Processo Eternit, in riva al Tevere si chiude il lungo percorso giudiziario iniziato sulle rive del Po. E la partenza dal Tribunale di Torino venne resa possibile dalla presenza della Saca (Gruppo Eternit) a Cavagnolo con la sua scia di morti
AGGIORNAMENTO
Annullata senza rinvio, dichiarando prescritto il reato, da parte della Cassazione, la sentenza di condanna per l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny nel maxiprocesso sull’Eternit. Contestualmente annullati anche i risarcimenti per i familiari delle vittime e per le amministrazioni locali, in primis Casale Monferrato, che si erano costituite come parti civili. I parenti delle vittime dell’amianto: “Vergogna, vergogna!” Francesco Iacoviello, sostituto procuratore della Corte di Cassazione aveva chiesto di dichiarare prescritto il maxi-processo Eternit per disastro ambientale:“La prescrizione non risponde a esigenze di giustizia ma ci sono momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte”. In tal modo si annulla la condanna a 18 anni per l’ imputato, che era stato condannato dalla corte d’appello torinese nel 2013. Rabbia e amarezza da parte dei familiari delle vittime dell’industria.
LE REAZIONI
Il commento del Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino
“Apprendo con sorpresa e disappunto della decisione della Corte di Cassazione di annullare, causa prescrizione del reato, la sentenza di condanna a Stephan Schmidheiny nel processo Eternit. Non può che destare profonda indignazione il fatto che migliaia e migliaia di persone e famiglie siano private del riconoscimento dei danni e delle responsabilità per ragioni che sono poco più che cavilli burocratici. Quando il diritto cozza con le più elementari ragioni di giustizia è segno che c’è qualcosa di profondo che non funziona nei meccanismi della giustizia italiana. Il danno provocato dagli stabilimenti piemontesi e italiani dell’Eternit va al di là delle morti finora contabilizzate e allunga la sua ombra sulle generazioni future: alle famiglie delle vittime, alle associazioni che si sono battute in questi anni e a tutti coloro che attendevano un giudizio di giustizia ed equità, vanno la mia solidarietà, il mio sostegno e la mia vicinanza.”
Guariniello: “Aspetto di leggere la sentenza”
Palazzetti, sindaco di Casale: “Dispiaciuta e amareggiata”
Lavagno (Pd): “Una richiesta che umilia la giustizia”
Cgil: “Richiesta sconcertante”
Airaudo (Fiom): “Richiesta pg scandalosa”
(Roma – Nostro servizio) – Nella capitale oggi, mercoledì 19 novembre, si celebra l’ultimo atto della lunga trafila giudiziaria relativa alle morti bianche dell’Eternit, la fabbrica della morte che dall’inizio del Novecento sino al 1986 fu operativa a Casale Monferrato, portando si lavoro, ed illusorio (e relativo) benessere per molte famiglie, ma che ha lasciato – e continua a lasciare – una scia di morte tra i lavoratori ed i cittadini per via dei “ricordi” che ha lasciato e che si chiamano cancro al polmone, asbestosi, e soprattutto, il terribile mesotelioma pleurico, la neoplasia alla pleura (o, più raramente, al peritoneo) che non lascia scampo. E nell’elenco delle città martiri non c’è solo Casale, che è quella che ha pagato il tributo più alto in vittime, ma ci sono anche Cavagnolo, in Provincia di Torino, dove c’era la Saca, altra controllata del gruppo dalla proprietà belga prima e svizzera poi, Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia). Il 10 ottobre 2009 iniziò davanti al Tribunale di Torino il processo per disastro doloso e omissione volontaria delle misure di sicurezza nei confronti di Stephan Schmidheiny, multimiliardario svizzero, già consigliere per l’ambiente dell’allora presidente americano Bill Clinton, e dell’anziano Louis De Cartier De Marchienne, barone belga. Torino venne scelta perché nel maxi esposto indirizzato a Raffaele Guariniello, dove venivano documentate le innumerevoli morti per cancro dei lavoratori, si era specificato che Cavagnolo, era uno dei luoghi dove si era consumato il dramma.
E proprio il Comune di Cavagnolo, prima della pronuncia della sentenza di primo grado aveva ritirato la sua costituzione di parte civile dietro il pagamento di una somma milionaria da parte dei legali di Schmidheiny, offerta (poi ribattezzata “L’offerta del diavolo”) avanzata anche all’amministrazione comunale di Casale pari a 18 milioni di euro. Su questo punto il fronte anti – amianto in quell’occasione aveva vacillato perché il consiglio comunale, con il voto favorevole dell’allora maggiorana di centro – destra, aveva votato un atto di indirizzo nel quale di autorizzava l’allora sindaco Giorgio Demezzi e la sua giunta ad accettare la transazione (il tutto all’insegna che dopo sarebbe stato difficile il recupero delle somme e che questi avrebbero potuto venire impiegati immediatamente per la città), ma si verificò una vera e propria levata di scudi, che portò il sindaco Demezzi, tra una presenza in televisione da Gad Lerner ed un incontro con il ministro della salute Renato Balduzzi il 1 gennaio 2012 in prefettura ad Alessandria, ad un ripensamento ed alla reiezione della proposta.
Si arrivò così alla storica sentenza del 13 febbraio 2012 in cui il Tribunale condannò i due imputati, difesi da professionisti di elevato livello, a 16 anni di reclusione e ad un risarcimento multimionario alle parti civili. Guariniello, che con il suo pool di magistrati sostenne le ragioni della pubblica accusa disse “mi sembra di sognare”. Unico neo di l’esclusione dei lavoratori di Bagnoli e Rubiera dagli episodi contestati ai due imputati. La Corte d’Appello, invece, il 3 giugno 2013 non solo ha confermato la validità dell’impianto accusatorio ma, allargando la responsabilità penale a tutti gli episodi contestati, ha aumentato a 18 anni la condanna all’imputato svizzero, mentre l’altro era nel frattempo deceduto. La sentenza, forse, non arriverà oggi, come spiegano il presidente ed il coordinatore dell’Afeva, l’Associazione familiari vittime amianto, Romana Blasotti Pavesi e Bruno Pesce, ma ci sarà comunque entro la fine del mese. E, intanto, sempre dall’ombra della Mole Antonelliana sta per partire contro gli ex vertici Eternit un secondo processo, con i capi d’accusa elaborati dalla Procura torinese.
Massimo Iaretti