Marzo 2018- Pagina 3

Carpentiere suicida: “L’azienda non mi paga da un anno”

Si è impiccato a 53 anni nel parco di Stupinigi, un carpentiere romeno che abitava a Orbassano. Il corpo è stato trovato dai carabinieri dopo che la moglie, non vedendolo rientrare aveva dato l’allarme. L’uomo soffriva di crisi depressive, e ha lasciato un biglietto dicendo di essere preoccupato per problemi  economici. Secondo quanto ha scritto l’azienda per cui lavorava non lo pagava  da un anno e lui, anche malato,  non trovava soluzioni.

Volpiano, encomio solenne per gli agenti di polizia municipale

Il Sindaco di Volpiano Emanuele De Zuanne ha concesso, su richiesta del Comandante della polizia municipale Paolo Bisco, l’encomio solenne agli agenti Piero Bessone e Matteo Dagnese con le seguenti motivazioni: «Per essersi distinti per impegno, diligenza, capacità professionale, durante un’operazione di Polizia Giudiziaria durata un’intera notte che ha condotto all’identificazione ed all’arresto di numero 3 persone che coltivavano e spacciavano droga, nel territorio del Comune di Volpiano» e «per essersi distinti per impegno, diligenza, capacità professionale, durante un’operazione di Polizia Giudiziaria che ha condotto all’identificazione ed al fermo di numero 2 persone che lanciando sassi da un cavalcavia dell’autostrada Torino-Aosta avevano procurato lesioni a persone e danni ai veicoli in transito, nel territorio del Comune di San Benigno Canavese».

Cairo ricorda Mondonico: “Chiedo un minuto di silenzio sul campo”

Il presidente del Torino Calcio, Urbano Cairo, ricorda su Radio24 l’ex allenatore granata Emiliano Mondonico. “Con lui c’era un bel rapporto, era una persona molto disponibile e positiva, mi ha sempre dato buoni consigli, sono veramente dispiaciuto. Rappresenta quella famosa sedia alzata su rigore non dato ad Amsterdam, rappresenta tante cose che  ha dimostrato, che ha fatto come allenatore del Toro in occasioni diverse, rappresenta il tremendismo granata, la voglia di non mollare mai, di superare il proprio limite. E’ qualcosa di bello, di speciale, di romantico. Lui è sempre rimasto molto vicino al popolo granata. Ora parleremo in Lega perché vorrei ci fosse un minuto di silenzio per ricordare Mondonico  prima della nostra partita Cagliari-Torino. E spero che lo facciano su tutti i campi, perché effettivamente  lo meriterebbe”.

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

C’est la vie – Prendila come viene – Commedia. Regia di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Hélène Vincent e Suzanne Clément. Gli artefici del fenomeno “Quasi amici” promettono risate a valanga e il successone in patria dovrebbe calamitare anche il pubblico di casa nostra. I due sposini Pierre ed Hélène hanno deciso di sposarsi e quel giorno deve davvero essere il più bello della loro vita. Nella cornice di un castello del XVII secolo, poco lontano da Parigi, si sono affidati a Max e al suo team, ad un uomo che ha fatto della sua professione di wedding planner una missione, che organizza e pianifica, che sa gestire i suoi uomini, che sa mettere ordine nel caos più supremo, che per ogni problema sa trovare la giusta risoluzione… Più o meno: perché quella giornata sarà molto ma molto lunga, ricca di sorpresa e di colpi di scena. Ma soprattutto di enormi, fragorose risate! Durata 115 minuti. (Romano sala 3)

 

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Un’educazione sentimentale, i libri e la musica, Eraclito e Heidegger, Bach e Busoni, l’ambiente pieno di libertà della sinistra, i discorsi insperati di un padre, il tempo scandito dalle cene e dalle discussioni su Craxi e Grillo, il vecchio factotum che di nome fa virgilianamente Anchise, passeggiate e discussioni, corse in bicicletta, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate in piccoli spazi d’acqua, felici intimità, in una delicatezza cinematografica (la macchina da presa pronta ad allontanarsi velocemente da qualsiasi eccessivo imbarazzo) che assorbe nei temi (“Io ballo da sola”) e nei luoghi (i paesini, i casali, la calura di “Novecento”) il passato di Bertolucci o guarda al “Teorema” pasoliniano. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero. La sceneggiatura firmata da James Ivory e tratta dal romanzo di André Aciman ha conquistato meritatamente l’Oscar. Durata130 minuti. (Eliseo blu)

 

Contromano – Commedia. Regia di e con Antonio Albanese. Il signor Mario, milanese doc e proprietario di un negozio di maglieria, ordinatissimo come ordinata è la sua vita, vede i suoi principi e le abitudini sconvolte dall’arrivo, chiaramente davanti alla “sua” vetrina, di un giovane senegalese che si mettere a vendere calzini a prezzi stracciati alle signore di passaggio. Che fare? Aiutarli sì ma a casa loro, è la parola d’ordine. E allora ecco che il signor Mario rapisce Oba, legandolo e mettendoselo in macchina, con l’intenzione di riportarlo in Africa. Ma i bastoni in mezzo alle ruote del progetto arrivano in tempi più che brevi, uno per tutti la presenza della sorella (?) di Oba. E allora, umanità o idee di ferro? Durata 102 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Il filo nascosto – Drammatico. Regia di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps e Lesley Manville. Nella Londra degli anni Cinquanta, il famoso sarto Reynolds Woodcock è la figura centrale dell’alta moda britannica, eccellentemente coadiuvato dalla sorella Cyril: realizzano gli abiti per la famiglia reale (qualcuno ha visto il ritratto del celebre Norman Hartnell), per le stelle del cinema, per ereditiere, debuttanti e dame sempre con lo stile distinto della casa di Woodcock. Il grande sarto è anche un incallito e incredibile dongiovanni, nella cui vita le donne, fonte d’ispirazione e occasione di compagnia, entrano ed escono: fino a che non sopraggiunge la presenza della semplice quanto volitiva, a modo suo spregiudicata, Alma, una giovane cameriera di origini tedesche, pronta a diventare parte troppo importante della vita dell’uomo, musa e amante. L’ordine e la meticolosità, doti che si rispecchiano meravigliosamente nella fattura degli abiti e nella condotta di vita, un tempo così ben controllata e pianificata, vengono sovvertiti, in una lotta quotidiana tra uomo e donna. Film geometrico e algido quanto perfetto, forse scontroso, eccezionale prova interpretativa per la Manville e per Day-Lewis, forse il canto del cigno per l’interprete del “Mio piede sinistro” e di “Lincoln”, convinto da oggi in poi ad abbandonare lo schermo. Oscar per i migliori costumi. Durata 130 minuti. (Massimo sala 3, Romano sala 2)

