Maggio 2017- Pagina 34

Nel docu-film la vita e il mondo dello “zingaro” Gipo Farassino

Chi ha vissuto gli anni ’60 a Torino non può perdersi uno spaccato della città , dove riconoscersi.

Nel docu-film “Gipo lo zingaro di Barriera” con regia di Alessandro Castelletto, sulla vita di Gipo Farassino , il protagonista Luca Morino, nel ricercare il personaggio enigmatico, non solo coglie le mille sfacettature di Gipo, ma anche i luoghi , i suoni, le persone e le emozioni che hanno fatto di Farassino un poeta , un maestro . Martedì 9  e Mercoledì 10 maggio al Cinema Centrale di Torino. L’incasso sarà devoluto alla Fondazione Caterina

VINOVO RUN FLOWER

Corsa e Camminata non competitiva per le vie di Vinovo: ritrovo in P.zza Rey ore 9.00, partenza ore 10.30

L’Ascom Vinovo in collaborazione con il Comune di Vinovo, GenerazioneX, Podistica Vinovo, Proloco Vinovo e come media partner Radio Contatto, organizza grazie anche al successo delle scorse edizioni, la Vinovo Run Flower una corsa e camminata non competitiva per le suggestive vie di Vinovo che supporta Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro di Candiolo ONLUS (http://www.fprconlus.it) . Il percorso di 5 km avrà inizio in P.zza Rey dove si potrà ammirare il Castello Della Rovere fiore all’occhiello di Vinovo e si snoderà per le vie toccando punti di importanza storica e architettonica. La corsa vuole essere  oltre che un’opportunità di conoscenza del territorio e un momento di convivialità , anche un’occasione per dimostrare solidarietà infatti parte del ricavato verrà devoluto alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro di Candiolo ONLUS che è stata costituita per offrire un contributo significativo alla sconfitta del cancro attraverso la realizzazione in Piemonte di un polo oncologico, che sappia coniugare la ricerca scientifica con la pratica clinica e metta a disposizione dei pazienti oncologici le migliori risorse umane e tecnologiche oggi disponibili.L’iscrizione ha un costo di €5,00 che comprende la Maglietta in Edizione Limitata e la possibilità di vincere ricchi premi. Ci si potrà iscrivere presso il Rey Cafè Vinovo P.zza Rey n29 Tel:0115509292

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Per informazioni

Ufficio Sport Comune di Vinovo 011.9620413

Facebook: www.facebook.com/vinovorun

www.radio-contatto.it

Nell’Orestea di De Fusco anche lo spettatore di oggi è giudice e testimone

Lo ha dedicato a Kaled Assad, il capo archeologo di Palmira, la vittima dell’Isis, l’uomo che ha pagato “con la vita il suo amore per l’arte e per la cultura”, Luca De Fusco il suo spettacolo che è in questo finale di stagione al Carignano (fino a domenica 14 maggio) per la stagione dello Stabile torinese – Teatro Nazionale

La notizia della sua uccisione arrivò quando De Fusco stava preparando lo spettacolo ed ecco allora questa Orestea che è un punto di visione verso il suo operato, verso la sua fede, in orrore alle Erinni trasformate oggi, in una società che ci interessa sempre più da vicino e che ci colpisce, nei nuovi assassini. Una trilogia – l’unica giunta sino a noi, fu rappresentata nel 458 a. C. – che ha il proprio compimento nella testimonianza della nascita del Diritto, che cancella la pratica della vendetta e dell’odio passati di padre in figlio e che trasforma la società arcaica in una società civile, dove i tribunali hanno un peso e una veste, una trasformazione che prolunga le proprie parole sino alla nostra – vacillante – età contemporanea. Si racconta, racchiusi in tre tappe, del ritorno a casa di Agamennone, vincitore a Troia, e del suo assassinio da parte della consorte Clitennestra, con l’amante Egisto, considerandolo essa il responsabile della morte della figlia Ifigenia, immolata sulla spiaggia alla partenza delle navi per il buon auspicio degli dei nell’imminenza della guerra (“Agamennone”); della vendetta che, con la sorella Elettra, compie il figlio Oreste (“Le coefore”) uccidendo la madre e l’amante, della sua fuga e del rifugio ch’egli trova tra le mura del tempio di Apollo a Delfi, con la richiesta ad Atena che il suo misfatto venga giudicato dal tribunale dell’Aeropago: sarà assolto con l’aiuto della dea mentre le feroci Erinni, sue persecutrici, si trasformeranno in Eumenidi (è loro il terzo titolo), benigne divinità della giustizia. De Fusco, cosa rara sui palcoscenici, ha voluto raggruppare il ciclo intero in un’unica serata, giocando di contaminazione; ovvero, non nuovo a questo intreccio di lavorazioni, agendo sulla sobria e attuale traduzione, privata di ogni retorica, ma egualmente “forte”, di Monica Centanni, ha unito la parola di Eschilo, antica, profonda, sanguinante pathos, alle proiezioni e ai video, alle musiche di Ran Bagno che fluttuano in un mondo che guarda in egual misura all’oriente come all’occidente, ai movimenti coreografici (a tratti mi sono sembrati “facili”) firmati da Noa Wertheim, traendone immagini altamente suggestive, laddove forse le preferenze personali vanno all’impianto del primo “Agamennone”, maggiormente fedele all’idea (scolastica?) che della tragedia da sempre abbiamo ma dovendosi pur sempre riconoscere che quell’Atena cinematograficamente cyber, perfetta fantasy, che occhieggia e stabilisce sull’alto della scena avrà il suo posto nell’elenco degli spettacoli dell’annata: anche perché affidata a un’attrice davvero eccellente, Gaia Aprea, già con un peso tutto suo nelle vesti della “verace sempre” Cassandra.

