente la navigazione e non c’è tempo per altro. Però scrivo sulla barca quando sono fermo in porto»
Perché ha scritto che la navigazione in sé è piuttosto noiosa?
«Perché è vero. Quando stai al timone per ore e ore tutto quello che vedi è acqua, cielo, sole: magnifico ma anche monotono. Invece quando arrivi in un porto incontri persone, le inviti sulla tua barca, leggi, scrivi e puoi fare tante altre cose».
Il suo stato d’animo quando parte e quando arriva?
«Alla partenza dipende molto da quanto starò via. La volta che siamo partiti in due, per un viaggio di due anni, è stata una libertà gioiosa, ero felice per tutto il tempo che avrei avuto davanti, senza impegni. Se invece è un periodo breve, solo di 1 mese o 1 mese e mezzo, allora il pensiero corre già a quando dovrò tornare e mi dispiace il poco tempo a disposizione. Quando arrivo il primo pensiero è “Perché non continua!” Ed ho bisogno di qualche giorno per riadattarmi».
La libertà che ama?
«Un mix di più cose: l’idea di viaggiare con la mia casa, in barca si vive con pochi soldi ed è un’esperienza molto interessante, poi si possono portare penna e libri, fermarsi quando, quanto e dove si vuole. Non sono mai stato attratto dai viaggi con lo zaino, la barca è tutta un’altra cosa e puoi portarci chi vuoi.
Il mare in cui potremmo incrociarla questa estate?
«Sarà un viaggio breve intorno a Svezia, Danimarca, forse fino in Germania e Polonia, che è raggiungibile via mare».
Il prossimo libro?
«Sto lavorando a due contemporaneamente: uno molto impegnativo, l’altro più leggero e col quale mi riposo…ma non svelo di più».
Laura Goria