È stato lungo il successo di Sorelle Materassi attraverso il Novecento, dalla sua comparsa nel 1934, quando Aldo Palazzeschi lo diede alle stampe. Il ritratto di un’Italia degli affetti e delle pazzie, del lavoro e della china verso lo sbando completo, magari in gran segreto un grido d’allarme contro il fascismo, con i carnefici e le vittime, i fuoriusciti e la ricostruzione. Il successo del romanzo prima, poi il film di Poggioli nel ’43 con Emma e Irma Gramatica, lo sceneggiato televisivo del ’72 con i volti di Sarah Ferrati e Rina Morelli, un’edizione teatrale con il duo Masiero/Barzizza. Oggi, dopo il debutto la scorsa estate al festival di Borgio Verezzi, arriva sul palcoscenico del Carignano per la stagione dello Stabile torinese l’eccellente adattamento di Ugo Chiti, interpreti principali Lucia Poli e Milena Vukotic. Ancora una volta i ritratti delle due abili quanto appassionate e appagate “cucitrici di bianco” di una clientela fatta soprattutto della ricca borghesia dei dintorni, da sempre chiuse nella loro casa di Santa Maria di Coverciano a metter da parte il denaro raccolto con il lavoro, rimettendo in piedi le sorti di una famiglia in precedenza più che sconnesse, a mantenere una domestica e una sorella che se ne è tornata lì a seguito di un matrimonio finito in disastro.
Ma ecco che in casa irrompe un nipote, il figlio di una quarta sorella defunta, un bel ragazzo sfrontato e arrivista, che sa far leva sugli affetti delle zie, che nel cuor della notte invita gruppi d’amici per (più di) un boccone, che al primo desiderio di motociclette o rombanti motori di un’industria automobilistica che galoppava in quell’Italia con grande successo è immediatamente appagato, che specula e obbliga le povere Carolina e Teresa a firmare cambiali, che dilapida una fortuna e che se ne volerà in America con la cinguettante ereditiera di turno, lasciando le due zitelle a rimmeggersi nel proprio lavoro nel nuovo tentativo di uscire da una povertà che ha rimesso i piedi in casa loro. Nella velocità della serata (90’ scarsi) compresa in un solo atto, con le varie fasi in progressione della vicenda spezzate dal buio e dai cambi a vista, nella semplice scena di Roberto Crea, nei costumi con quelle punte di grottesco inventati da Andrea Viotti e collaboratrici, soprattutto con la impalpabile, oltremodo rispettosa di Geppy Gleijeses, è chiaro che il perno dell’intera vicenda appaiono Carolina e Teresa e su quel perno Poli e Vukotic si piazzano con grande umanità e spavalderia e se lo giostrano che è un piacere. La prima giocando tra toni d’affetto e stizze improvvise e subito sopite, con quel tanto di acidume che non guasta, e sfruttando con simpatia termini e inflessioni vernacolari, la seconda si costruisce la sua gran prova tra il dolente e il disperato bisogno di riversare sullo scavezzacollo tutto il suo amore. Marilù Prati è giustamente agguerrita nella sua Giselda che pare essere l’unica a vivere con i piedi per terra, della Niobe Sandra Garuglieri mette in luce le sembianze popolari e Gabriele Anagni (giovane volto televisivo tra “Il medico in famiglia “ e “Un posto al sole”) sfodera sicurezza per il suo Remo. Si respira aria d’altri tempi ma il successo, per quanto l’abbiamo saggiato in una delle repliche, è stato più che pieno, anche da parte dei giovani che affollavano la sala.
Elio Rabbione