IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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La trascrizione all’anagrafe di suo pugno di “figli” di coppie omosessuali da parte del sindaco Appendino e’ destinata a far discutere. La stessa Appendino dichiara che ha inteso “forzare“ la legge vigente che non prevede quel riconoscimento. Le unioni civili, secondo il testo Cirinnà lo prevedeva, ma poi il testo della legge, votato in Parlamento, ha stralciato quell’elemento divisivo. Non si tratta di essere bigotti, si tratta di considerare che la famiglia naturale e’ quella formata da un uomo e da una donna. Le unioni civili sono un surrogato del matrimonio,non il matrimonio,come volevano gli ultrà radicali. I “diritti” non previsti da una legge non possono essere garantiti da un sindaco che si pone contro la legge,andando quindi contro i suoi doveri. Mi auguro interventi volti ad annullare l’atto del sindaco di Torino che è tornata sulle pagine dei giornali come l’eroina di certe battaglie. Ciascuno può scegliere come vivere la propria vita e le Unioni civili lo garantiscono a tutti. Ma la famiglia e soprattutto i figli sono un’altra cosa.Un bimbo con due mamme o due papà ha difronte a se’ modelli di vita che non ne favoriscono una crescita adeguata.
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C’è un assessore che ha dichiarato che “Torino aperta ai diritti di tutti e’ più innovativa.”Si tratta di distinguere i diritti dai desideri che si vorrebbero far diventare diritti. Lo scriveva il compianto Piero Ostellino, un laico e un liberale autentico. I desideri non sono diritti. E i diritti implicano anche doveri che oggi non appaiono chiari e definiti, se non nelle intenzioni delle coppie omosessuali. In ogni caso, in linea prioritaria, andrebbero garantiti diritti che i cittadini non si vedono riconosciuti. Torino oggi è una città in cui, ad esempio, non è garantita la sicurezza neppure in occasione di una partita di calcio. Non voglio insistere sulla tragedia del 3 giugno, ma l’inchiesta dei magistrati ha fatto emergere tanta superficialità e approssimazione. Non è che forzando la Cirinnà si possa dare una indicazione, anche piccola, di miglioramento delle condizioni di vita dei torinesi. Per non parlare delle periferie in stato di abbandono, dei campi rom, delle occupazioni abusive di case, dell’immigrazione fuori controllo. E’ su questi terreni che si misura una buona amministrazione, non sui gesti eclatanti che rivelano scelte elitarie in senso radicale che la maggioranza dei torinesi non credo senta come urgenti, fino ad indurre a” forzare”la legge.