Suoni, armonie, vibrazioni, echi della natura, rumori alternati a silenzi creano le nostre colonne sonore quotidiane. Ogni giorno della nostra vita è accompagnato dalla musica, o da altri effetti acustici, che scandiscono i nostri ritmi, stimolano le nostre emozioni e lavorano sul nostro sistema nervoso
Ogni suono ci ricollega ad una sensazione o ad un sentimento, ci rievoca una esperienza, ci riporta alla nostra infanzia, fa riemergere momenti che ci hanno segnato facendo di un ricordo una vera e propria emozione, forte e indimenticabile. Un cd di musica classica mentre lavoriamo, la nostra playlist preferita mentre facciamo ginnastica, il rumore della pioggia che cade o il ritmo del treno che viaggia, ogni suono può avere una influenza benefica su di noi, favorendo la calma e il buon umore. Questo effetto risanante e curativo della musica si può considerare una vera e propria terapia complementare, un trattamento efficace che, in sinergia con altre terapie mediche e psicoterapeutiche, può essere un valido rimedio a problematiche legate alla depressione, all’insonnia o un importante supporto nell’affrontare disabilità più complesse come l’autismo. La Federazione Mondiale di Musicoterapia ne parla come “un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive”, un autentico percorso di riabilitazione che agisce sulle attività neuronali stimolando la produzione di betaendorfine, potenti ormoni con importanti capacità analgesiche. Esistono vari modelli clinici relativi a questa terapia musicale che si ispirano ad approcci e teorie diverse, quello di Benezon, per esempio, è di stampo psicoanalitico e affronta maggiormente problemi legati alla comunicazione e alle relazioni. Abbiamo poi la Musicoterapia Creativa di Nordoff e Robbins, un metodo rivolto maggiormente a bambini affetti da disturbi lievi e gravi di apprendimento, autismo e disabilità psico-fisiche: durante una seduta di gruppo il ritmo musicale appreso aiuta la coordinazione dei movimenti del corpo. Sull’improvvisazione della parola e sulla musica simbolica è incentrata invece la Musicoterapia Analiticamente Orientata di Mary Priestley che, ricalcando l’analisi di Jung, mira alla crescita personale. Infine la Musicoterapia Comportamentale, teorizzata da Madsen, propone l’utilizzo della musica per modificare comportamenti adattivi o rimuovere comportamenti distorti mentre il metodo GIM, di Helen Bonny, mira ad esplorare la coscienza attraverso i suoni facilitando il dialogo con il mondo interiore. Esprimersi, far emergere le emozioni, saperle riconoscere e percepire, vincere le proprie paure o lenire le ansie che ci condizionano l’esistenza sono solo alcune straordinarie capacità che la musicoterapia possiede. Aprire nuovi canali di comunicazione, affrontando così la chiusura provocata da una depressione o da patologie croniche, è la facoltà che si riconosce a questa “cura” che sempre di più viene utilizzata per affrontare disturbi di diversa natura, per comunicare con pazienti in coma o per alleviare i disagi della vecchiaia come la demenza senile. Gli strumenti utilizzati non sono solo quelli canonici, ma anche il proprio corpo o i rumori ambientali, dispositivi elettronici o invenzioni vere e proprie create per il paziente in base al disagio da trattare. Attraverso ritmo, melodia e armonia e un programma specifico si dà voce alle emozioni, a dinamiche psichiche e si cerca, per quanto possibile in relazione alla patologia e alle possibilità di questo specifico intervento, di riorganizzare la vita interiore dell’individuo o quantomeno di supportarlo e sostenerlo.
Maria La Barbera