Uno spettacolo importante quello di De Fusco, che spazia tra le aree tecnologiche (i volti ingranditi sullo schermo, il campo e il controcampo, i vari riflessi degli attori tra palcoscenico e filmati) e che con giusti approfondimenti mette a tratti in primo piano quello spettatore che è ognuno di noi oggi, riaccendendo per esempio le luci della sala e rendendoci testimoni e giudici, al di là della parola, che con lo scenografo Maurizio Balò inventa uno spazio scenico davvero significativo: ai piedi di una porta grigia che s’apre e si chiude sul buio che è la reggia di Argo, una lunga pedana in leggero pendìo, che avanza verso la platea, ricoperta di terriccio scuro da cui risorgono alcuni personaggi e vari reperti qua e là e che s’accende di rosso in lunghezza nella sua parte centrale, sia sangue o tappeto rosso; che s’affida ai bellissimi costumi di Zaira De Vincentiis, capace di giocare ampiamente sul bianco e sul rossastro della regina degli Atridi e sul nerissimo delle Erinni, orrendi uccellacci, capitanate da Angela Pagano in perfetta forma. Se l’Oreste di Giacinto Palmarini non gode ancora appieno della veemenza e della maturità che gli appartengono, se forse è un po’ acerba la Elettra di Federica Sandrini, il resto della compagnia, venti attori in scena tra attori e danzatrici, vanta un risultato pienamente raggiunto, Mariano Rigillo (seppur di breve apparizione), Paolo Serra, Enzo Turrin, Anna Teresa Rossini e soprattutto, per l’ardore della sua regina, per quella gran carica di vendetta che per anni ha covato dentro di sé, Mascia Musy, bravissima.

 

Elio Rabbione

MARTEDì CHIUSURA AL TRAFFICO DEL CAVALCAVIA DI CORSO GROSSETO

Martedì 9 maggio, dalle ore 9 e fino al tardo pomeriggio, il cavalcavia di corso Grosseto sarà chiuso al traffico in entrambe le direzioni (Grosseto e Potenza) per consentire l’installazione dei portali destinati a impedire l’accesso ai mezzi pesanti.

Da venerdì scorso il transito sull’infrastruttura, dove è stato anche istituito il limite di velocità di 30 km/h, è consentito ai soli veicoli di peso complessivo inferiore a 3,5 tonnellate e di altezza inferiore a 2 metri e 70.

Le limitazioni, che hanno esclusivamente scopo precauzionale, servono a limitare l’impatto del traffico e sono state decise per preservare l’infrastruttura, che viene monitorata costantemente in attesa dei futuri interventi per la realizzazione del collegamento della linea Torino – Ceres con la rete R.F.I. lungo corso Grosseto.

www.comune.torino.it

Ragazzo in moto muore nello scontro con un suv

Aveva 26 anni il giovane morto in un incidente stradale, la scorsa notte a Torino, quando   in sella alla sua moto, una Gilera Runner, in via Pio VII si è schiantato contro un Suv, Range Rover Evoque. Il ragazzo è caduto a terra ed è morto sul colpo, prima dell’arrivo dell’ambulanza . Pare  che la grossa vettura e lo scooter viaggiassero nella stessa direzione. Probabilmente l’automobilista alla guida, che precedeva il ragazzo in moto,  non si è accorto della presenza dello scooter alle sue spalle. Oltre l’incrocio di corso Traiano, la macchina, forse per parcheggiare, ha girato a sinistra, tagliando la strada al motociclista che è caduto a terra dopo essere finito contro l’auto.

