RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Alexandra Lapierre “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin” -edizioni e/o- euro 22,00
In queste 460 pagine c’è tutto quello che occorre per un incantevole romanzo (potrebbe essere anche un film epico) dove si amalgamano magistralmente: la bravura dell’autrice, una protagonista che non si scorda più, avventura, spazi infiniti, eventi storici e molto altro ancora.
Innanzitutto è un’assoluta garanzia la firma di Alexandra Lapierre (figlia del famoso Dominique Lapierre, autore di “La città della gioia”); autrice di biografie che restituiscono il giusto rilievo a donne spesso trascurate dalla storiografia, ma che hanno vissuto esistenze eccezionali e raggiunto grandi primati.
Questo libro è il frutto di 4 anni di minuziose ricerche; Alexandra Lapierre ha scandagliato gli archivi sparsi agli angoli del mondo e si è messa sulle tracce della protagonista, visitando di persona i luoghi del suo passaggio.
Franklin Stella, Miles, (nome maschile di un avo che, alla nascita, le diedero per ultimo e poi diventerà il suo marchio) è la prima di 7 tra fratelli e sorelle. Nasce nel Bush interno australiano, in una fattoria in crisi, Stillwater (acqua cheta).
Adora il padre, uomo sensibile e buono, ma pessimo negli affari. Invece, per lo più, è in rotta di collisione con la madre, che discende da una ricca e colta famiglia; donna intelligente ed energica, ma rassegnata al ruolo tradizionale di moglie e madre, che prospetta anche alla figlia.
Stella-Miles ama gli sconfinati spazi del Nuovo Galles del Sud, dove adora cavalcare libera; è rude con i giovanotti affascinati dalla sua audacia; i limiti della società vittoriana le vanno stretti. Ha deciso: non si sposerà, e mai diventerà la serva di marito e figli. Il suo orizzonte è decisamente più ampio…anzi, sconfinato.
Ha talento nella scrittura, la sua maestra ne intuisce il potenziale e la incoraggia. Così inizia a germogliare il seme della futura: scrittrice, femminista, volontaria, attivista e donna straordinaria, protagonista del 900, Stella-Miles Franklin.
Piccola di statura (appena 1metro e 53 cm) -dentro è un gigante- occhi chiari leggermente a mandorla, una cascata di riccioli bruni raccolti nella lunga treccia. Non ha paura di nulla e nessuno.
Ingaggia la prima sfida scrivendo “La mia brillante carriera”, ispirato alla vita in famiglia e agli altri abitanti della zona; senza risparmiare descrizioni acute e spietate degli angusti orizzonti della società dell’epoca.
Il romanzo viene pubblicato a Edimburgo ed è immediato successo in tutto l’Impero. Purtroppo però ha firmato un contratto capestro e non ricava alcun profitto.
All’inizio subisce il disappunto di chi la riconosce e si sente messo sotto accusa nelle sue pagine. Le cose cambiano quando, grazie ai riconoscimenti della critica, diventa famosa ed il libro è considerato il primo capolavoro che, finalmente, mette in risalto la letteratura australiana a livello mondiale.
Decide di andare a Sidney, senza un soldo in tasca, ma sperando di stipulare contratti vantaggiosi con altri editori. Ormai è il personaggio del momento e le dame dell’alta società se la contendono come ospite d’onore nei loro salotti. Purtroppo non conclude nulla di quanto sperava; in compenso, conosce alcune femministe e sono incontri importanti.
Torna a casa per scrivere il libro inchiesta sull’esperienza da infiltrata -come domestica- nelle famiglie benestanti di Sidney: ha documentato i maltrattamenti inflitti metodicamente dai datori di lavoro e scritto “Quand’ero Mary Ann, una schiava”. Peccato venga rifiutato dagli editori.
Ma lei è indomabile e coraggiosa, con l’aiuto della madre -che le offre la chance a lei negata- spicca il volo.
E’ l’avvio di una vita avventurosa in America, dove trova solidarietà nella suffragetta Vida Goldstein e nelle femministe che lottano con lei, delle quali Stella condivide gli ideali.
Sostiene lo sciopero delle operaie a Chicago, lavora come cavallerizza in un circo in Colorado, nel 1907 arriva a San Francisco distrutta dal terremoto.
