Linea di confine. La rubrica della domenica

di Pier Franco Quaglieni

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L’addio a Carniti – Il 5 per mille del Regio – Quest’Italia non mi piace  – L’inno Nazionale

 

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L’addio a Carniti

E’ mancato a 81 anni il sindacalista della CISL Pierre Carniti che fu anche parlamentare italiano ed europeo. Il cordoglio è generale,”Di Martedì” gli ha dedicato la serata. Io non posso dimenticare che negli anni ’70 fu il teorico del salario “variabile indipendente” dalla produttività. E ci fu chi lo ascoltò e gli andò dietro.Allora la Cisl di Carniti giocò a scavalcare a sinistra la CGIL di Luciano Lama che, da vero comunista, ebbe momenti di grande responsabilità e venne duramente contestato.  Da quella sua idea maturò il clima esasperato successivo all’autunno caldo,quando prevalse il conflitto sociale più esasperato che fece collassare l’industria italiana e fu contiguo all’estremismo di “Lotta continua”.  Lo rispetto come si rispettano i morti,ma non posso ignorare che ebbe delle gravissime responsabilità nello sfascio italiano dell’economia italiana.

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Il 5 per mille del Regio

Il Teatro Regio di Torino , ente che svolge un’attività di cui si usufruisce a pagamento, sollecita il 5 per mille dai contribuenti. Mi sembra un non senso che penalizza gli enti no profit. Il governo Renzi aveva creato il 2 per mille per l’associazionismo. E’ rimasto in vigore per un solo anno con un fondo risibile e una conduzione non trasparente. Poi è stato soppresso. Il centro “Gobetti” di Torino,tanto per non farsi mancare nulla, chiese anche il 2 per mille,oltre il 5 per mille,oltre i lauti contributi di Stato,Regione,Comune,fondazioni bancarie e chi più ne ha più ne metta.La cultura libera è destinata invece a morire.

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Quest’ Italia non mi piace
Giovanni Amendola scrisse : ”Quest’Italia non mi piace”. Lo ribadì anche ,usando la stessa espressione, Giuseppe Prezzolini che pure inizialmente non fu contrario a Mussolini. Il nuovo governo giallo-verde nasce con troppi margini di ambiguità e con programmi che non sono rassicuranti. Anzi, alcune dichiarazioni creano allarme e sconcerto. Berlusconi sembra impaurito e si preoccupa per le sue aziende e per un possibile neo “giustizialismo”prossimo venturo.Il centro -destra che in Piemonte avrebbe il prossimo anno,risultati elettorali alla mano, mandato a casa Chiamparino , sembra essersi liquefatto. Chiamparino archivia, senza tanti complimenti, la candidatura del luminare dei trapianti Salizzoni e annuncia, settantenne, la sua ricandidatura: dieci anni sindaco, due anni presidente della Compagnia San Paolo, cinque anni presidente della Regione. Ne vorrebbe altri cinque. Posso dire che questa Italia e questo Piemonte non mi piacciono ?

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L’inno Nazionale
il 2 giugno ho partecipato ad una manifestazione. Avevano suonato all’inizio l’Inno Nazionale. L’hanno risuonato alla fine di uno spettacolo connesso all’evento a cui ho partecipato. La banda ha risuonato l’Inno Nazionale, forse collocandolo non nel momento più opportuno. Sta di fatto che io sono scattato comunque in piedi,altri in ritardo si sono stancamente alzati, una parte del pubblico, tra cui un giovane ufficiale di Marina , sono rimasti seduti. Non credevo ai miei occhi, ma è proprio accaduto così.

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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

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Albenga tra vino e fionde
Ho letto che lei è stato ad Albenga domenica scorsa ad una cerimonia e mi permetto di scriverle per segnalarle che il Comune  ha ufficialmente definito Albenga “Città del vino” ,ponendo vistosi cartelli metallici in città. Sull’autostrada si legge “Albenga città romana e medievale”, all’uscita dell’autostrada c’è invece un altro cartello che definisce Albenga” città delle torri e della fionda”. Qual è la dizione giusta a questo punto ?              Pino Ghessi

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Che ad Albenga si produca dell’ottimo Pigato è cosa risaputa.Che Albenga sia stata città romana e medievale e quindi delle torri,altrettanto. Che sia città della fionda è un’invenzione recente di vecchi mattacchioni (che si prendono molto sul serio) a cui pure è dedicata eccessiva attenzione nella cinta daziaria albenganese:un segno di provincialismo un po’ stantìo. Addirittura il locale Lions Albenga Host ha ricevuto recentemente i mattacchioni all’insegna della fionda,dedicando loro una serata. E’ triste che un Lions perda il suo tempo dietro le fionde invece di fare dei services utili alla comunità

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Le pagine amare della politica tra xenofobia e finanza