UNC PIEMONTE: “CASO VANNONI, PRONTI A DIFENDERE LE VITTIME DEL METODO STAMINA”

I legali del Comitato Regionale dellUnione Nazionale Consumatori a disposizione dei truffati per il risarcimento dei danni

 Il Comitato Regionale del Piemonte dellUnione Nazionale Consumatori, fondato e presieduto dallAvvocato Patrizia Polliotto (nella foto) , scende in campo a tutela delle vittime di Davide Vannoni, padre del contestato e inefficace metodo Stamina’. Arrestato a Torino (più precisamente, nella sua abitazione di Moncalieri), ora accusato di aver «adescato», usando anche i social network come Facebook, malati affetti da patologie neuro degenerative incurabili, in Italia, li avrebbe convinti a farsi curare in Georgia, in una clinica privata a Tibilisi, pagando infusioni di staminali. Malati che, secondo la Magistratura, non solo non sono mai guariti, ma sarebbero stati ingannati con lobiettivo di guadagnare e la loro salute sarebbe stata messa in pericolo perché le infusioni di Vannoni non hanno alcun fondamento scientifico’. Tutti i consumatori vittime del metodo VANNONI potranno denunciare l’accaduto presentando nei termini una querela nei suoi confronti, e potranno essere rappresentati nel procedimento penale dallUNC -Comitato Regionale del Piemonte- in persona del Presidente e Coordinatore pro tempore -avv. Patrizia POLLIOTTO del Foro di Torino– tramite il proprio procuratore avv. Caterina BIAFORA del medesimo Foro, rilasciando una nomina in qualità di persona offesa dal reato per offrire eventualmente degli ulteriori elementi per le indagini e che verrà depositata al Pubblico Ministero. Dopo la conclusione delle indagini preliminari sarà possibile anche costituirsi parte civile nel medesimo procedimento al fine di ottenere il risarcimento del danno subito.  

Il Comitato Regionale del Piemonte dellUnione Nazionale Consumatori ha quale scopo statutario, oltre che la difesa del consumatore anche la tutela della salute e della dignità umana: in questo caso specifico viene leso il diritto di malati gravi, creando false aspettative sia nei pazienti che nei loro familiari. I nostri legali sono a disposizione per assistere tutti gli aventi diritto nel processo penale.  Per far ciò, invitiamo le vittime di reato a mettersi in contatto con i nostri sportelli entro il 16 maggio 2017, telefonando allo 011 5611800 o allo 0121 376264 in normale orario dufficio dal lunedì al venerdì, spiegano dalla nota associazione consumeristica.

 

 

Almudena Grandes: “Vi racconto il mio primo romanzo corale”

di Laura Goria

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Con Almudena Grandes, il Circolo dei Lettori di Torino ha chiuso in bellezza il ciclo di incontri “Hispanica”, per il quale è riuscito a portare nelle sue sale alcuni dei più importanti scrittori spagnoli contemporanei. Ed è stato successo ogni volta: dal primo appuntamento con Alicia Gimenez Bartlett, passando per Julio Llamazares e Javier Cercas, che al Circolo dei lettori si sono raccontati ad un pubblico numerosissimo e partecipe.

 

Almudena Grandes -diventata famosa con “Le età di Lulù” nel 1989, che suscitò scalpore e ispirò anche il cinema- oggi è una delle scrittrici più interessanti del panorama internazionale, con i suoi poderosi affreschi della società spagnola di fronte ai grandi eventi della storia, dalle crisi alle guerre e alla dittatura. Il suo ultimo romanzo “I baci sul pane” (Guanda) è ambientato nel quartiere Malasaña di Madrid durante la grave crisi spagnola del 2008. Un microcosmo popolato da persone diverse per estrazione sociale, che lottano per la sopravvivenza. Il titolo è emblematico e rimanda a due generazioni fa quando i genitori insegnavano ai figli che il cibo caduto per terra non andava assolutamente sprecato, ma raccolto e mangiato.