 

La forma dell’acqua – The shape of water – Fantasy. Regia di Guillermo del Toro, con Sally Hawkins, Doug Jones, Octavia Spencer, Michael Stulhbarg e Michael Shannon. Leone d’oro a Venezia, tredici candidature agli Oscar, arriva l’attesissima storia del mostro richiuso in una gabbia di vetro all’interno di un laboratorio governativo ad alta sicurezza (siamo negli States, in piena guerra fredda, il 1962) e del suo incontro con una giovane donna delle pulizie, Elisa, orfana e muta, dei tentativi di questa di salvarlo dalla cupidigia dei cattivi. Avrà l’aiuto degli amici (il disegnatore gay, lo scienziato russo pieno di ideali, la collega di colore), cancellando la solitudine e alimentando i sogni, in un’atmosfera che si culla sulle musiche di Alexandre Desplat, contaminate da quelle dei grandi del jazz degli anni Sessanta. Durata 123 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Eliseo Rosso, Reposi, Uci)

 

Foxtrot – La danza del destino – Drammatico. Regia di Samuel Maoz, con Lior Ashkenazi e Sarah Adler. Dall’autore di “Lebanon”, la guerra di Beirut visto dall’interno di un carro armato, un nuovo racconto sul conflitto che da decenni stringe Israele, dall’esterno e internamente. Tre generazioni, vite sconvolte, giovani e vecchi, un padre e un figlio soldato, una madre scampata ai campi di concentramento, un appartamento di Tel Aviv, un posto di frontiera, una tragedia comune. Durata 108 minuti. (Massimo 2 anche in V.O.)

 

Il giustiziere della notte – Drammatico. Regia di Eli Roth, con Bruce Willis. Nel 1974 il medesimo titolo esplose con l’interpretazione di Charles Bronson, oggi, riadattato e attualizzato, lasciati i grattacieli di New York per essere ambientato a Chicago, chiuso nel vortice dei fatti successi nelle scuole americane e nel dibattito circa lo sfrontato acquisto/uso delle armi da parte dei cittadini degli States, vede il duro a morire Willis, medico chirurgo, combattere contro chi gli ha ucciso la moglie e violentato la figlia. Durata 92 minuti. (Uci)

 

Hostiles – Ostili – Western. Regia di Scott Cooper, con Christian Bale, Rosamund Pike e Wes Studi. Nel 1892, due anni dopo il massacro di Wounded Knee, non ancora consolidata la pace tra indiani e visi pallidi, al capitano Joseph Blocker viene affidato l’incarico non facile di riportare nelle terre del Montana il vecchio capo Cheyenne Yellow Hawk, proprio il responsabile delle morti di molti soldati del capitano. Durante il lungo percorso molti fatti verranno a mutare i rapporti tra i due uomini, non ultimo la presenza di una donna cui gli indiani hanno distrutto l’intera famiglia. Paesaggi, personaggi che sanno d’antico, un genere che ha avuto vita gloriosa e che oggi, più che raramente, vede qualche debole accenno: gli appassionati non se lo lascino sfuggire. Durata 127 minuti. (Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

Insyriated – Drammatico. Regia di Philippe Van Leeuw, con Hiam Abbass. Damasco è sotto assedio. In attesa della fine del conflitto esterno, una donna, madre di tre figli, si trincera con i vicini nell’unico appartamento risparmiato dalle bombe. La tensione cresce, il pericolo incombe, la casa inesorabilmente si trasforma in prigione. Durata 85 minuti. (Classico)

 

