Caleidoscopio rock USA anni 60- Pagina 8

Made in Minnesota

Nella storia del rock è incalcolabile la quantità di errori, inesattezze e misunderstandings dovuti alle diffuse omonimie tra bands inglesi, statunitensi e non solo. Anche testi “storici” in materia sono caduti in equivoci talvolta clamorosi, a causa di pigrizia nella verifica delle fonti o di errata natura delle fonti stesse, allorquando l’informatore o l’intervistato erano già portatori di fraintendimenti. Il rischio aumentava nel caso di bands il cui nome era pressoché identico e formato da due termini che potevano, a seconda dei casi, risultare uniti o separati (per esempio [The] Night Riders o Nightriders con o senza articolo, che nella sola area anglosassone avvicinava nella “zona di errore” parecchie bands). Premessa doverosa, in quanto qui si parlerà di una band dello stato del Minnesota che viene spesso confusa con una omonima, coeva e più conosciuta della Florida. I “nostri” si chiamavano The Night Crawlers (diviso) e sorsero nell’estate del 1965 a Northfield. A Marc Reigel (org) e Mark Headington (b) (studenti al Carleton College) si unirono tre liceali di Owatonna: Barry Gillespie (V), Mike Jines (chit) e Bill Redeker (batt); presto l’affiatamento si consolidò anche in relazione alle comuni influenze musicali, tra cui Byrds, Rolling Stones, Beatles, Hollies e Beach Boys. Come spesso accadeva in quegli anni, la rampa di lancio iniziale fu una “Battle of the bands”, che si tenne in occasione della Steele County Free Fair di Owatonna (evento che fa risalire le sue origini al XIX secolo); sebbene non vincitori, The Night Crawlers emersero per temperamento e coesione, tanto che poterono avviare un nutrito numero di gigs in vari locali e venues della zona. Dall’inizio del 1966 se ne occupò personalmente il manager Donald J. Madison, che seppe gestire le date con abilità tra i classici sock hops dei teenagers, dance halls, eventi sportivi e clubs non solo nell’area sud del Minnesota, ma anche in Nebraska, Iowa, Wisconsin e North Dakota. Il successo live fu immediato e il feeling con il pubblico molto positivo; tuttavia, come spesso accadeva per le bands emergenti in aree periferiche, l’abilità manageriale sul versante organizzativo dei concerti non si manifestava con altrettanta efficacia in ambito discografico, dove l’esperienza e il “saperci fare” contavano notevolmente. Ne è prova il primo (ed unico) 45 giri, inciso nel 1966:“You Say” [B. Gillespie] (MAAD IMP-51166; side B: “Night Crawlin’”), con etichetta MAAD records [Promotions], prodotto a New Ulm (Minnesota) dallo stesso Donald J. Madison. Il singolo “You Say” era, in linguaggio a stelle e strisce, il classico “can’t get it out of my head tune” che con un’adeguata promozione manageriale si sarebbe potuto trasformare in una hit ad ampio raggio; purtroppo l’operato di Madison lasciò parecchio a desiderare e le copie probabilmente non raggiunsero nemmeno il numero di 400… In seguito si tenne un’altra sessione di registrazione ai Columbia Studios di Chicago, ma le tracce (“Dandelions”’, “Feel So Fine”, “Want Me”, “Chimes Of Freedom”, “Just Like Romeo & Juliet”, “Shoulder Of A Glint”) restarono a livello di acetati; solo in tempi molto recenti l’etichetta svizzera Feathered Apple ha riversato su vinile “Want Me / Feel So Fine” (FA-6510). Nel 1967 il mood generale stava ormai cambiando, passando dal carattere “danceable” allo “psychedelic/heavy” e l’approccio musicale ed esecutivo dei The Night Crawlers non era in grado di rinnovarsi e di affrontare la generale trasformazione di gusto che portò alla Summer of Love di San Francisco e alle sue conseguenze. La band si sciolse entro il 1967, ma seppe occasionalmente riunirsi a più riprese nel 1992, 2004, 2006, 2010 e 2012 (reunion del 45° anniversario della classe ‘67 al Carleton College).

