IN VIA PIETRO GIURIA IL MUSEO DEDICATO ALLO STUDIOSO

Cesare Lombroso… i buoni e i cattivi

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lombroso2lombroso3La più nota delle sue intuizioni fu la “teoria del delinquente nato” secondo la quale un’alta percentuale dei criminali possiederebbe particolari caratteristiche anatomiche e fisiologiche, presenti fin dalla nascita, che li renderebbe inevitabilmente devianti

 

Anche se le sue teorie furono fin da subito fortemente contestate e oggi hanno solo un valore storico, tutti condividono nel riconoscere in Cesare Lombroso il primo grande studioso di criminologia. Nato a Verona nel 1835 e morto a Torino nel 1909, vanta una vita ricca di esperienze e ricerche: laureato in Medicina a Pavia, lavorò come medico legale in diversi contesti (campagna contro il brigantaggio successiva all’unificazione italiana, nel carcere di Torino,..). Per molti anni portò avanti ricerche sulla personalità criminale e sulle componenti considerate responsabili del comportamento. Con questi studi, Lombroso può considerarsi il pioniere di un indirizzo della criminologia secondo il quale lo studio del reato doveva orientarsi principalmente sulla personalità del delinquente, fino a quell’epoca trascurata.

 

La più nota delle sue intuizioni fu la “teoria del delinquente nato” secondo la quale un’alta percentuale dei criminali possiederebbe particolari caratteristiche anatomiche e fisiologiche, presenti fin dalla nascita, che li renderebbe inevitabilmente devianti. In particolare, Lombroso individuò nella presenza di una “fossetta” anomala dietro l’osso occipitale la prova che criminali si nasca e non lo si diventi, la possibilità, quindi, di distinguere i buoni dai cattivi. Questi fattori individuali innati assumevano nella sua teoria un significato privilegiato come elemento causale della condotta criminosa; Lombroso parla infatti di “determinismo biologico” in riferimento all’inevitabilità con cui questi caratteri anatomici condurrebbero all’esito criminale.

 

La seconda grande intuizione di Lombroso fu la “teoria dell’atavismo”, secondo la quale la condotta criminosa del “delinquente nato” era interpretata come una forma di regressione a livelli primordiali dello sviluppo umano: l’autore di reato, secondo questa prospettiva, è un individuo primitivo nel quale la scarica degli istinti aggressivi si realizza nel delitto senza inibizioni. Lombroso costruì queste teorie portando avanti accurate analisi sulla forma e dimensione del cranio di numerosi delinquenti che ebbe modo di analizzare post-mortem grazie al suo lavoro di medico legale.

 

Ebbe la possibilità di svolgere molte ricerche lavorando come medico militare durante la lotta al brigantaggio intrapresa dell’esercito sabaudo, analizzando la struttura dei crani di migliaia di cadaveri alla ricerca delle caratteristiche comuni che potessero dare ragione della ribellione. Ma il caso che gli rimase più impresso fu quello che esaminò in seguito, il corpo del brigante Giuseppe Villella, settantenne, datosi alla macchia sui monti. Durante l’autopsia fece la “sensazionale scoperta” di alcune caratteristiche anomale a livello delle ossa craniche che lo spinsero a considerare che quelle peculiari caratteristiche ossee avessero avuto una certa influenza sull’attività del cervello. Inoltre, il trovare in un uomo queste malformazioni, normalmente presenti solo in primati e gorilla, lo portò a spiegare l’origine di queste anomalie come un arresto allo stato fetale nello sviluppo del cervello. La presenza di caratteri tipici dei primitivi in un uomo moderno venne quindi considerata da Lombroso come la prova della sua “teoria dell’atavismo”, della presenza di una predisposizione biologica al crimine.