Io c’è – Commedia. Regia di Alessandro Aronadio, con Edoardo Leo, Margherita Buy e Giuseppe Battiston. Ti cade tra capo e collo un palazzo nel centro di Roma, ne fai un piccolo hotel e ti accorgi pure di quanto sia pesante la mannaia delle tasse. Perché allora non seguire l’esempio delle suorine del palazzo di fronte che con l’ospitalità a poveri e bisognosi vari si sono ritagliate un bell’angolo esentasse? Leo, anche coautore della sceneggiatura, studia allora di farne un centro religioso e volendo esagerare creare una nuova religione, lo Ionismo, un egocentrismo alle stelle, una piena responsabilità slacciata da ogni cosa o Ente che sappia di celestiale: risultato, un considerevole gruppo di adepti. Potrà funzionare? Durata 100 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Lady Bird – Drammatico. Regia di Greta Gerwig, con Saoirse Ronan, Lucas Hedges, Timothée Chalamet e Laurie Metcalf. Una storia che pesca nell’autobiografia, l’autrice, come il personaggio femminile del film, è nata a Sacramento, in California, e sin da giovane smaniosa di raggiungere la costa orientale per studiare e dedicarsi al cinema. Anche Christine sogna di iscriversi ad una università nella parte opposta degli States, sottrarsi alla madre autoritaria, alla figura del padre senza lavoro, a quel piccolo mondo che la circonda. S’inventa storie, fa fronte alle prime prove d’amore, dal risultato negativo, fa di tutto per mettersi in buona luce agli occhi dei compagni di scuola che sembrano valere più di lei, ricavandone delusioni, s’appiccica quel nome del titolo: quale sarà il suo futuro? Un ritratto femminile già visto altre volte, che cerca continuamente sfide interpretative e di regia: ma un film che non lascerà un grande ricordo di sé, a bocca asciutta nella notte degli Oscar. Durata 94 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Maria Maddalena – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Rooney Mara, Joaquin Phoenix e Chiwetel Ejiofor. Una visione nuova nei confronti di una Maddalena vista come la peccatrice e la prostituta, figura alimentata per secoli. Il regista australiano (che tuttavia ha scoperto gli ambienti adatti in Sicilia) vede questa donna come un esempio di femminismo ante litteram, colei che sfugge ai compiti di moglie e madre che la società del tempo inevitabilmente le impone, colei che stabilisce di seguire il Maestro e di abbracciarne in modo completo la dottrina: quella che tra i tanti discepoli è scelta dal Maestro ad assistere alla sua Resurrezione. Guardando anche alle figure di Giuda e di Pietro, messi di fronte ad un messaggio che sconvolgerà il mondo ma incapaci di assumerne l’esatta interpretazione. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 3, Ideal, Reposi, Uci)

 

Metti la nonna in freezer – Commedia. Regia di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, con Fabio Di Luigi, Miriam Leone, Barbara Bouchet e Eros Pagni. Un giovane e incorruttibile finanziere e una bella restauratrice, con un paio di aiutanti al seguito, che vive grazie alla pensione della nonna visto che lo Stato tarda a riconoscerle i quattrini che le deve per tutto il lavoro che ha svolto. E se la vegliarda passa a miglior vita? Spetterà alla ragazza ingegnarsi per la sopravvivenza, l’elettrodomestico del titolo fa al caso suo, le amiche un piccolo aiuto non lo negano e la pensione della nonna si potrà continuare a percepire. Durata 100 minuti. (Greenwich sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Omicidio al Cairo – Giallo. Regia di Tarik Saleh, con Fares Fares. La morte di una cantante di successo nelle stanze del Nile Hilton Hotel, la sua relazione con un uomo che fa affari con il mondo della politica, un caso che si vorrebbe chiudere al più presto. La capitale egiziana del 2011, le rivolte e la corruzione senza limiti raccontata senza nulla nascondere, la criminalità che invade il paese, un commissario che pur tra le proprie zone d’ombra eccelle senza dubbio sui suoi superiori e che vuole andare fino in fondo pur di scoprire i colpevoli. Una cinematografia a molti sconosciuta, che merita con questo esempio d’essere tenuta d’occhio, un ritmo sostenuto nelle indagini che combattono contro le mazzette di quattrini che circolano a mo’ di ricompensa da una e dall’altra parte. Durezza e debolezze sulla faccia del protagonista. Durata 106 minuti. (Classico)

 

Oltre la notte – Drammatico. Regia di Fatih Akin, con Diane Kruger e Johannes Krisch. Katia vive dentro una famiglia felice, un figlio e un marito che dopo un periodo di prigione per spaccio ne è uscito e oggi lavora in una piccola agenzia di viaggi. Ma è una felicità destinata a morire: un attentato, che ha i suoi fautori in una coppia di estremisti legata al gruppo di destra greco “Alba dorata”, distrugge la vita dei suoi cari. Katia grazie al sostegno di amici e famigliari affronta la perdita e riesce ad andare avanti, ma quelle morti, con la ricerca ossessiva degli assassini, riaprono ferite e sollevano dubbi. Eccellenti le prime due parti del racconto, mal raccontata e poco accettabile l’ultima in terra di Grecia, se la protagonista decide di mettere fine ai suoi giorni insieme ai due giovani che gli hanno portato via la famiglia. Davvero una bella prova della Kruger, Palmarès per la migliore interpretazione femminile a Cannes lo scorso anno, e Golden Globe come miglior film straniero. Durata 101 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Nazionale sala 1)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è visto per il ruolo assegnare un Globe, ha meritatamente conquistato poche sere fa l’Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: un secondo Oscar al film, premio agli artefici e alle tante ore di perfezione ogni giorno di lavorazione cui l’attore s’è sottoposto. Durata 125 minuti. (Greenwich sala 2)

 

Ready Player One – Fantasy. Regia di Steven Spielberg, con Tye Sheridan, Olivia Cooke, Simon Pegg e Mark Rylance. Tratto dal romanzo omonimo di Ernest Cline, uscito sette anni fa. Nel 2045 la terra è un luogo di guerre e povertà, l’unica felice evasione è il mondo virtuale di Oasis, legato ai fantasiosi anni Ottanta e ricco di scenari iperrealistici in cui è facile accedere. Lo scomparso James Halliday ha deciso di lasciare a chi lo ritroverà il prezioso Easter Egg: sarà il giovane Wade, da sempre alla ricerca di notizie sulla vita e l’attività del miliardario, si metterà attraverso l’avatar Parzival alla ricerca dell’oggetto e lo ritroverà, dovendo pure fare i conti con i potenti nemici di una multinazionale, concorrenti senza alcuno scrupolo. Durata 140 minuti. (Centrale V.O., Massaua, F.lli Marx sala Harpo, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Ricomincio da noi – Commedia. Regia di Richard Loncraine, con Imelda Stauton, Celia Imrie e Timothy Spall. Il film che con risate, un po’ di autentica commozione e grande successo aveva aperto l’ultimo TFF. Scoperto che il marito la tradisce da anni con la sua migliore amica (mai fidarsi!), la protagonista scopre, attraverso l’eccentricità della sorella, quei tanti amici che la circondano, il suo modo spensierato di affrontare e condurre la vita, di avere voglia di buttarsi alle spalle tutto quanto, magari iniziando con il frequentare una sala da ballo. La attendono ancora altre prove ma un non più giovane innamorato la farà decidere la nuova strada da intraprendere. Nessuno scossone ma una bella botta di vita comunque, per lo spettatore e per la terna d’attori che sono tra il meglio del cinema e del teatro inglesi, da ammirare. Durata 110 minuti. (Romano sala 1)