 

Gian Marchisio

 

Là dove passò il grande tornado

In Kansas non andava violato Burnett’s Mound, che i nativi locali dicevano essere luogo leggendario dal potere apotropaico e di protezione per la città di Topeka dal passaggio dei tornados. Detto fatto, in un’area del tumulo venne costruito un serbatoio d’acqua e l’8 giugno 1966 un tornado di categoria F5 devastò Topeka da sud-ovest a nord-est, causando vittime e danni a numerosi edifici e alle strutture della Washburn University. A quanto pare a Topeka non andava violata nemmeno la tranquillità dei vicini e le continue prove di musicisti volenterosi non erano per nulla gradite. Se ne accorsero Greg Gucker [ora Hartline] (chit), Mike West (chit, arm, tr, org), Blair Honeyman (V, b) ed Eric Larson (batt) che sorsero con la denominazione The Mods nel 1965. Nell’arco di un anno il nome mutò nel definitivo [The] Burlington Express e venne a sedimentarsi un sound influenzato dalla British Invasion, tanto che le cover di Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Animals, DC5 furono l’ABC degli esordi e il materiale di molti gigs a Topeka e dintorni (all’Empress Club e al Crestview Recreation Center). Il raggio d’azione si allargò e la band si esibì in svariati clubs e locali a Lawrence (al Red Dog Inn), Emporia, Manhattan, Holton, Concordia (al Pop’s Pizza Parlor), Mayetta; fuori Kansas a Moberly e Kansas City (Missouri) e occasionalmente in Nebraska, South Dakota e Colorado. Intanto nella seconda metà del 1966 (passato il tornado) il manager dei Burlington Express Jim Nash cominciò a muoversi facendo da ponte tra l’ambiente delle battles of the bands e il versante discografico. Per questi ragazzi di 16-17 anni l’impatto con la sala di registrazione non sarebbe stato facile, soprattutto per la loro predisposizione alla spontaneità e a dare il meglio di sé live. Tramite Mike Chapman, chitarrista degli ammirati The Blue Things, fu possibile registrare nel 1967 il primo (ed unico) 45 giri:“One Day Girl (Twenty-Four)” [M. West – G. Gucker] (Cavern 2207; side B: “Memories”), con etichetta Cavern records (di John Pearson), inciso ad Independence (Missouri) e prodotto dallo stesso Chapman. In seguito Blair Honeyman lasciò, sostituito da Bruce Lynn; l’onda post-incisione sembrava positiva a livello locale (anche se l’impatto sulle classifiche fuori Kansas fu mediocre) e l’apprezzamento per le esibizioni live dei Burlington Express cresceva; un ruolo importante nei concerti era giocato dal peculiare uso delle luci, con effetti inusuali e stroboscopici che Jim Nash definiva enfaticamente “Visual Act”. Il 22 agosto 1968 alla Municipal Auditorium Music Hall di Kansas City (Missouri), i Burlington Express aprirono con un’esibizione di mezz’ora il concerto dei The Who durante il tour nordamericano di promozione dell’album “The Who Sell Out“. Poteva essere il trampolino di lancio definitivo ma paradossalmente fu il punto d’inizio di una frattura interna, con Gucker (anima rock e principale songwriter) che iniziò espressamente a non condividere la tendenza blues del resto del gruppo. La band sfornò ancora alcune demos su brani di Byrds e Yardbirds (“I’ll Feel A Whole Lot Better” e “Stroll On”) e tenne una veloce sessione di registrazione agli Audio House Studios di Lawrence; Gucker uscì e passò ai White Clover, band di orientamento progressive che in seguito a fusioni darà origine nei primi anni Settanta ai KansasI restanti Burlington Express, orfani del songwriter di punta, persero spinta creativa ed entusiasmo; si limitarono a sporadiche comparse locali fino allo scioglimento databile tra fine 1969 ed inizio 1970. Express di nome e di fatto…

 

Gian Marchisio

 

Su e giù per la US 123

E’ quasi impossibile sbagliare seguendo i toponimi. Leggi nomi di fiumi come Chattooga, Tallulah, Tugaloo o di foreste come Chattahoochee o Oconee e scopri che quest’area tra nord della Georgia ed ovest della South Carolina era zona di nativi Cherokee e Muscogee (Creek), prima della “Georgia Gold Rush” e della deportazione forzata tristemente nota come “Sentiero delle lacrime” (Trail of Tears) che li spinse fino in Oklahoma.

Tra Dahlonega e la Georgia Gold Belt si scatenò la corsa all’oro che sradicò i nativi; in seguito sorsero la città di Toccoa (anch’esso toponimo Cherokee) e l’attuale Stephens County. Qui sorse il nucleo preponderante della band The Voxmen, che nell’arco della sua breve esistenza si mosse per i concerti in un’area territoriale riconducibile all’arteria stradale nota come U.S. Route 123 (US 123), tra le propaggini di Toccoa in Georgia e Greenville in South Carolina. La conformazione della band in una prima fase era strutturata in David Westmoreland e Bill Thompson (chit), Eddy Jordan (V, b), Bill Harding (batt); i locali più frequentati nelle esibizioni erano “The Hut” di Toccoa e l’allora stranoto “The Chicken Shack” di Seneca (South Carolina) gestito da Charlie B. Stancil, importante e carismatica figura di riferimento di tanti musicisti esordienti della zona. Qui, tramite il manager Barry Westbrook, The Voxmen entrarono in contatto col sedicenne George Dilworth, che subentrò alla batteria al posto di Harding passato al Vox organ; tra Jordan e Dilworth nacque subito una positiva sinergia creativa, che risentiva anche della comune ammirazione per la British Invasion (soprattutto Beatles e Hollies).

