E' Gabriele Ferraris a rialimentare questa illustre tradizione: ed ecco comparire "Mainagioia" per l’Assessora alla Cultura Francesca Leon

Dal Lungo a Chiarabella, vecchi e nuovi nomignoli della politica torinese

di Enzo Biffi Gentili

Denise Pardo sul numero de “L’Espresso” attualmente in edicola dedica un saporoso articolo, intitolato Com’è veloce er moviola, alla figura apparentemente sottotono e all’azione al rallentatore, con qualche compiacimento vernacolare, di Paolo Gentiloni. Nell’occasione, partendo dal soprannome “er Moviola” dato al Presidente del Consiglio, osserva che nella Capitale da sempre vengono affibbiati vividi nomignoli ai politici. A questo irriverente umorismo romano dobbiamo, integrando l’elenco redatto dalla Pardo e risalendo nel tempo, a esempio “er Piacione” per Francesco Rutelli, “Belzebù” per Giulio Andreotti, “lo Squalo” per Vittorio Sbardella, “er Varechina” per Giorgio Moschetti, “er Pennacchione” per Nicola Signorello, “er Monaco” per Alberto Giubilo, “er Pecora” per Teodoro Buontempo “er Caccola” per Stefano Delle Chiaie, “er Puzzone” per Benito Mussolini… Una consuetudine molto romana, ma che trova la sua origine, come la nostra lingua, in Toscana, dove questa tradizione non si è mai spenta: non a caso sin da bimbo Matteo Renzi, per la sua propensione a spararle grosse, era chiamato dai compagni “il Bomba”. Ma occorre fare un po’ di revisionismo storico, rammentando che anche a Torino, tra gli anni ’70 e gli ’80, assistemmo a una straordinaria proliferazione di nickname, molti dei quali nati nell’area socialista, e spesso creati da quel personaggio esuberante che fu Silvano Alessio. Citiamone alcuni, omettendo tuttavia, per rispetto, nomi e cognomi beneficati da nomignoli forse troppo irriguardosi. La narrazione della scena socialista aveva tra i suoi protagonisti, al di là dei piuttosto ovvi “Barbone” per Giusi La Ganga o “Genio” per Eugenio Bozzello o “Scico Scico” per Libertino Scicolone, “il Pavone” per Piergiorgio Boffa, “il Bombo” per chi scrive, “l’Uomo della collina” per lo stesso Alessio, “il Pesce” per Gabriele Salerno, “Fitty Fitty” per Gianni Daffara, “Gambone” per Giuseppe Rolando, “l’Uovo” per Salvatore Gallo e poi i più insolenti “la Pennoira” e “Grondaia”. Anche seconde file, simpatizzanti o lobbysti non sfuggivano al destino: circolavano infatti “Senza collo”, “l’Albino”, “Pallone”, “il Cervo” (evidenti le ragioni della mancata indicazione delle relative corrispondenze). Pure i comunisti non erano risparmiati: “Barbaperu” era Gianni Dolino, “Nasello” Diego Novelli, “il Lungo” Piero Fassino, “Benny Goodman” Giancarlo Quagliotti, per via di suoi improbabili variopinti panciotti (poi diverrà, copyright Bruno Babando, “l’Eminenza grigiastra”). E ora stiamo assistendo a una certa ripresa, vittime i Grillini: al di là della folgorante crasi “Chiappendino”, sempre copyright “Lo Spiffero”, è Gabriele Ferraris a rialimentare questa illustre tradizione: ed ecco comparire “Mainagioia” per l’Assessora alla Cultura Francesca Leon e “Chiarabella” per Chiara Appendino, probabilmente allusiva alla disneyana spilungona e dinoccolata Clarabella, fidanzata del cavallino Orazio Cavezza, ma che ebbe anche una sbandata per Pippo. E che fu tra l’altro la principale attrice della saga a fumetti Gli anni muggenti di Clarabella, nei quali noi tutti ora stiamo vivendo.