 

La terra buona – Commedia drammatica. Regia di Emanuele Caruso, con Fabrizio Ferracane, Giulio Brogi, Lorenzo Pedrotti e Viola Sartoretto. Tre storie che s’intrecciano per confluire insieme in un angolo di serenità. La giovane Gea, malata terminale, all’insaputa della famiglia si rifugia con un amico, forse innamorato di lei, in una valle piemontese al confine con il territorio svizzero. Là, in una borgata antica, fatta di case di pietra, dimenticata, vivono un vecchio frate eremita che ha raccolto negli anni una ricchissima biblioteca e un medico, in cerca di medicamenti alternativi, senza risposte certe, e per questo cacciato dalla civiltà che lo ha giudicato e condannato. Un’altra scommessa vincente per l’autore che tre anni fa con “E fu sera e fu mattina” divenne un caso cinematografico, ovvero budget ridotto all’osso e grande successo per i cinefili doc: anche adesso, con un amichevole passaparola, il film, accompagnato con amore dal suo autore, si sta dimostrando, anche se imperfetto, un invidiabile successo. Durata 110 minuti. (Reposi)

 

Tomb Raider – Avventura. Regia di Roar Uthaug, con Alicia Vikander e Dominic West. Dopo l’avventura firmata da Angiolina Jolie, ecco nuovamente Lara Croft. La quale decide di partire, dopo l’insperato ritrovamento di un quaderno d’appunti, per una sconosciuta isola del mar del Giappone alla ricerca di suo padre dato per scomparso. Durata 115 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Tonya – Drammatico. Regia di Craig Gillespie, con Margot Robbie, Sebastian Stan e Allison Janney. La storia della campionessa di pattinaggio artistico Tonya Harding, cresciuta tra i soprusi di una madre anaffettiva come quella disegnata dalla Janney, Oscar come migliore attrice non protagonista, sposata ad un uomo senza quattrini e parecchia violenza in corpo, lei gran temperamento focoso, grande carriera e grandi scandali. Come quello che la colpiì a metà degli anni Novanta, allorché la sua antagonistaNancy Kerrigan, alla vigilia dei campionati nazionali Usa, venne colpita alle gambe da un uomo, poi identificato, pronto a confessare di aver agito perché istruito e istigato dal marito della Harding. La creazione di un mito, la difficoltà a considerarla una donna e una campionessa in cui il pubblico non soltanto femminile si potesse riconoscere, il ritratto di un’America dove ognuno vuole emergere, in qualsiasi modo. Durata 121 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, The Space, Uci)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Oscar strameritati per la protagonista e per il poliziotto mammone e fuori di testa di Rockwell. Durata 132 minuti. (Greenwich sala 1)

 

L’ultimo viaggio – Drammatico. Regia di Nick Baker-Monteys, con Jürgen Prochnow e Petra Schmidt-Schaller. Ultranovantenne, da poco vedovo, Eduard, di origini tedesche, rimette in ordine i propri ricordi e rivisita il proprio passato, mettendosi su un treno per Kiev e andare là a ricercare la donna che fu il suo primo amore, quello più grande e mai confessato, mai dimenticato. Alle calcagna la nipote Adele, una ragazza abituata a vivere alla giornata e certo non interessata alle storie del passato. Non si tratta soltanto della storia personale, anche la Storia reclama una rivisitazione: vi sono delle radici, vive, che vanno comprese e conservate, c’è una tragedia chiusa nel passato e ancora ben viva nel tempo presente. Sarà per la ragazza una lezione difficilmente dimenticabile, di sentimenti e di memoria. Durata 107 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse)

 

Una festa esagerata – Commedia. Regia di Vincenzo Salemme, con Vincenzo Salemme, Tosca D’Aquino, Massimiliano Gallo e Iaia Forte. Gennaro Parascandolo deve preparare la grande festa per i diciott’anni della figlia, ma il decesso del signor Scamardella che abitava al piano di sotto spinge Gennaro a rinunciarvi. Chiaramente la moglie e la iretta interessata non sono assolutamente d’accordo: in più a scompigliare le idee del nostro s’aggiunge la figlia del defunto, che nei confronti di Gennaro coltiva delle più o meno strane idee. Durata 95 minuti. (Reposi, Uci)

 

Un sogno chiamato Florida – Drammatico. Regia di Sean Baker, con Willem Dafoe e Bria Vinaite. Un motel di periferia, a Orlando, Florida, dove abitano certi poveri d’America, un mondo ben diverso dal lusso e dal divertimento di Disneyland. Ci abita pure la piccola e divertita Moone, figlia di una madre single perdigiorno, senza un lavoro e con un passato problematico, nella loro vita la presenza protettiva e affettuosa del manager del motel. Durata 111 minuti. (Ambrosio sala 2)

 

 

 

 

Il Coni scrive al Cio e indica Torino/Milano per i Giochi olimpici invernali 2026

Il Coni ha ufficialmente indicato la candidatura della città di Milano/Torino per i Giochi olimpici invernali 2026, inviando una lettera al Cio, in relazione alla scadenza formale segnalata dal comitato olimpico internazionale. Il  Coni ha manifestato questo intendimento comunicando  di “voler proseguire nella fase di dialogo avviata nei mesi scorsi in seguito all’invito del Cio ricevuto il 29 settembre 2017”. Il Coni ora rimane in attesa della formazione del nuovo governo, poiché solo alla fine della fase di dialogo sarà il Cio a decidere quale sarà la città candidata.Nei giorni scorsi il Comune di Torino aveva dato l’avvio all’associazione Torino 2026 che si occuperà – se la candidatura ricadrà sulla città della Mole – di organizzare le Olimpiadi.