Scrive tutte le esperienze che vive nei suoi reportage, sotto pseudonimi vari.
Si barcamena sempre in ristrettezze economiche, ma nulla la ferma.
E durante la Prima guerra mondiale si offre volontaria in un ospedale da campo nei Balcani.
Poi decide di approfondire le ricerche sui primi fondatori galeotti dell’Australia, rintanandosi tra i preziosi documenti conservati negli archivi della London Library.
E’ allora che l’assale una struggente nostalgia del Bush, dove decide di tornare.
Ricomincia nella terra delle sue radici, dove conduce un’esistenza semplice e con pochissimi mezzi.
Dal 1929 scrive splendidi romanzi di carattere storico e li firma con lo pseudonimo Brent of Bin Bin. Il successo è travolgente.
E anche se scrivere è la profonda passione che la anima, persiste nel non voler rivelare la sua vera identità; agli occhi del mondo, la scrittrice Miles Franklin continua ad essere scomparsa da 35 anni.
La svolta è nel 1936, quando riceve l’S.H.Prior Memorial Prize che la consacra gloria letteraria nazionale e restituisce finalmente a Miles Franklin il posto che le spetta da sempre di diritto.
Nonostante la fama, lei non cambia stile di vita, tantomeno si monta la testa; molto più semplicemente e con esemplare coerenza, continua a vivere modestamente.
Fino a quando il suo cuore si ferma per le complicanze di una pleurite; il 19 settembre 1954, a poche settimane dal compiere 75 anni.
Ha disposto che la notizia non appaia sui giornali e le sue ceneri siano disperse nelle acque del Jounama Creek, fiume che dalle montagne scorre a sulle terre di Talbingo e che la riporta dritta agli anni dell’infanzia.
La sorpresa piomba mesi dopo, all’apertura del testamento. Quando il più grande dei suoi misteri è svelato: in banca aveva accumulato una fortuna da destinare a un premio letterario annuale, che porti il suo nome e sia degno del continente australiano.
Una giuria di 5 persone deve assegnarlo all’opera che meglio rappresenta la vita in Australia, sotto qualsiasi aspetto e in qualunque epoca.
Convinta della necessità di dare risalto alla letteratura nazionale (e svincolarla dalle influenze inglesi e americane) Stella aveva sempre rinunciato a tutti gli agi e al superfluo, mettendo da parte un tesoro immenso.
Il Miles Franklin Literary Award oggi è uno dei premi più ricchi del pianeta, nonché quello letterario più prestigioso ed ambito del Commonwealth.
Il primo scrittore australiano ad ottenerlo, nel 1957, è stato Patrick White, in seguito vincitore anche del Premio Nobel per la letteratura.
Ed ora c’è anche lo Stella Price, premio da assegnare alla migliore opera dell’anno scritta da una donna
Miles Franklin “La mia brillante carriera” -elliot- euro 17,50
Dietro il nome apparentemente maschile si cela proprio lei, la più grande scrittrice australiana, Stella Maria Sarah Miles Franklin; potremmo anche definirla, mecenate delle patrie lettere post mortem.
La prima ad aver posto le basi di una letteratura che scandaglia e fa conoscere al mondo intero il cuore più autentico e profondo del suo sconfinato e spettacolare paese.
Ha iniziato a scrivere questo romanzo a 16 anni, l’ha finito a 20 e pubblicato a 22, nel 1901.
Protagonista è il suo alter ego, Sybilla Melvyn, che le somiglia praticamente in tutto: tipo di famiglia, il Bush nel quale vive, la passione per la scrittura, l’anelito alla libertà, il rifiuto dei rigidi canoni dell’epoca vittoriana, la ricerca di un femminismo molto personale (quando il movimento non era ancora neanche nato).
Sybilla è la figlia dell’affascinante Richard Melvyn, proprietario terriero e allevatore, “uno che conta”, e dell’aristocratica Lucy Bossier di Caddagat.
La piccola è cresciuta nel Bush, ama cavalcare e non sa cosa sia la paura.
Poi il padre ha dovuto fare i conti con l’allevamento poco remunerativo, si è dedicato alle aste del bestiame e le cose sono andate di male in peggio.
Nel romanzo tocchiamo quasi con mano la fatica di vivere cotti dal sole, logorati dalla fatica, la strenua lotta contro la siccità e gli altri ostacoli di una terra bellissima, ma che lancia sfide continue.