Perché baciare il pane è importante tanto da meritare un titolo?

«Perché mi piacerebbe che si leggesse come un romanzo su quello che capita oggi nel mio paese; ma anche come una rivendicazione della cultura della povertà. Quando ho iniziato a riflettere sulla crisi, ho ricordato la mia infanzia e la figura di mio nonno per il quale questa più che una crisi sarebbe stato un “incidente” di cui sorridere».

In cosa sono diverse la fame di ieri e quella di oggi?

«Gli spagnoli di quella generazione erano più poveri, non erano andati all’università, non avevano viaggiato, parlavano in dialetto e via così, ma avevano una ricchezza che noi   abbiamo perso: saper vivere la povertà come una lotta e con dignità. In questo senso erano più ricchi».

 

Cosa è cambiato?

«La Spagna nel corso della storia è stato anche un paese molto ricco, ma gli spagnoli sono sempre stati poveri e l’hanno vissuto dignitosamente. Però negli ultimi 25 anni abbiamo perso il rapporto con quella cultura e quelle tradizioni. Ci hanno detto “adesso siete ricchi” e ci abbiamo creduto pensando che lo saremmo stati per sempre. Non è stato così ed oggi molti di noi sono come bambini spersi nel loro stupore, incapaci di resistere a quello che è capitato, perché non c’è più quell’idea della lotta per la vita, della povertà con dignità che, invece, mi piacerebbe recuperare».

Perché lei ama raccontare grandi eventi, come guerre o crisi, attraverso quelli piccoli   della vita della gente comune?

«In questo libro volevo narrare quello che è capitato in Spagna con la crisi economica che ha una sua natura speciale ed è diversa da tutte le altre. Pensavo che il modo migliore fosse farlo proprio attraverso il cambiamento molto profondo che ha comportato nella vita della gente.

Sono partita da un gruppo di persone non omogenee, di classi economico-sociali differenti,   all’interno di un quartiere, il mio. La storia accade proprio lì dove non ci sono i più ricchi e nemmeno i più poveri, ma quelli di mezzo, mescolati tra loro».

Quanto è difficile imbastire un grande romanzo corale?

«Questo è il mio primo romanzo davvero corale. Perché è vero che i miei libri hanno tanti personaggi, ma negli altri c’è sempre un protagonista, gli occhi di qualcuno a raccontare la storia; in questo invece ci sono persone molto diverse che reagiscono ognuna alla propria maniera di fronte alla crisi».

In Spagna quanto è realmente diffusa la solidarietà in microcosmi come un palazzo o un quartiere?

«Moltissimo ed è sempre stata molto importante. Credo che nei momenti peggiori la pace sociale sia stata conservata proprio grazie al reciproco aiuto all’interno delle famiglie che hanno fatto cerchio intorno a chi era più in difficoltà. Anche la solidarietà civile, come quella di organizzazioni spontanee di quartiere per sostenere i più deboli, è stata fondamentale».

Le donne di fronte alle difficoltà hanno una marcia in più?

«Si… ma ce l’hanno sempre, anche in tempi buoni. Certo, in un mondo problematico come quello del romanzo le donne sono quelle che portano maggiormente il peso di solidarietà, responsabilità e organizzazione delle famiglie. Nel libro ce ne sono tante perché credo che abbiano un ruolo più interessante di quello degli uomini. Soprattutto in questo momento: forse perché i maschi tendono a sentirsi colpevoli quando perdono il lavoro o gli abbassano il salario e non si sentono in grado di provvedere alla famiglia. Le donne non hanno questa reazione, fanno le cose in un’altra maniera e sono più forti».

Nei suoi romanzi la famiglia ha sempre un ruolo fondamentale……ma oggi dove sta andando?

«In Spagna e in tutto il sud Europa è importantissima, anche se la sua struttura sta cambiando,

tra famiglie allargate, coppie gay o di fatto che possono avere figli…Ma credo che in definitiva la forza e il suo valore persistano. Per esempio io, mia sorella e i miei fratelli ci parliamo tutti i giorni e manteniamo una rapporto molto stretto».

L’amore per lei cos’è e quanto è strategico nella vita?

«E’ fondamentale. Un’attitudine ma anche uno stato di grazia. Una cosa che devi sforzarti di avere, ci devi lavorare; ma è soprattutto un dono, qualcosa che accade. E’ importante in senso più ampio di quello romantico ed indispensabile all’esistenza».