Pievi romaniche astigiane tra Montechiaro e Cortazzone

Le dolci colline delle campagne astigiane, rivestite di vigneti, boschetti e pascoli, custodiscono sorprendenti testimonianze di fede ed arte medioevale, le pievi romaniche

Per comprendere l’origine di questi edifici di culto, oggi immersi nel verde della campagna, a mezza costa o in cima a bricchi coperti di viti, più raramente nelle aree di fondovalle, occorre proiettare il proprio sguardo indietro nel tempo. Nella seconda metà del Cinquecento, a seguito delle “ispezioni” condotte da vescovi e visitatori apostolici in conformità alle direttive del Concilio di Trento, concluso nel 1563, emerse un fenomeno diffuso nei territori astigiani con sconfinamenti nelle aree limitrofe, dal Chierese orientale all’Acquese: l’esistenza di un significativo numero di chiese cimiteriali o campestri, che conservavano pressoché inalterata la struttura romanica originaria, presentandosi agli occhi dell’osservatore come dei veri e propri “reperti archeologici” risalenti come fondazione al IX-XII secolo. Di questi edifici, quasi sempre privi di manutenzione se non quella minima, indispensabile per evitare crolli, si rilevava la vetustas, cioè l’antichità, l’uso occasionale per le feste del santo titolare, una volta l’anno, e la lontananza dai centri abitati. Fu proprio l’isolamento, messo in evidenza già nelle relazioni del tempo, a consentire la perfetta conservazione di queste chiese che, non dovendo più servire nella maggior parte dei casi come parrocchie, non vennero mai modificate, ampliate o ritoccate nel loro aspetto architettonico, mantenendo la purezza delle forme romaniche. L’isolamento, però, non deve ingannare perché non è una condizione originaria di questi edifici sacri, che si trovavano invece, all’epoca della loro costruzione, nel mezzo di villaggi e centri abitati. In seguito, a partire dal XIV secolo, per ragioni legate al decremento demografico dovuto al comparire delle pestilenze, alle feroci razzie compiute dalle compagnie di venturieri ed al mutare del quadro politico, questi villaggi scomparvero, lasciando le chiese, costruite in muratura, come unica traccia materiale superstite, mentre le abitazioni, non più curate, andarono in rovina, affogate nella vegetazione e inghiottite dall’inesorabile fluire del tempo. Queste chiesette, ora immerse nella quiete campestre, presero forma tra IX e XI secolo, talvolta innestandosi su edifici più antichi in legno, strutturandosi come pievi di villaggio, dove per pieve s’intende una chiesa avente diritto di battesimo e di sepoltura e centro fisico del piviere, l’unità territoriale di base dell’antica organizzazione ecclesiastica del territorio o, in certi casi, come oratorii e tituli, chiese minori dipendenti da una pieve. Nei dintorni di Montechiaro d’Asti, tra le valli Rilate e Versa, sorgono due preziosi esempi di romanico astigiano, la pieve di Santa Maria Assunta di Pisenzana, a nord dell’abitato, e la chiesa dei Santi Nazario e Celso, in località Castel Mairano.