Ne derivò il primo 45 giri: “They Say (You’re Gonna Lose That Girl)” [Dilworth – Harding – Jordan] (VM 1001; side B: “You Tell Me”), inciso ad Atlanta e prodotto da Westbrook con etichetta propria VM records. La visibilità sembrava piuttosto buona e peraltro non mancavano le performances anche come support band in parecchie venues musicali; tanto che il 22 luglio 1967 a Greenville (South Carolina) The Voxmen ebbero l’onore di aprire il concerto degli inglesi The Dave Clark Five (DC5) in un Greenville Memorial Auditorium strapieno ed entusiasta.

Poco dopo subentrarono due elementi dei The Avalons, altra band dell’area di Toccoa: Roy Thompson (chit) e Sam Camp (org, arm). Soprattutto grazie all’apporto di Camp, il sound dei Voxmen mutò e perse la crudezza del primo singolo, con una trasformazione sia nell’impasto sonoro (con l’apporto dell’armonica) sia nelle armonie vocali di sfondo alla voce principale.

Nel dicembre 1967 uscì il secondo (ed ultimo) 45 giri: “Good Things” (VM 7-8438; side B: “Time Won’t Change My Mind” [Jordan – Thompson]), inciso a Charlotte (North Carolina) presso gli Arthur Smith Studios sotto etichetta VM records e prodotto da Clay music; in particolare emergono in “Time Won’t Change My Mind” la brillantezza dei breaks di armonica di Camp e la mobilità fluida della linea di basso di Jordan.

Proseguirono per qualche tempo le esibizioni sul solito asse della U.S. Route 123 tra Georgia e South Carolina, fra Toccoa, Seneca, Clemson, Liberty e Greenville, fino all’uscita del chitarrista Roy Thompson. I superstiti Voxmen cercarono allora rinforzi in Florida, tentando di ricostituire a Toccoa una nuova band dal nome The Fredrick Haze. Il progetto tuttavia ebbe vita breve e naufragò probabilmente entro la fine del 1968, chiudendo l’avventura di un gruppo affiatato che, forse ingiustamente, non ebbe mai la chance adeguata per il “grande salto”.

Gian Marchisio

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Guarda il video: https://www.youtube.com/watch?v=pEmiq6qn6-g

 

In Virginia dissero no

Avete presente la C.I.A.? Tranquilli, non si parlerà di servizi segreti, controspionaggio o verità nascoste… Dal 1961 circa, le aree a sud e ad ovest di Washington (DC) oltre il fiume Potomac diventarono zone-fulcro di comando di alto livello. Al di là del confine, in Virginia, al preesistente Pentagono (contea di Arlington) venivano ad aggiungersi i C.I.A. headquarters a Langley, località appartenente al census-designated placed di McLean. Fortunatamente negli anni Sessanta a McLean e dintorni non gravitavano solo dipendenti della C.I.A. o del cosiddetto”apparato”, ma anche musicisti di belle speranze. Fu così che verso la fine del 1963 si costituì la band The Apollos, che ebbe come nucleo originario i fratelli Dave e Don Harney (chit) e Jim Price (b); a questi si aggiunsero, dopo alcune sostituzioni, Wayne Groves (batt), John Parisi (org) e Tom Vorhauer (V). Le esibizioni coprirono soprattutto l’area nord-est della Virginia e la zona di Washington; fra le venues si segnalano “Mac’s Pipe and Drum”, la “Firehouse” di Fairfax e la famosa “Roller Rink” di Alexandria (qui The Apollos furono support band di gruppi quali The Vogues, The Mad Hatters, The British Walkers). Un’affermazione ad una “Battle of the Bands” locale consentì, presso gli Edgewood Studios di Washington, la registrazione di una demo di 4 brani; due di questi erano originali (scritti da Vorhauer-Parisi e Don Harney) e sarebbero poi stati il materiale del primo 45 giri. “That’s The Breaks” [T. Vorhauer – J. Parisi] (Delta MM 183; side B: “Country Boy”, 1965) uscì con etichetta Delta [Music Company] e con la produzione del manager della band, Bill Mosser. Il brano divenne presto una hit locale, ma diede visibilità anche ad ampio raggio, tanto che la MGM records si fece avanti per acquisire i diritti del pezzo; The Apollos tuttavia rifiutarono la proposta, in quanto scettici sulla convenienza di cedere subito i diritti del brano che li aveva fatti emergere con tanta rapidità.