Cosa ama di più della vita, cosa la rende più felice, cosa la intristisce e cosa la spaventa di più?

«Amo molto i libri e leggere; cucinare mi fa felice; mentre le foto antiche mi mettono nostalgia e tristezza… quelle di oggi pure, perché penso che domani saranno vecchie e nostalgiche anche   loro. In questo momento mi fa paura il ritorno di tante idee orribili che credevamo di avere sconfitto;   invece sono qui, con un nuovo fascismo, machismo e razzismo».

Dai tempi di “Le età di Lulù” quanto è cambiata Almudena Grandes?

«Moltissimo. Sono passati quasi 30 anni, adesso sono più vecchia, più furba e soprattutto, credo, una scrittrice migliore, ho un controllo molto più assoluto sul mio lavoro».

Il prossimo libro?

«Il quarto della serie che sto scrivendo sul franchismo: è quasi un romanzo di spie, su una rete di   evasioni di criminali di guerra e nazisti che funzionò tra Madrid e Buenos Aires dopo la 2° guerra mondiale. In Spagna uscirà a settembre e poco dopo in Italia»

Il suo sogno più grande per il futuro?

«Avere dei nipoti, essere una nonna».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mostra che racconta il fascino di una materia antica

“La voglia di fare ‘il secondo passo’ ce l’hanno regalata gli artisti che ci porteranno bellezza ancora una volta, il ricordo del piacere letto negli occhi dei visitatori, la possibilità di raccontare ancora il fascino della materia antica plasmata da uomini e dei”. Così Luigi Castagna e Giuliana Cusino, anime e interpreti dell’Associazione “Arte per voi” di Avigliana, nell’inaugurare e presentare nei giorni scorsi la seconda edizione della “Terra degli dei”, ricca collettiva di artisti della ceramica, che vuole divenire un appuntamento cardine della vita artistica e culturale del Piemonte come pure un’occasione per conoscere le bellezze della città. Un appuntamento che nasce soprattutto per l’intervento dell’Amministrazione locale e con il contributo di forze private, di aziende e di associazioni, che si moltiplica, nella suggestiva immagine del territorio, su quattro sedi, dalla chiesa di Santa Croce in piazza Conte Rosso alla galleria “Arte per voi” ancora sulla medesima piazza, dalla galleria “Porta Ferrata” alla Scuola Comunale per l’Arte Ceramica, entrambe in via Porta Ferrata. Tutto quanto sotto l’occhio attento di Donatella Avanzo, la curatrice che ne suo intervento alla mostra sottolinea come “la lunga storia della ceramica attraverso il tempo è arrivata sino al nostro presente con una mostra che riconosce nei nuovi artisti quella fantasia creativa che ha animato il passato e che ancora si perpetua nelle sapienti mani dei ‘Licurgo’ contemporanei”. La prima sede allinea le opere di 22 artisti di fama nazionale e internazionale – Franca Baralis, Tiziana Berrola, Antonio Capra eccellente nel suo mondo fantasioso, Claudio Carrieri, Gian Genta che imprime un sentimento dando vita a quanto non è solo “materia che guarda”, Sonia Girotto, Luciano Laghi, Marcello Mannuzza, Manuz, Andrea Nisbet, Chiara Nuti, Martha Pachòn, Brenno Pesci con i suoi divertenti dragotti, Carlo Pizzichini, Ylli Plaka, Ermes Ricci tra balene e sirene, Alberto Schiavi, Carlo Sipz, Luigi Stoisa, Sergio Unia tra visi e corpi che sono un inno alla bellezza e all’amore, Nino Ventura, Pietro Weber -; alla galleria “Arte per voi” si ritrova la personale di Giuliana Cusino intitolata “Ali”, ceramiche raku sempre di squisita composizione, immerse in un mondo di favole mentre alla “Porta Ferrata” sono ospitate le opere di Sandra Baruzzi, Giuliana Bellina, Enrica Campi con le sue donne dai grandi occhi, Guglielmo Marthyn immerso in un allegro mondo musicale e Massimo Voghera di cui va almeno ricordato qui il bellissimo “Cantastorie”. Piero e Francesca Della Betta, due importanti, autentici maestri, con le loro opere alla Scuola Comunale. La mostra sarà aperta ad Avigliana fino all’11 giugno per poi passare nelle sale del Castello Della Rovere di Vinovo grazie alla collaborazione con quella Amministrazione e con la curatrice Elena Piacentini.