Ammirando San Nazario, attestata sin dall’XI secolo come chiesa soggetta al priorato benedettino della Torre Rossa in Asti, dipendenza dell’abbazia della Fruttuaria, e l’Assunta di Pisenzana, la cui prima attestazione risale al 907, dobbiamo quindi immaginare questi luoghi di culto, ora avvolti dal silenzio campestre, originariamente circondati dalle modeste case d’un villaggio che, in una fase successiva, si spopolò per quella serie di cause politico-economiche che, tra XIV e XV secolo, portarono alla modifica della cartina dell’insediamento umano nel Piemonte medievale, così come nel resto d’Europa. Tra XII e XIII secolo i Comuni più potenti, come Asti, estesero la sfera d’influenza sul contado, in competizione con signori rurali e principati territoriali, elaborando strategie di “colonizzazione” come la fondazione di nuovi aggregati, borghi franchi o villenove, talora derivanti dalla fusione di più villaggi preesistenti. Fu proprio per iniziativa del Comune di Asti che, nel 1200, i signori di Mairano, Pisenzana, Maresco e Cortanze, seguiti dalla popolazione, si aggregarono fondando la villanova di Montechiaro. Lo spopolamento delle sedi originarie, con l’eccezione di Cortanze, non compromise però la sopravvivenza delle pievi di villaggio che, per un certo periodo, continuarono ad esercitare le loro funzioni o comunque a servire come luoghi di sepoltura. Mentre la pieve di Pisenzana, tra le più antiche dell’Astigiano, è poco discosta dall’abitato di Montechiaro e appare ancora circondata da alcune lastre tombali dell’antico cimitero, la chiesa dei Santi Nazario e Celso sorge isolata nella campagna e si raggiunge lasciando l’auto alle pendici del Bric San Nazario per poi salire a piedi in cima all’altura. L’edificio, riparato nella zona absidale e ai lati da un boschetto cresciuto sul ciglio della vetta, lasciando libero solo lo spiazzo di fronte all’ingresso, colpisce per la sproporzione tra l’alto campanile, di quattro piani fuori terra, e l’impianto della chiesa, ad aula unica e con facciata a capanna. La tessitura muraria si caratterizza per l’armonico alternarsi di file di mattoni e di blocchi di pietra arenaria, che conferisce all’insieme quell’effetto coloristico tipico del romanico astigiano. Qui si nota meno l’esuberanza dell’apparato ornamentale e scultoreo, più evidente in altri casi, però spicca la bellezza delle cornici dell’arco sopra il portale, con file di cornucopie, antico simbolo di abbondanza, e decorazioni a nastri intrecciati e a “dente di lupo”. A una manciata di chilometri da Montechiaro d’Asti, in val Rilate, sorge poi la splendida chiesa di San Secondo di Cortazzone, che si trova in località Mongiglietto, in cima a un bricco prospiciente il paese di Cortazzone, per molti anni feudo della potente famiglia astese dei Pelletta e ancor oggi dominato dalla massiccia mole del castello, più volte rimaneggiato nei secoli. Il nome della località, Mongiglietto, evoca radici pagane; se ne ipotizza la derivazione da Mons Jovis, monte di Giove, ma altri collegano il toponimo al francese antico Mont-joie e alle “mongioie”, cumuli di pietra che venivano posti già in età celtica lungo le strade come segnavia e anche per ragioni cultuali, propiziatrici del viaggio. La facciata, in parte alterata nel Seicento con una sopraelevazione in mattoni culminante in un campaniletto a vela, mostra un elegante portale d’ingresso sovrastato da una cornice orizzontale in cui s’inserisce come decorazione una fila di conchiglie, segno evidente che indica la chiesa come luogo di sosta per i pellegrini lungo quel fascio di percorsi che componevano la Via Francigena. Ciò che maggiormente sorprende nella visita di questo edificio, che fu dipendenza del vescovo di Asti e poi dal 1345 della pieve di Montechiaro, è il ricco apparato scultoreo. Esternamente è il lato sud a colpire non solo per la varietà di decorazioni, che rispecchiano il repertorio del romanico astigiano, dalla cornice a “damier” alle file di archetti pensili poggianti su mensole con decori a motivi vegetali e geometrici, ma anche per la singolarità di certe figure scolpite che paiono poco consone a un luogo di culto. Tra queste risalta, nella parte alta della navata centrale, una scena di accoppiamento che, rifacendosi a schemi ancestrali, pare un richiamo ad antichi riti propiziatori della fertilità o anche leggibile come una sorta di ex voto per parti difficili. L’interno, suddiviso in tre navate terminanti in absidi, invita all’esercizio della fantasia, con una vera e propria foresta di figure zoomorfe, antropomorfe, fantastiche, ibride e chimeriche, che popolano i capitelli e che, in perfetta sintonia con la passione medioevale per i simboli, evocano principi e concetti non sempre intellegibili per l’uomo di oggi. Compaiono varie figure, come la lepre, che esemplifica bene l’ambiguità e ambivalenza del simbolo, richiamando sia il concetto di lussuria, evocato dalla nota prolificità dell’animale, sia la caducità della vita, data la sua proverbiale rapidità di movimento, ma anche scene più articolate, con volatili con un’unica unica testa intenti a beccare, cavalli con le zampe curiosamente morsicate da teste bovine, gruppi di sirene con coda bipartita o coda ad arco “tenuta da ambo le mani”. Infine i tre capitelli disadorni, lasciati allo stato grezzo, paiono rivelare nella loro incompiutezza il senso della finitezza umana dinnanzi all’onnipotenza e perfezione di Dio. Osservando i caratteri stilistici delle chiese romaniche astigiane si riscontrano evidenti affinità, che indussero il Porter e altri studiosi a teorizzare l’esistenza di una vera e propria “Scuola del Monferrato”, nata da una commistione di influssi padani, borgognoni e provenzali, accostati a tratti originali: l’effetto coloristico dato dall’alternanza nella tessitura muraria di conci di pietra e mattoni; l’assenza di cupole e transetto; la sopraelevazione della zona presbiteriale; l’esuberanza dell’apparato scultoreo e ornamentale, con decorazioni a “dente di lupo”, “dente di sega”, “damier”; la presenza di elementi forse rivelanti influssi orientali, come l’arco falcato e oltrepassato; le paraste angolari delle facciate, che rafforzano lo spigolo e delimitano i volumi; la composizione delle absidi, con la superficie esterna suddivisa in campiture da due o tre lesene, che poggiano su un basamento e portano serie di archetti pensili.

 

Paolo Barosso

Il “bacio” di Rodin arriva in Piemonte

Le Baiser di Rodin, tra i cinque “baci” più famosi al mondo, verrà esposto a Domodossola grazie alla Fondazione Ruminelli.
La copia in bronzo dell’originale in marmo proviene dalla Fondation Gianadda di Martigny. In mostra dal 6 aprile al 13 maggio a Palazzo San Francesco. Si tratta senza dubbio di una delle sculture più celebri di Rodin ed è forse “il bacio” più famoso della storia dell’arte. Auguste Rodin (1840-1917) è stato celebrato nel corso del 2017 con mostre ed esposizioni di grande valore in occasione del centenario della morte (tra le più importanti quelle al Grand Palais di Parigi e al Metropolitan Museum di New York e in Italia con una grande mostra visitabile fino a giugno di quest’anno a Treviso).