E’ questo lo sfondo su cui cresce la protagonista, che si ribella alle due sole opzioni che si profilano all’orizzonte di una ragazza: matrimonio o insegnamento.
Una svolta c’è quando, per alleggerire la famiglia di una bocca in più da sfamare, Sybilla viene ospitata nella tenuta della nonna.
Ed è lì che, grazie all’affetto e alle attenzioni soprattutto della dolcissima zia Helen, la giovane trova poco a poco più sicurezza in se stessa ed impara un nuovo modo di affrontare la vita.
Non è bella secondo i soliti canoni, ma ha il fuoco dentro, e per chi sa vedere più in profondità, traspare; è questo a renderla particolarmente affascinante.
Sicuramente lo pensa l’attraente e ricco proprietario terriero Harry Beecham, che la corteggia.
Sybilla non gli è indifferente; ma quando lui le propone di sposarlo, ecco l’amletica scelta tra un rassicurante futuro convenzionale oppure la brillante carriera che sogna da sempre.
Da questo famoso classico della terra dei kangaroo è stato tratto l’omonimo film diretto da Gillian Armstrong, nel 1979, interpretato da Sam Neil e Judy Davies, sullo sfondo di incantevoli scenari tipici dell’Australia; che incantarono pubblico e critica quando la pellicola concorse al 32 Festival di Cannes.
Robert Hughes “La riva fatale” -Adelphi- euro 23,00
A lungo, per i cartografi, l’Australia non è esistita; o meglio, si sapeva di un continente australe, ma è solo con una spedizione nell’Oceano Pacifico che si apre una nuova frontiera.
Il capitano Cook nell’aprile del 1770 sbarca nell’odierna baia di Sidney ed accerta una volta per tutte la reale presenza di quella sconfinata terra.
Però dopo la scoperta dell’Australia da parte dell’Impero Britannico, per quasi 20 anni la Corona sembra dimenticarsene.
Di fatto, la storia dell’Australia inizia il 26 gennaio del 1788, con l’arrivo della flotta di 11 vascelli inglesi, che gettano l’ancora a Botany Bay. A bordo ci sono1030 persone, ma poiché 800 di loro sono galeotti in catene, possiamo considerarle una sorta di tante arche di Noè della criminalità.
Le oltre 700 pagine di questo libro –tra romanzo storico e saggio- raccontano una storia di grande sofferenza e dolore; di fatto, l’espulsione di interi gruppi di persone “indesiderabili”. Non esattamente un bell’inizio, ma da quello è sorta una strabiliante nazione.
L’ultima nave di deportati sbarcherà nel 1868. E nell’arco di tempo tra i due approdi, l’Australia si configura come immenso penitenziario; sede del primo esperimento di deportazione di massa, attuato dal mondo cosiddetto civile.
E’ dalla scoperta dell’America nel 1492 che l’Inghilterra esiliava i suoi delinquenti a scontare le pene nelle colonie oltreoceano.
In Australia, secoli dopo, l’opera sarà più massiccia e cruenta.
Soprattutto, trasformerà un intero continente inesplorato in una prigione dove scaricare 200.000 “pezzi da galera”.
In questo modo i tribunali britannici escogitarono il “sistema” per ripulire la società da chi ritenevano: derelitto, irrecuperabile, rifiuto umano.
Le pene più severe –incluse le condanne a morte tramite impiccagione- vennero convertite nella deportazione dall’altra parte del globo.
Inoltre l’Australia era anche la colonia ricca di nuove materie prime preziose. Le cose poi non furono tanto facili; a partire dalla natura stessa dei luoghi, rivelatisi spesso impenetrabili, difficili ed irti di pericoli.
Nel corso degli anni il paese si configurò come gigantesca prigione a cielo aperto. I condannati sopravvissuti al durissimo viaggio finivano in campi simili a lager; dov’erano sottoposti a duro lavoro, privazioni e torture di ogni genere.
Stessa sorte toccò agli abitanti autoctoni, gli aborigeni australiani che, come i nativi nord americani, furono decimati e spodestati.
Nel testo di Hughes sono documentate le condizioni dei deportati, molti dei quali erano bambini.