 

Elio Rabbione

 

 Nelle immagini, dall’alto:

 

Sergio Unia, “Torso nudo con reggicalze”, h 60, terracotta, 2005

Guglielmo Marthyn, “Direttore d’orchestra”, cm. 42x56x12, grès smalti ossidi, 2014

Giuliana Cusino, “Pegasus”, cm. 61×77, ceramica e ossidi su plexiglass, 2017

 

 

 

 

‘IL RULLANTE INSAGUINATO’ PRIMO ROMANZO NOIR-MUSICALE

Il debutto letterario ambientato tra Piemonte e Liguria del noto critico musicale con la prefazione del bluesman Andrea Mingardi

Verrà presentato domenica 21 maggio al Salone del Libro di Torino, edito da ‘Sillabe Di Sale Editore’, “Il Rullante Insanguinato”, opera prima in chiave noir di Lele Boccardo, giornalista e critico musicale per prestigiose testate musicali e di spettacolo italiane. Un romanzo ambientato tra Piemonte e Liguria tenuto a battesimo, nella doppia prefazione, oltre che dal giornalista e press agent di noti cantanti italiani Maurizio Scandurra, soprattutto da Andrea Mingardi, bluesman e cantautore tra i più noti da sempre in Italia e autore del maggior numero di brani inediti per Mina, negli ultimi anni scrittore di gialli intricati e avvincenti anch’esso, che ha firmato parole preziose e incoraggianti in incipit del romanzo. “Il Rullante Insanguinato” ruota attorno alla figura del batterista, ruolo peraltro ricoperto dallo stesso Andrea Mingardi a inizio carriera. Il batterista: spesso ultimo in ordine di disposizione logistica in fondo al palco, ma invece sempre più elemento primo, cardine e collante nel tenere insieme per decenni una band e farne così la storia. E’ infatti a figure di assoluto spessore e importanza come Franz Di Cioccio che si deve l’epopea mondiale della PFM (Premiata Forneria Marconi), come dell’indimenticato Giancarlo Golzi per i Matia Bazar e il gruppo Museo Rosenbach, che ancora oggi miete grandi successi di consenso e di pubblico in Giappone, ove il prog-rock nostrano è amatissimo e pluricelebrato”, dichiara Lele Boccardo: che, sin da piccolo, sognava, ironia della sorte, un futuro da batterista. Anche se il destino ha poi scelto per lui strade diverse ma ugualmente in volo sulle ali della musica, con la penna fra le mani al posto delle bacchette. “Il Rullante Insanguinato”, che verrà presentato anche al Salone del Libro 2017 di Torino, è anche uno sguardo attento ai fenomeni del cambiamento in atto nella musica e dintorni. Quale, in primis, quello da nessuno prima d’ora mai indagato, a livello letterario, delle ‘tribute band’ (per la prima volta protagoniste assolute di un romanzo noir) “vale a dire centinaia di gruppi di valenti musicisti sparsi in ogni dove d’Italia cui si deve la funzione culturale di aggregazione, conservazione e propagazione reiterata a macchia d’olio su tutto il territorio di repertori di canzoni ed emozioni senza tempo entrate a pieno diritto nella coscienza collettiva nazionale”, sottolinea Lele Boccardo, che ringrazia di cuore “il grande Andrea Mingardi, Maestro indiscusso di musica e parole, per il dono prezioso di una così autorevole e intensa prefazione”.

 

“IL RULLANTE INSANGUINATO” – LA TRAMA

 

Una serie di delitti a prima vista inspiegabili: i batteristi per l’appunto di diverse tribute band crudelmente uccisi dopo un concerto. Apparentemente nulla lega tra loro le vittime, se non la passione per la musica e lo strumento suonato.

Le Forze dell’Ordine che brancolano nel buio, mentre gli omicidi – 5, come il numero che simbolicamente esprime da sempre avventura e sperimentazione – si susseguono, a cadenza mensile, come nelle trame dei più cruenti serial killer.

Perché uccidere persone del tutto normali, che per passione suonano in piccoli locali e per pochi denari? Un interrogativo irrisolto, una fotografia che ricorre. Un criminale spietato e attento che uccide e scompare nel nulla. Un modus operandi senza precedenti, mai visto prima.

Sulle tracce dell’assassino opera anche un investigatore privato dal passato turbolento: ex bancario e cantante per passione, reinventatosi detective per necessità, si interessa al caso, per via dell’amicizia con una delle vittime.

