La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni - Il Torinese

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Sergio Pininfarina liberale – Vittoria Ronchey dalle radici del 68 al reddito di cittadinanza  – Aglietta radicale arcobaleno – Lettere


Sergio Pininfarina liberale 

Sono passati dieci anni dalla morte di Sergio Pininfarina, imprenditore ,parlamentare europeo, senatore a vita e protagonista di spicco del mondo confindustriale. La celebrazione promossa mi è sembrata piuttosto sotto tono e non adeguata alla statura dell’unico vero ingegnere che abbia avuto l’industria italiana dopo Adriano Olivetti. Peccato che la cattiva sorte non abbia dato continuità al lavoro da lui creato anche in collaborazione con Enzo Ferrari. L’ ho conosciuto bene ed ho avuto modo di apprezzare il suo essere liberale. Ci siamo parlati molte volte ed egli fu un autentico sostenitore del Centro “Pannunzio” a cui nel 1980 offrì con generosità la storica sede di corso Re Umberto 42. Per lui come per Nicola Matteucci l’essere liberali era un prius rispetto alla stessa democrazia perché nell’espressione sfortunata di liberal-democrazia il termine forte è l’aggettivo liberale rispetto al sostantivo democrazia, l’esatto opposto di ciò che Giorgio Spini intendeva per socialismo liberale in cui la parola liberale era un semplice aggettivo. Ricordo la mancanza di rispetto che ebbe verso di lui al Senato Valerio Zanone che lo insultò pesantemente perché aveva votato contro o si era astenuto sulla fiducia a Prodi. Quell’episodio non fu solo un’offesa ad un grande vecchio, ma fu il segno definitivo di una storia liberale diventata un aggettivo privo di significato.
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Vittoria Ronchey dalle radici del 68 al reddito di cittadinanza  
Palazzo Cisterna

Giovedì sera insieme all’amico Gianni Oliva ho ricordato a Palazzo Cisterna Vittoria Ronchey scrittrice e docente, autrice del celebre “Figlioli miei marxisti immaginari“ un titolo del 1974 citato persino da Berlinguer in Parlamento . E ‘ stata una grande emozione riprendere in mano quel libro e ripercorrere gli anni della contestazione studentesca analizzati con fine è libera ironia da Vittoria che visse la resa e  l’evaporazione della scuola statale sotto la spinta della demagogia e dell’ utopismo ideologico della contestazione. Abbiamo parlato senza appunti e abbiano ricordato  anche il nostro vissuto di giovani professori. Due osservazioni mi sono venute spontanee: cosa ci sono stato a fare per anni ad insegnare nei licei? Cosa avevo da sparire con quel professorume con eskimo e giacca a vento? Poco o nulla, eppure sono rimasto lì ad insegnare e a combattere la battaglia per una scuola libera, seria, pluralistica, contro la violenza verbale e fisica di un estremismo che finì nel terrorismo.  Ho anche ricordato che quei marxisti immaginari erano  l’esatto opposto di ciò che era un marxismo  serio che pure ha avuto limpide coscienze come Gramsci, anni- luce distante dai Sessantottini. Ho concluso con una tesi forse azzardata,ma che mi pare non del tutto arbitraria: l’ultimo figlio avvelenato del 68 e’ stato il reddito di cittadinanza che premia il parassitismo sociale ed umilia la meritocrazia. Leggendo certe pagine del libro della Ronchey, mi è tornata alla mente la scuola che confonde il diritto costituzionale allo studio con il falso diritto al titolo di studio garantito dato a tutti. L’ultimo passaggio di quella logica perversa e’ stato il reddito di cittadinanza, un sussidio che non crea lavoro, ma clientelismo politico e asservimento sociale. E’ un discorso da approfondire, ma credo che la mia riflessione estemporanea abbia un qualche fondamento.

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Aglietta radicale arcobaleno
Adelaide Aglietta fu la prima donna segretario di partito, molto prima di Giorgia Meloni, ma non fu mai una leader, ma una gregaria sorta dal nulla, beneficiaria di una situazione anomala che scalzo’ di brutto la vera anima dei radicali piemontesi Giuliana Cordero Cabrini. Sarebbe interessante capire  perché i radicali scelsero questa anonima madamina ante litteram che si mise i jeans e abbandonò la famiglia per gettarsi anima e corpo nella battaglia per l’aborto. La Cabrini era una radicale sui generis di origini cattoliche, ma era una raffinata intellettuale e docente, l’Aglietta non aveva neppure conseguito la laurea. Ebbe però  una sfolgorante carriera che la portò anche all’Europarlamento. Tradì il partito radicale perché divenne una verde arcobaleno, scopertamente filo comunista. Non è un caso che sia ricordata da pochi che abusano del nome radicale. La Aglietta ebbe anche  più che una simpatia verso “Lotta Continua”, pur se poi accettò (ma era il minimo che dovesse fare) di entrare nella  giuria popolare del processo contro le Br su cui scrisse un libro autocelebrativo che infastidì molto l’eroico Presidente Guido Barbaro che guidò quel processo con mano ferma e coraggiosa. Sia reso sempre onore a Guido Barbaro, un magistrato libero e indipendente con la schiena diritta.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
La Russa presidente del Senato
Ho ascoltato il discorso di insediamento del presidente del Senato La Russa che non avevo mai ascoltato. Un discorso aperto, leale, istituzionale che guarda alla storia e al futuro dell’Italia. Chi ha voluto in ogni modo urlare al pericolo fascista , ha rivelato dei limiti abissali, mentre La Russa è andato oltre. Ha voluto ricordare che esiste anche il Risorgimento. E non è poco. Auguro a La Russa un quinquennio di presidenza al servizio dell’Italia come merita. Molti contro di lui si sono accaniti con discorsetti  mediocri che non meritano attenzione.  Si sono confuse persino le leggi razziste con quelle razziali.      Tiziana Tino
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Concordo con Lei: un ottimo discorso ricco di richiami storici e di citazioni condivisibili. Non ho mai conosciuto il senatore La Russa di persona, ma penso che cercherò un’occasione per incontrarlo. Sono stati vergognosi i senatori  di FI che non lo hanno votato, come meritevoli di stima sono quelli che, pur appartenendo all’apposizione, lo hanno scelto. I giuochi di potere ad un certo livello sono vietati, mentre un voto personale oltre gli schieramenti è un atto sempre apprezzabile. Circa il lapsus della senatrice Segre  sulle leggi razziste, corretto d’ufficio dai giornali, teniamo conto che la  veneranda signora deportata nei campi di concentramento,  non è persona colta ed ha oltre 90 anni. Che abbia dimenticato tra le date storiche importanti il 4 novembre festa della Vittoria è invece un piccolo segno di oblio storico che non mi è piaciuto.
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