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Caro  Quaglieni,

leggo sempre con interesse e condivisione i tuoi ” domenicali “, mai banali e quindi sempre arricchenti.Come anche tu hai evidenziato, in questo periodo la politica ci ha riservato pagine amare e sconcertanti. Da parte mia, mi chiedo però qual è il livello morale e ideologico di chi la asseconda, da quale comunità arriva  il consenso. E sul concetto di comunità ho poi esteso il mio pensiero su alcune riflessioni pindariche che ti sottopongo senza alcuna pretesa culturale o filosofica. Comunità, una delle parole ricche e fondamentali del nostro vocabolario civile, mi sembra stia subendo una mutazione radicale, anche se è sempre stata una realtà tutt’altro che ideale e omogenea perché in essa si concentrano le passioni più forti e profonde dell’umano.Stando alla Bibbia è Caino a fondare la prima città e il mito fa nascere Roma da un fratricidio. La città può essere raccontata senza pericolose riduzioni ideologiche solo se non rifiutiamo la sua ambivalenza originaria.Ce lo suggerisce la stessa radice latina del termine ” comunitas cum munus “.L’appartenenza alla comunità è un dono che va ricambiato ” cum munera “, con  impegni e obblighi. E’ la gratuità che evolve nel doveroso ed è questa stessa tensione semantica e sociale che origina la ricerca del bene comune. Se invece questa tensione vitale si spegne e ne restano solo i ( presunti ) doni  o solo gli obblighi , le patologie relazionali  sono sempre sull’uscio , se non dentro casa. : il dono diventa diventa faccenda irrilevante per la vita sociale, gli obblighi si trasformano in lacci.A pensarci bene la comunità non è elettiva. Il “cum” non lo creiamo noi con le nostre scelte, è più grande di noi. I nostri compagni di comunità ce li troviamo accanto, alcuni non ci piacciono, molti non li scegliamo come amici, eppure sono inevitabilmente lì: noi dipendiamo da loro e loro da noi. La non elettività della comunità inizia già nella prima comunità originale, la famiglia. Non scegliamo né i genitori né i figli, né fratelli né sorelle. E anche se è vero che scegliamo la moglie o il marito, è ancora più vero che ciò che negli anni dell’innamoramento scegliamo nell’altro, coesiste con tutta una parte  che dell’altro non abbiamo scelto, perché sconosciuta, probabilmente ad entrambi, nella sua giusta dimensione. In generale i rapporti nascono elettivi ( amicizia, innamoramento)  e diventano capaci di generare buone comunità quando si aprono alla dimensione non elettiva degli amici di accogliere i non amici.Altrimenti restano consumo che può anche nutrire , ma non genera.I gruppi umani più significativi e irrinunciabili non li scegliamo.Volenti o no vi siamo dentro. E’ nella convivenza quotidiana con questa non elettività che impariamo i codici relazionali e spirituali cruciali nella vita, combattiamo il narcisismo ( che oggi è pandemia sociale ) e diventiamo adulti. E’ un apprendistato personale che assume un valore altissimo quando si resta se stessi in comunità nelle quali non ci si riconosce più, quando arriva una sorta di risveglio in cui si ha l’impressione forte di aver sbagliato comunità e quasi tutto. Chi riesce a resistere dopo questi risvegli dolorosi, può darsi che da figlio di quella comunità si ritrovi padre di essa. Oggi è molto forte il creare comunità elettive con il ruolo decisivo del web, dove si hanno le stesse idee e gli stessi gusti,ma sono spesso gruppi  evanescenti in cui le relazioni sono nient’altro che messaggini. Però uno dei messaggi che arriva dalla millenaria sapienza della nostra civiltà è l’insufficienza delle comunità simili per la costruzione di una buona vita. Se continueremo ad abbandonare le comunità naturali parteciperemo presto a una nuova forma di feudalesimo fondato su caste sociali con le roccaforti delle banche blindate e presidiate e con il degrado delle periferie sociali e culturali intorno. Questa era , a mio avviso, la condizione dell’Europa dopo il crollo dell’impero romano. Nel feudalesimo pochi ricchi vivevano in rocche fortificate e attorno ad essi c’erano scorribande e degrado.Uno scenario che sta già comparendo nei tanti Davos del capitalismo finanziario.La nostra Europa post feudale delle varie patrie e lingue , dei dialetti e tradizioni locali , abitata ora da gente che arriva dall’intero pianeta, oggi è minacciata da movimenti nazionalistici e xenofobi e dalla babele della finanza e delle rendite, chiuse nelle loro cittadelle ben presidiate e fortificate.
                                                                                                                              Gino Bressa 
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L’ampiezza delle argomentazioni e delle opinioni mi esime da commenti . Lascio tutto lo spazio al mio cortese interlocutore . 
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