Dal nulla prende così le mosse un’indagine a prima vista senza soluzione: ma un particolare, un dettaglio apparentemente senza importanza, lo porterà a scoprire il movente e l’assassino, mettendo a rischio la sua stessa vita.

Sullo sfondo, la città di Torino con tutto il suo fascino architettonico e misterico avvolta dall’afa estiva. E poi la riviera ligure tra Savona e Ventimiglia con i suoi intensi panorami, un raduno di appassionati di Harley Davidson, un’isola caraibica e l’atmosfera carica di adrenalina, tipica dei concerti.

Rancore, invidia, disperazione, dolore e tanta musica. Un cocktail esplosivo: l’avvincente debutto del giornalista Lele Boccardo nel mondo del noir.

Un romanzo imperdibile, per gli amanti della musica e delle emozioni forti.

 

LELE BOCCARDO – CHI E’

 

Lele Boccardo, classe 1961, nasce a Torino sotto il segno dei Gemelli. Granata nel DNA, da 50 anni non perde una partita in casa della sua squadra del cuore: il Toro.

Diplomato al prestigioso Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (To) e laureato a pieni voti alla Scuola di Amministrazione Aziendale dell’Università degli Studi di Torino.

Appassionato deejay per note discoteche e sale da ballo di Torino e provincia, vive da protagonista il periodo del fermento delle radio libere piemontesi degli anni ‘70 in qualità di speaker di storiche emittenti quali Radio Veronica One, Radio Abc Italiana, Radio Hinterland Moncalieri, Radio Studio Centrale Nichelino, Radio Star Moncalieri e molte altre.

Giornalista e critico musicale, Responsabile “Cultura e spettacolo” del quotidiano on line Civico20news.it, è Membro del Team di Opinionisti di Sanremonews.it, il portale italiano più seguito sul ‘Festival di Sanremo’.

Debutta come scrittore nel 2011 con il suo primo romanzo Un futuro da scrivere insieme (Seneca Edizioni). Nel 2015 firma la postfazione di Ancora Toro, scritto da Valerio Liboni de I Nuovi Angeli e dal giornalista Maurizio Scandurra.

Ma il suo sogno è scrivere un noir, e ci riesce brillantemente nel 2017 con Il rullante insanguinato (Sillabe di Sale Editore).

 

Gli studenti piemontesi a Trieste

Quarantatre ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni, accompagnati da dieci docenti e dalla prof.ssa Elena Mastretta dell’Istituto storico della Resistenza di Novara, hanno partecipato, da venerdì 5 a domenica 7 maggio, al viaggio studio di tre giorni a Trieste, vistando i luoghi della memoria del confine orientale italiano. Il viaggio – il primo dei tre riservati agli studenti distintisi nella 36° edizione del progetto di Storia Contemporanea, promosso dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico regionale –  ha avuto come mete a Trieste la Risiera di San Sabba, la foiba di Basovizza e , nel Goriziano, il memoriale di Redipuglia, dedicato ai caduti della Prima guerra mondiale.

 Trieste, dalla “scontrosa grazia”

Trieste, città dalla “scontrosa grazia” – come la definì Umberto Saba -, è capoluogo della provincia più piccola d’Italia, con la sua striscia di terra stretta tra il Carso e il mare e fu – con Trento – una delle “culle”  dell’irredentismo, movimento che aspirava ad un’annessione della città all’Italia. Due dei suoi simboli, visitati dalla delegazione degli studenti piemontesi, sono la Piazza Unità d’Italia, pavimentata con pietre d’Istria, circondata per tre quarti dai palazzi dell’Ottocento mitteleuropeo e aperta sul mare del golfo triestino, e il molo Audace. Esattamente lì (al tempo in cui era ancora chiamato molo San Carlo), nell’estate del 1914 gettò l’ancora la corazzata austriaca Viribus Unitis, sbarcando le salme dell’Arciduca  Francesco Ferdinando e della moglie Sofia, morti in quell’attentato di Sarajevo ( il 28 giugno del ’14) che cambiò la storia del Novecento. Su quello stesso molo, il  3 novembre del 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, attraccò la prima nave della Marina Italiana ad entrare nel porto di Trieste: era il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria. La Cattedrale di San Giusto, i caffè storici,  il castello di Miramare, il Faro della Vittoria, il porto vecchio e il Canal Grande : terra di confine e di scrittori ( Umberto Saba, Italo Svevo, Claudio Magris, Boris Pahor, James Joyce  che a Trieste – tra il 1905 e il 1917 –  completò la raccolta di racconti Gente di Dublino e scrisse alcuni capitoli della sua opera più famosa, l’Ulisse), Trieste riassume in sé l’intero confine orientale, dove da sempre soffiano i venti della grande storia, con il suo mosaico di mare, rilievi e altopiani , teatro di incontri e di scontri.