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Quasi in parallelo si presentarono anche due talent scouts della Paramount Artists, che sollecitarono più volte la band per un contratto, ma a patto che fosse rimosso il manager Bill Mosser. Anche in questo caso The Apollos respinsero la proposta, ma ne pagarono presto le conseguenze; la Paramount disse che “i ragazzi si sarebbero pentiti di non aver firmato il contratto” ed ebbe inizio una specie di boicottaggio pilotato che li condannò ad una sorta di black list. John Parisi lasciò e venne sostituito da Dwight James. La band, entro un breve lasso di tempo, vide i propri brani disertati dalla programmazione delle radio nazionali e le proprie incisioni rifiutate dai negozi di dischi. L’onda negativa raggiunse il secondo single 45 giri, inciso con etichetta Montgomery: “Target Love” [Mosser-Harris] (Montgomery 0011-12; side B: “It’s a Monster”, 1966), nonostante il buon livello, ebbe scarso riscontro nelle classifiche e purtroppo scomparve presto dai radar. Dopo l’estate 1966 Vorhauer, Price e Groves dovettero lasciare per motivi personali e di studio; subentrarono Doug Collis (V) e Wayne Goubilee (batt), che con i fratelli Harney cercarono di proseguire un’avventura ormai già segnata da un mercato musicale non più favorevole. La parabola de The Apollos si chiuse probabilmente entro l’inizio del 1967; tuttavia non ha impedito agli Harney, a Price, Vorhauer e Groves di incidere nel 2013 un album celebrativo del cinquantennio e di organizzare nel 2017 un’ultima reunion a Hot Springs in Arkansas, ricordando ancora le origini a McLean e Falls Church e le feste alla George C. Marshall High School.

 

Gian Marchisio

I presagi a sud del Lago Michigan

I confini fra molti States sono netti, rettilinei, inesorabili. Li puoi vedere su una mappa e noti che tagliano in due vallate, laghi, persino città; eppure sovente l’urbanizzazione avvicina nuclei abitati prima ben separati, fino al punto che due cittadine vengono quasi a fondersi a ridosso del confine e non distingui più l’una dall’altra. A sud-ovest del lago Michigan domina Chicago, la cui area metropolitana si estende quasi senza limiti verso sud-est inglobando parchi naturali, riserve e laghi, da Eggers Grove a parte del Wolf Lake, fino a Burnham Woods e al Powder Horn Lake; la vasta area è a ridosso del confine tra Illinois ed Indiana e, tuttora, sembra che lì attorno “tutto” sia Chicago. Figuriamoci 50 anni fa… Anche allora poteva essere considerato originario della “Windy City” chiunque fosse nato a Calumet City o Hammond, al di là o al di qua del confine. Non facevano eccezione The Omens, band garage “meteora” tra il 1964 e il 1966, formatasi a Hammond (Indiana) eppure a lungo ritenuta originaria di Chicago. Come per molti altri gruppi nascenti, l’età media dei componenti (Don Revercomb, V, chit; Gene Cooper, chit; Larry Allen, b; Tim Jones, batt; Al Patka, org) era attorno ai 17 anni e il raggio d’azione insisteva particolarmente nell’ambito dei teen clubs o delle feste delle high schools della zona. Si esibirono specialmente tra Chicago, Gary, Blue Island, Calumet City, Hammond, Lake Station, Glen Park e Portage; in un concerto a Cedar Lake (Indiana) furono support band degli Yardbirds e in una “Battle of the Bands” ad Hammond affrontarono, senza fortuna, nientemeno che i futuri The Jackson 5. Come nel caso di tante altre bands “meteore” del garage rock, la produzione discografica fu ridottissima (due 45 giri dell’etichetta Cody records di Tom Cleary incisi entro l’autunno 1966), sebbene significativa del suono garage di quegli anni. Non a caso “Searching” [D. Revercomb – L. Allen] (Cody records C007; side B: “Girl Get Away”, luglio 1966) è diventato brano emblematico e quasi archetipico del genere, caratterizzato da un insistente riff introduttivo di chitarra che apre al succedersi di voci frenetiche e screamings, assolo di organo e i tipici effetti di chitarra ottenuti tramite l’allora diffusissimo Gibson Maestro Fuzztone. Non è raro scoprire che proprio in quel periodo nacquero brani “tipici” e caratterizzanti che, indipendentemente dalla notorietà o dalla longevità di una band, ebbero la forza di riemergere anche a distanza di anni, quando ormai di una band “meteora” si conserva a malapena qualche informazione biografica o discografica. L’altro 45 giri targato The Omens di etichetta Cody records, probabilmente inciso poco dopo il precedente, omaggia anche la “British Invasion” (come era d’altronde frequente). La cantante solista è Carol Buehler (allora fidanzata del band leader Don Revercomb) che esegue l’originale “September” [D. Revercomb – C. Provenzano] e la cover di As Tears Go By di Jagger-Richards; l’assenza di numero di catalogo del disco indica la natura essenzialmente promozionale dell’incisione. Dall’autunno 1966 gli impegni, gli studi, il rischio di licenziamento dal lavoro per gli eccessivi permessi e le dolci attese di fidanzate e future mogli chiusero la breve parentesi della band, che tuttavia nell’arco di un biennio seppe movimentare e scuotere il nord-ovest dell’Indiana e buona parte dell’area nord-est del “Prairie State”.