Dal 6 aprile al 13 maggio il Borgo della Cultura di Domodossola, grazie all’importante collaborazione tra Fondazione e Associazione Ruminelli, Assessorato alla Cultura del Comune di Domodossola e Fondation Pierre Gianadda di Martigny, ospiterà all’interno dello splendido Palazzo San Francesco la riproduzione in bronzo della celebre scultura in marmo di Rodin. Rodin esprimeva nelle sue opere l’idea più alta della vita, come limpida espressione dell’animo umano, e il suo Baiser è un chiaro esempio dell’ammirazione che il grande scultore francese nutriva nei confronti delle opere degli ultimi anni di Michelangelo. Gli amanti Paolo Malatesta e Francesca Da Rimini rappresentati nel Bacio (1881-1882) si rifanno dunque decisamente al Rinascimento, ma l’opera lancia uno sguardo chiaro verso il presente di Rodin, con quell’indagine profonda nella psiche tipica del Novecento. Il successo dell’opera in marmo convinse lo stesso Rodin ad autorizzare la riproduzione della stessa, a partire dal 1898, in alcune copie in bronzo, tra cui quella ospitata attualmente nel Parco delle Sculture della Fondation Pierre Gianadda di Martigny. La giornata inaugurale di venerdì 6 aprile inizierà alle 17.30 con un momento ufficiale nei pressi della Chiesa della Madonna della Neve per festeggiare il termine dei lavori di rifacimento delle facciate del piccolo santuraio domese, realizzati grazie alla donazione di oltre 130.000 euro del mecenate svizzero e cittadino onorario di Domodossola, Léonard Gianadda.
Alle 18.30 è invece fissato il taglio del nastro dell’esposizione presso Palazzo San Francesco, in Piazza Convenzione, che ospiterà anche la mostra “Sculptures en lumière” di Michel Darbellay, sempre realizzata grazie alla Fondazione Gianadda (ingresso libero tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 19). «La bellezza è il carattere e l’espressione. Ora, non c’è nulla nella natura che abbia più carattere del corpo umano. Esso evoca con la sua forza e la sua grazia le immagini più diverse. Il corpo umano è soprattutto lo specchio dell’anima e da là viene la sua più grande bellezza» disse Auguste Rodin nel 1911. La storia di Rodin, uomo che nella solitudine ha sempre trovato grande ispirazione, è una storia di emozioni grandissime e il Bacio ne rappresenta uno degli esempi più fulgidi, in cui la bellezza e l’arte si abbracciano creando un istante di pura felicità e seduzione.

 

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Per informazioni sulle attività dell’Associazione Culturale Mario Ruminelli www.associazioneruminelli.it – www.facebook.com/associazionemarioruminelli info@associazioneruminelli.

Successo dell’Esercito alla competizione internazionale di Sanremo

Una rappresentativa di Ufficiali Allievi del Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito ha partecipato alla 17^ edizione dei campionati di Diritto Internazionale Umanitario per le scuole militari, indetto dal Dipartimento

Militare dall’Istituto internazionale di Diritto Umanitario (IIHL – International Institute of Humanitarian Law) di Sanremo. La squadra italiana, composta dai sottotenenti del 196° corso, ha gareggiato sia nelle competizioni miste che nelle gare individuali in un contesto che ha coinvolto le più prestigiose accademie militari di tutto il mondo fra cui West Point (Stati Uniti), Saint Cyr (Francia) e Sandhurst (Gran Bretagna). Le rappresentative sono state suddivise in quattro diverse classi e valutate da giudici internazionali provenienti da Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Russia e Stati Uniti. Gli ufficiali della Scuola di Applicazione si sono confrontati insieme ad una novantina di colleghi giunti anche da Germania, Indonesia, Malawi, Nigeria, Norvegia, Paesi Bassi, Ruanda, Svezia, Svizzera, Thailandia e Uganda in una serie di prove nelle quali era necessario dimostrare la conoscenza di una materia complessa le cui radici affondano nelle Convenzioni di Ginevra. Partendo da uno scenario geopolitico simulato, i concorrenti hanno dovuto risolvere, utilizzando esclusivamente la lingua inglese, tematiche come la protezione della popolazione civile, i “bambini soldato”, il trattamento dei naufraghi e dei prigionieri di guerra. La conoscenza del diritto umanitario, essenziale per i futuri Comandanti dell’Esercito, è parte dell’iter formativo degli Ufficiali ed è il risultato della stretta collaborazione fra il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, l’Università degli Studi di Torino e l’IIHL di Sanremo.