 

Il reato rappresentava, dunque, nella visione lombrosiana un evento strettamente legato a qualcosa di “patologico” o “primitivo” che alcuni uomini presentano come loro specifica caratteristica: esistono uomini buoni, osservanti delle leggi e uomini cattivi che inevitabilmente delinquono perché spinti della loro “natura”. La presenza di caratteri primitivi sarebbe alla base dei comportamenti anomali che derivano quindi, indipendentemente dal un atto di scelta volontaria e cosciente, direttamente da deviazioni della struttura fisica. Secondo questa prospettiva, viene nettamente svalutata l’influenza dell’ambiente, ma anche l’individuo stesso viene deresponsabilizzato poiché non è possibile colpevolizzare una persona per le anomalie biologiche di cui è portatrice e per i crimini che ne derivano.

 

Il problema che si presentò al Lombroso fu quindi quello di ridefinire, alla luce di queste intuizioni e teorie, il problema del reato in termini di libero arbitrio e di responsabilità: se il delinquente è un individuo “anormale” e la delinquenza non è la conseguenza di scelte individuali o influenze sociali, il ragionamento successivo proposto da Lombroso è che non si possa fare nulla nei loro confronti in quanto “predestinati al delitto”. L’unica strada percorribile per la Società è difendersi dalla loro innata pericolosità. Le carceri, secondo la sua prospettiva, avrebbero dunque dovuto assumere non tanto una funzione punitiva, ma andrebbero intese come luogo di cura e l’unico approccio utile nei confronti del criminale sarebbe quello clinico-terapeutico.

 

Sebbene a Lombroso vada riconosciuto il merito di aver tentato un primo approccio sistematico allo studio della criminalità, molte delle sue teorie sono oggi private di ogni fondamento. La scienza moderna ha infatti dimostrato che sia l’ambiente sia i geni influiscono sull’aspetto fisico, e che quest’ultimo non influisce sul comportamento, influenzato invece anche da fattori ambientali, educativi e sociali. Importanti errori metodologici dell’impostazione di Lombroso risiedono nel non aver considerato altre variabili come, ad esempio, l’influenza della vita carceraria sull’aspetto fisico dei detenuti (esempio gli effetti della malnutrizione), così come non aver analizzato il corpo di persone non autori di reati; questo gli avrebbe consentito di scoprire che la famosa malformazione della fossetta occipitale è ugualmente distribuita nell’intera popolazione.
Cesare Lombroso fondò a Torino nel 1876 un museo di psichiatria e criminologia, più tardi chiamato “di Antropologia criminale”.

 

Il museo ospitato all’interno dell’Università, per lungo tempo parzialmente accessibile soltanto per motivi di studio e di ricerca, è stato trasferito ed inaugurato di nuovo il 26 novembre 2009 con una nuova apertura al pubblico. L’odierno allestimento del Museo “Cesare Lombroso” presso il Palazzo degli Istituti Anatomici dell’Università (Via Pietro Giuria, 15) a due passi dal Parco del Valentino, è opera dell’architetto Massimo Venegoni e il percorso espositivo è arricchito da svariate postazioni multimediali per puntualizzare il contesto storico e culturale nel quale si svolse la sua opera.

 

Il Museo ospita collezioni che comprendono preparati anatomici, disegni, fotografie, corpi di reato, scritti e produzioni artigianali e artistiche, anche di pregio, realizzate da internati nei manicomi e dai carcerati. Lombroso iniziò a raccogliere questi materiali intorno al 1859 e continuò a farlo per tutta la vita, con l’aiuto di allievi e ammiratori che in Italia e in altri paesi europei, in America, Asia e Australia, si ispirarono alle sue teorie. Fu poi Mario Carrara, genero e successore di Lombroso, a proseguirne l’opera fino al 1932.Per concludere, una nota particolare: il Museo ospita anche il cranio del brigante Giuseppe Vilella, così importante per Cesare Lombroso che lo teneva come soprammobile sulla scrivania del suo studio. 

 

Roberta Grasso
Psicologa Psicoterapeuta