Gian Marchisio

Ascolta il brano: https://www.youtube.com/watch?v=FViWdhKvC-U

Caleidoscopio rock anni 60. Meteore psych e garage in USA

Garage rock, psychedelic rock e generi affini?

Gran parte della rock music frenzy era riconducibile a quella straordinaria linfa vitale che era la British invasion, spinta con ondate progressive ed incalzanti dai tours dei Beatles e dei Rolling Stones; questi giovincelli inglesi poco più che ventenni che, oltre a scatenare i sogni e le fantasie di schiere di ragazze teenagers delle famiglie americane, avrebbero aperto le paratie di una vera e propria cascata di musica a stelle e strisce, estesa dalla costa pacifica a quella atlantica, da San Francisco a Boston, da New York a Seattle. Tra il 1964 ed il 1965, grazie ai concerti di quei “Fab Four” e “Stones”, la strada era già chiaramente tracciata; l’area del Midwest americano (tra Ohio, Michigan, Minnesota, Iowa, Illinois, Indiana, fin quasi al Colorado e all’Oklahoma) divenne terreno fertile per la nascita di una nuova forma di rock dai toni più crudi, grezzi e “home made”: il garage rock. Prendeva le mosse dalla scia del rock & roll e inglobava l’apporto del British Invasion rock, ma trasformandolo in un prodotto realizzabile da un vasto bacino di musicisti e fruibile da un variegato pubblico; le chitarre diventavano aggressive e distorte, la voce ringhiante, i testi più graffianti, sfacciati e diretti. La fiammata fu veloce ed improvvisa, l’ascesa travolgente; ma altrettanto rapido fu il declino, tanto che molte bands ebbero carattere di meteore ed entrarono nell’oblio già al giro di boa degli anni Settanta. In parallelo, la metà degli anni Sessanta vide l’affermarsi del movimento psichedelico, che impregnava il rock di particolari caratteristiche: la forma musicale ed il rapporto testo-musica assumevano fattezze fluide, venivano assorbiti suoni dell’area indiana e orientale, si sperimentavano novità pionieristiche nelle sale di registrazione, si ricorreva anche all’uso di chitarre “fuzz-toned” e alla stratificazione sonora con effetti di eco e di riverberi multipli. L’area californiana irradiò il verbo dello psychedelic rock in tutti gli Stati Uniti, tramite Doors, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Big Brother and The Holding Company, Quicksilver Messenger Service, Byrds, Love, Moby Grape, Electric Prunes e molti altri. L’onda raggiunse anche il terreno del garage rock e si fuse con esso, dando vita ad una forma ibrida di “garage rock psichedelico”, sfaccettato e borderline che agli esordi degli anni Settanta si trasformò ancora e, come il garage, lasciò dietro di sé una vasta realtà di bands dalla vita breve o che non ebbero la fortuna di incrociare produttori musicali di primo piano e finirono per essere ingiustamente dimenticate. Dei “grandi” hanno discusso, discutono e discuteranno in molti (forse anche in troppi). Ma chi parlerà delle seconde e terze linee? Chi toccherà quest’area quasi ignota delle bands che vennero travolte dal rapido trasformarsi degli eventi, in quel lustro che dal 1965 al 1970 fu contraddistinto da un furore ed una frenesia musicali che, a dire il vero, probabilmente non avranno più eguali nella storia? Magari noi in questo spazio, perché no…

 

JCM Randle

 

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