Sovrane eleganze al castello di Racconigi

Una mostra intera per le nobildonne di Casa Savoia, sovrane eleganze appunto. Niente Re, principi e duchi ma solo regine, contesse e principesse, dall’anno Mille al Novecento, in una lunga storia ambientata, come in una vecchia pellicola cinematografica, al Castello di Racconigi dove nel 1904 nacque Umberto II, l’ultimo re d’Italia, e nel 1909 arrivò lo zar Nicola II, giunto da San Pietroburgo con il suo treno privato per firmare gli accordi italo-russi. E poi nel 1925 ci fu un altro evento importante, le nozze della principessa Mafalda celebrate nella dimora cuneese. Ma ora l’attenzione è focalizzata sulle dame della grande famiglia dei Savoia. Il Castello Reale di Racconigi ha ospitato sovrani, principi, regine, capi di Stato e di governo e oggi è un museo molto frequentato all’interno del circuito delle residenze sabaude del Piemonte con un numero di visitatori che negli ultimi due anni è balzato da 80.000 a 140.000. Per celebrare i trent’anni dell’apertura al pubblico del Castello è iniziata, lo scorso anno, una lunga festa con mostre, iniziative ed eventi che proseguono adesso nei saloni del maniero con la rassegna “Sovrane eleganze: al castello di Racconigi protagoniste le donne di Casa Savoia”, inaugurata dalla principessa Maria Gabriella di Savoia, che fino al 10 giugno ripercorre dieci secoli di storia della dinastia attraverso l’arte, la moda e lo stile. Al centro della mostra spiccano le figure di Adelaide di Susa, che nell’XI secolo sposò Oddone di Savoia, Maria Cristina di Francia, la prima Madama Reale nel Seicento, Anna Maria d’Orléans, prima regina di Sardegna, moglie di Vittorio Amedeo II e nipote del Re Sole, mecenate di artisti nel Settecento, Margherita di Savoia, consorte di re Umberto I e prima regina d’Italia, Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III e Maria José del Belgio, la “regina di maggio”. Non solo proprietarie di terreni e immensi patrimoni ma donne ricche culturalmente, studiose di arte, letteratura e musica, attente a proteggere gli artisti e i letterati, esempi di bellezza ed eleganza. Personaggi femminili visti e apprezzati attraverso i ritratti delle collezioni del Castello di Racconigi insieme agli abiti storici, ai vestiti da cerimonia con gioielli e pettinature che seguivano la moda dell’epoca, con costumi provenienti dalla Sartoria Tirelli e dalla Fondazione Tirelli Trappetti e con abiti vintage e contemporanei degli stilisti internazionali più famosi . Un’occasione preziosa per rivivere le vicende e lo stile di vita della Casa regnante attraverso un itinerario espositivo in cui scopriremo, tra l’altro, come i Savoia furono sedotti dal fascino per l’Oriente allestendo vere e proprie “sale cinesi” in varie residenze sabaude come a Racconigi e nelle stanze di Villa della Regina a Torino. Una mostra con due percorsi, secondo Riccardo Vitale, direttore del Castello di Racconigi. “Nel primo le figure femminili di Casa Savoia sono la voce narrante della dinastia, celebrate come icone di stile ed eleganza, nel secondo il Castello di Racconigi si lega a doppio nodo con la storia dell’architettura e dell’estetica, mettendo in luce, sala per sala, in un grande museo diffuso, i suoi legami con le altre Residenze Sabaude”. Storia, arte, architettura e moda si fondono con l’impegno politico e sociale, l’amore per l’arte e la cultura di regine, contesse e duchesse di Casa Savoia e per la loro determinazione come mogli, madri e reggenti. “La piramide dei poteri dinastici si è sempre fondata sulle armi, sulle arti e sui matrimoni. Ma dell’importanza straordinaria del ruolo femminile si è parlato spesso con superficialità, ha osservato Umberto Pecchini, ideatore della mostra con Loredana De Robertis, questa esposizione ribalta l’approccio e tra Corte, cultura, diplomazia, arte e moda pone la donna al centro di una rilettura innovativa. Donne sabaude fissate nella solennità del ritratto e nella storicità di un abito che è rappresentazione del loro tempo; ma anche reinterpretate nella rivisitazione contemporanea di quel gusto attraverso i modelli delle più note collezioni della sartoria italiana”. La sensazione che ho avuto visitando i saloni, ha aggiunto Alessandro Lai, curatore della mostra, percorrendo corridoi, scale, gallerie e entrando nelle varie stanze, è che si trattasse di una residenza abitata fino a poco tempo prima. “Da subito ho quasi percepito le presenze di chi l’ha vissuta ed è proprio questa semplice sensazione che ha messo in moto la mia immaginazione ispirando un allestimento fatto di “presenze”. Ecco definirsi allora le riproduzioni leggere dei quadri piemontesi delle donne di Casa Savoia e i costumi della Sartoria Tirelli che li ricordano o che, nel caso di Margherita di Savoia, sono stati ricostruiti nei dettagli”. La mostra è organizzata dall’Associazione Terre dei Savoia e dal Castello di Racconigi. È aperta al pubblico fino al 10 giugno, da martedì a domenica con orario 9.00-17,30. Sono possibili visite guidate, telefono 0172/ 86472 – info@leterredeisavoia.it

Filippo Re

Una torinese ai vertici di Palazzo Madama

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
Finalmente una torinese ai vertici delle istituzioni. La senatrice Anna Rossomando é stata eletta vicepresidente del Senato.Direi quasi non ci si crede. In questo ultimo decennio i rappresentanti piemontesi o torinesi non sono stati trattati bene dai rispettivi partiti e il nostro territorio non valorizzato debitamente.  Classe 1963 (un po’ si arrabbierà con me), giovanissima si agitava nelle assemblee studentesche. Nel 1980 in viaggio a Roma con i sindacati confederali a sostenere una manifestazione  di studenti in appoggio agli operai Fiat contro i licenziamenti. Giovanissima, coriacea e testarda. Diventa avvocato subito al primo colpo. Del resto non può ” tradire” le tradizioni di famiglia.  Sono sicuro, i suoi genitori ne sono orgogliosi, la mamma e il padre Antonio principe del foro torinese e già presidente dell’ordine. Come il fratello Matteo affermato avvocato civilista. Le ha proprio fatte tutte in politica: dalla sezione anche come “angelo del ciclostile” nel distribuite i volantini nei mercati o al liceo, come davanti le fabbriche. Ha sempre detto: essere comunista è prima di tutto una dimensione esistenziale e morale. Poi per due volte eletta in consiglio comunale e altrettante legislature in parlamento. Conosco le possibili critiche di non essere attendibile nel giudizio, data l’amicizia. Per recuperare voglio subito dire di un suo difetto.Tignosa fino all’inverosimile. Spacca il capello in quattro sia come politica che come avvocato. In questi giorni ci siamo sentiti. Volevo sincerarmi delle possibilità di essere eletta. Sempre gentilmente mi ha risposto buttando acqua sul fuoco  del mio entusiasmo: vedremo,  vedremo. Spesso  la competenza e il merito in politica non vengono premiati. Nella passata legislatura è stata membro dell’ufficio di presidenza della Camera
Poteva essere candidata al Consiglio Superiore della Magistratura. Ma avrebbe dovuto lasciare l’attività parlamentare.  Scettico per questa sua scelta, mi ha sempre rassicurato: voglio finire il mio lavoro. Giudizio positivo non solo perché la conosco ed è torinese, ma forse anche perché il Pd  sta addirittura tornando a fare politica. Una rondine non fa primavera ma una rondine fa ben sperare che  la primavera stia arrivando. Ad Anna un augurio di  buon lavoro da amico e da torinese.