Le donne, a loro volta, erano prigioniere dei prigionieri; ma, peggio di tutti furono trattati gli aborigeni, soprattutto i tasmaniani che, da veri padroni del continente precipitarono all’ultimo livello della scala sociale, considerati meno di nulla.
Chi ce la faceva, come gli ex carcerati, dopo aver scontata la pena, si inseriva nella società dei coloni “senza macchia” e in un sistema conservatore, improntato a uno snobismo di stampo provinciale.
Per esempio si scimmiottava la tradizionale caccia alla volpe della madre patria; solo che, in mancanza della fulva preda britannica, si rincorrevano gli australiani dingo.
Dunque, per i primi 80 anni dopo l’arrivo degli inglesi l’Australia fu sostanzialmente un pozzo nero, la cui fine fu decretata dall’approdo dell’ultima nave nel 1868.
Nel frattempo, era cresciuta una florida nazione in cui gli scambi erano stati continui, l’economia in piena crescita e sviluppo.
Tuttavia, l’Australia moderna sembrava voler dimenticare le origini, intrise di sangue e dolore; quasi si vergognasse delle sue radici che ramificavano nelle lontane galere inglesi.
Nel 1987 sarà proprio un australiano a pubblicare “La riva fatale”, mastodontico libro sull’insediamento e la costruzione dell’Australia. Lo scrittore, critico d’arte e storia, documentarista televisivo, Robert Hughes (nato a Sidney nel 1938, morto a New York nel 2012).
Ha fatto ricerche approfondite e vastissime in più campi: dall’economia alla politica, dalla storia militare alla zoologia, passando per le antiche tecniche di costruzione delle navi e il supporto di documenti importantissimi.
Si è avvalso di centinaia di testimonianze, dati e fonti che hanno restituito voce ai tanti disgraziati che furono i primi bianchi a vivere sul suolo Australiano.
Dunque un testo fondamentale –di scorrevole lettura, nonostante la mole- per chi vuole conoscere a fondo questo immenso ed affascinante angolo di mondo.
Patrick White “L’esploratore Voss” -Mondadori- euro 15,00
Patrick White è ritenuto il fondatore del romanzo australiano moderno, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1973 (uno dei più misconosciuti tra i Nobel, e neanche lo ritirò di persona).
Era nato a Londra il 28 maggio 1912 e dopo solo 6 mesi la famiglia tornò in Australia; la sua infanzia fu segnata da una grave forma di asma che lo costrinse ad una forzata solitudine e contribuì a formare il suo carattere schivo ed introverso.
Sviluppò una notevole immaginazione; l’isolamento fu sopportabile perché leggeva, scriveva, esplorava e scopriva l’amore per il teatro.
Crescendo non si distinse negli studi, avrebbe preferito dedicarsi solo alla scrittura; in seguito per un po’ fece l’allevatore di pecore e bovini.
Alla morte del padre, ebbe la fortuna di ereditare una somma che gli permise di mantenersi e dedicarsi tranquillamente alla sua vera passione.
“L’esploratore” del 1957 è considerato il suo capolavoro, ma va ricordato che White è stato un intellettuale controverso. Aveva fama di uomo burbero, scostante, autore difficile che scriveva in modo criptico, per lo più troppo indecifrabile e faticoso da leggere.
“L’esploratore” narra proprio la storia di un esploratore tedesco, Johann Ulrich Voss, deciso ad intraprendere la pericolosa scoperta dell’entroterra australiano.
L’opera trae ispirazione dalla seconda perlustrazione realmente effettuata nel 1848 dall’esploratore tedesco Ludwig Leichardt all’interno del continente australiano, e di lui si persero le tracce.
Nel romanzo, il protagonista Voss risulta un personaggio bizzarro, complesso, megalomane, spinto non solo dalla curiosità di scoprire terre e natura nuove, selvagge e inesplorate. La sua spedizione, più che geografica, trascende l’elemento fisico ed insegue piuttosto una connessione spirituale.
Il suo si configura prima di tutto come viaggio interiore, cammino di sofferenza verso la crescita come persona e sconfina in ricerca del senso dell’universo.
Importante sarà l’incontro e la comunicazione spirituale con la sensibile Laura Trevelyan. Ma non è previsto il lieto fine. Piuttosto nel romanzo emerge la spettacolare ambientazione australiana; la natura selvaggia e la storia della sua esplorazione.