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San Sabba, la Risiera che diventò campo di sterminio

La visita alla Risiera di San Sabba suscita emozioni forti. Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso – costruito nel 1898 nel periferico rione di San Sabba – venne dapprima utilizzato dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 ( lo Stalag 339). Successivamente, verso la fine di ottobre di quell’anno, venne strutturato come Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Di fatto la Risiera è stato l’unico campo di sterminio nazista sul suolo italiano. Le porte e le pareti delle celle erano ricoperte di graffiti e scritte: l’occupazione dello stabilimento da parte delle truppe alleate, la successiva trasformazione in campo di raccolta di profughi, l’umidità e l’incuria le hanno quasi del tutto cancellate. Ne restano a testimonianza i diari dello studioso Diego de Henriquez (conservati nel “Civico Museo di guerra per la pace” a lui intitolato) con la loro accurata trascrizione. Nel cortile interno, proprio di fronte alle celle, sull’area oggi contrassegnata dalla piastra metallica, c’era l’edificio destinato alle eliminazioni – la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale – con il forno crematorio. L’edificio e la connessa ciminiera vennero distrutti dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini. Quante furono le vittime? Si immagina tra le tre e le cinquemila anche se in numero ben maggiore sono stati i prigionieri e i ”rastrellati” passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager di Dachau, Auschwitz, Mauthausen.

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Basovizza, l’orrore delle foibe

La Foiba di Basovizza, dichiarata monumento nazionale nel 1992, è il simbolo delle atrocità commesse sul finire della seconda guerra mondiale e negli anni successivi dalle milizie di Tito. Pozzo minerario in disuso, nel maggio 1945 fu teatro di esecuzioni di civili e militari italiani, arrestati dalle truppe jugoslave d’occupazione.

Migliaia di persone vennero torturate e uccise a Trieste e nell’Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. In gran parte vennero gettate dentro le foibe: voragini naturali disseminate sull’altipiano del Carso triestino e in Istria. Quella di Basovizza le rappresenta tutte, diventando nel tempo il principale memoriale – simbolo per i familiari degli infoibati e dei deportati deceduti nei campi di concentramento in Jugoslavia e delle associazioni degli italiani esuli dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, che qui ricordano le vittime delle violenze del 1943-1945. Dal 2008 il Sacrario è dotato anche di un Centro di Documentazione gestito dalla Lega Nazionale in collaborazione con il Comune di Trieste.

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Il Sacrario di Redipuglia

Ultima meta, sulla strada del ritorno a Torino, il Sacrario di Redipuglia , il più grande e maestoso “parco della Rimembranza” dedicato ai caduti della Grande Guerra. Redipuglia , il cui toponimo deriva dallo sloveno “sredij polije” (“terra di mezzo”), si trova nella provincia di Gorizia,  sul versante occidentale del monte Sei Busi e sorge nei luoghi dove , durante la Prima Guerra Mondiale, si svolsero le violentissime battaglie dell’Isonzo. Inaugurato il 18 settembre 1938, dopo dieci anni di lavori, l’opera –  conosciuta anche come  Sacrario “dei Centomila” – custodisce i resti di 100.187 soldati caduti nelle zone circostanti, in parte già sepolti inizialmente sull’antistante Colle di Sant’Elia. Fortemente voluto dal regime fascista, il sacrario celebra il sacrificio dei caduti e offre degna sepoltura a coloro che non avevano trovato spazio nel cimitero degli Invitti. Una  struttura imponente,  composta da tre livelli di gradoni , sormontata da tre croci  che richiamano l’immagine del Golgota e la crocifissione di Cristo. Circondato dai cipressi e dai prati  attraversati dai sentieri che passano accanto alle opere militari (camminamenti, caverne, trincee, postazioni per mitragliatrici e mortai) offre una testimonianza della linea difensiva realizzata prima dagli austriaci e poi conquistata dagli italiani.

Marco Travaglini