CONSIDERAZIONI SEMISERIE SULLA FESTA DELLA DONNA E SULLE QUESTIONI "EPOCALI" CHE ASSILLANO PALAZZO CIVICO. MA FASSINO NON E' TALLEYRAND

Paradiso terrestre sotto la Mole vuol dire via Roma a piedi e centro storico salamella-free

BANCARELLAMimosa

pedoni via romaIL GHINOTTO DELLA DOMENICA

Giusto tutelare il decoro, ma non dimentichiamo che bancarelle e feste di strada danno un po’ di colore a una città spesso criticata come grigia e triste. Per tralasciare l’ipocrisia di un Comune che da un lato criminalizza le caciotte e dall’altro incassa  i lauti diritti di plateatico che il caciottaro versa per esporre le sue merci

 

Oggi è la festa della donna e il primo pensiero non può che andare alla dolce metà del cielo che allieta le nostre vite. Quest’anno la festa è stata contrassegnata dalla polemica sul sessismo della lingua italiana, innescata dalla presidente(a) della Camera. Insomma, si è detta la Laura Boldrini (nella versione originale, non in quella tarocca così magistralmente interpretata dal suo vice Simone Baldelli, vedi su Youtube): perché si dice cameriera, domestica, operaia e non si può dire ingegnera, avvocata, notaia? Le ha risposto magistralmente sulle pagine de La Stampa il prof. Beccaria, un’autorità indiscussa. La lingua, ha scritto l’esimio accademico, è una cosa viva, che cambia, si evolve e si adatta ai tempi. Certe parole sono nate e si sono consolidate quando esistevano in effetti cameriere e non notaie, operaie e non avvocate. Perciò è meglio evitare costrizioni e schematismi, paventando chissà quali congiure sessiste. Più ci saranno laureate in legge che praticano queste professioni, o che si dedicano a ingegneria o architettura (traguardo vicino, perché le donne laureate già battono gli uomini) e più questo uso spontaneamente su affermerà, senza che si facciano crociate, circolari, grida manzoniane, destinate a restare lettera morta.

 

Ma ora Ghinotto non si deve più far distrarre da queste quisquilie e vuole tornare a occuparsi delle questioni epocali che agitano i giorni e le notti dei torinesi che contano. Ovvero del dubbio amletico e angosciante che ha preso i nostri reggitori e che preoccupa anche molti cittadini: via Roma va chiusa alle auto e trasformata in isola pedonale? L’assessore Lavolta sembra averne fatto una ragione di vita, anche contro il buon senso e contro la lobby dei commercianti. Quanto al buon senso, beh non ci vuole molto a capire che una strada larga una dozzina di metri, fiancheggiata da due file di portici altrettanto ampli, forse non è adatta a essere riempita di fioriere. Quanto ai commercianti, sostiene l’assessore che non possiamo pensare a salvare i loro bilanci: peccato che dai loro bilanci, oltre alle numerose tasse, venga la possibilità di tenere aperti gli esercizi, di assicurare quindi la “vita” e il decoro del centro urbano. Un centro deserto, privo di auto e commerci sarebbe più attraente? Boh!

 

Qual è il problema che tormenta il buon Lavolta? E’ che i torinesi, poniamo, per andare da un punto A a nord a un punto B a sud si ostinino a pensare che la via più breve sia passare per il centro! Insomma, dovrebbero finalmente capire che, diversamente da ogni parte del pianeta, in Italia il tragitto più breve tra due punti non è una retta ma un arabesco, come aveva già osservato acutamente Flaiano. Per cui, hanno osservato in molti, la chiusura di via Roma non serve neppure ad abbattere lo smog, perché il traffico intasa le vie laterali trasformate in “camere a gas”. Che poi, dopo tutte le limitazioni e i progressi tecnologici dei motori euro 5, 6 e via numerando, proprio a Torino, capitale italiana dell’auto, si debbano criminalizzare le quattro ruote, dà un po’ il senso dell’imbizzarrimento collettivo e delle strane logiche che governano certe mode. L’ideologia ecologista che sostiene l’improbabile ritorno allo stato naturale, non ci porterà a un mai esistito “paradiso terreste”, ma all’inferno del sottosviluppo in cui si è arrabattata l’umanità per molti secoli. 

 

Altro tema, legato a questo, che toglie il sonno addirittura al sindaco Fassino, è quello delle bancarelle nelle piazze auliche. Basta caciotte e salamelle sotto palazzo Carignano, è stato il grido lanciato dal primo cittadino dopo alcuni episodi controversi. Giusto tutelare il decoro ed evitare accostamenti di cattivo gusto, ma non dimentichiamo neppure che bancarelle, mercati e feste di strada danno un po’ di colore a una città spesso criticata come grigia e triste. Per tralasciare l’ipocrisia di un Comune che da un lato criminalizza le caciotte e dall’altro incassa  i lauti diritti di plateatico che il caciottaro versa per esporre le sue merci. Come diceva già il buon Talleyrand, “sono assolutamente convinto che il fumo sia un vizio dannoso, ma trovatemi una virtù che porti una simile entrate alla casse statali e sarò felice di tassarla”.

 

Ghinotto

 

(Foto: il Torinese)