Maggio 2017- Pagina 3

Garage Italia: Lapo torna in scena con le 500 ispirate al Kamasutra

Lapo Elkann torna online su Instagram con progetti inediti, dirompenti  firmati dall’estro del direttore creativo di Garage Italia e realizzati con il team di designer da lui diretto.  Lapo annuncia nuovi concept e nuove idee ” per far divertire, riflettere e pensare”. Sono cielo, terra e mare, dice Lapo, gli elementi alla base della nuova avventura. Il rampollo di casa Agnelli ha pubblicato una reinterpretazione della Guerra Fredda, con due 500 che tengono in equilibrio un Mondo di cristallo, sono  le 500 Kar_masutra. Sulla carrozzeria le rappresentazioni artistiche del Kamasutra indiano e giapponese.

Uomo muore sotto il Tgv, ferma la circolazione ferroviaria

La circolazione ferroviaria si è fermata sulla linea Torino-Modane, nel tratto tra Collegno ed Avigliana a causa dell’investimento mortale di un uomo. Si è trattato probabilmente un suicidio, all’altezza di Alpignano, verso le 16. Il treno coinvolto, il Tgv 9248 si è fermato alla stazione di Alpignano. I convogli da e per Susa e Bardonecchia  hanno fatto capolinea a Bussoleno e Avigliana, mentre tra Avigliana e Collegno è stato attivato un servizio sostitutivo con bus.

Regione, al via la legge sull’immigrazione. Nasce il Forum dei nuovi cittadini

La Giunta regionale ha approvato il disegno di legge proposto dall’assessora all’Immigrazione Monica Cerutti, per la “Promozione della Cittadinanza”. Il testo adesso inizia il suo percorso legislativo in Consiglio regionale. Il disegno di legge sostituirà l’attuale legge regionale sull’immigrazione che risale al 1989. La proposta legislativa nasce da un percorso partecipato, iniziato nel mese di ottobre dell’anno scorso, che ha coinvolto associazioni e cittadini/e di origine straniera residenti sul territorio regionale.

La Regione Piemonte con questo disegno di legge si pone l’obiettivo di eliminare ogni forma di discriminazione, xenofobia e razzismo; garantire l’accoglienza e l’effettiva inclusione sociale delle cittadine e dei cittadini di origine straniera presenti sul territorio regionale; garantire pari opportunità di accesso ai servizi; promuovere la partecipazione alla vita pubblica locale; favorire il reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche; assicurare pari valore e condizioni al genere femminile, nonché garanzie di tutela ai minori di origine straniera, con particolare attenzione per quelli non accompagnati; monitorare il fenomeno migratorio nel territorio regionale; contribuire ad affrontare le cause delle migrazioni promuovendo uno sviluppo sostenibile nei Paesi di origine in coerenza con le politiche di cooperazione allo sviluppo nazionali e comunitarie.

L’amministrazione regionale garantirà alle cittadine e ai cittadini di origine straniera pari opportunità negli ambiti di competenza regionale: assistenza socio-sanitaria; politiche abitative; istruzione ed educazione interculturale; formazione professionale; inserimento lavorativo e sostegno ad attività autonome e imprenditoriali.

Il disegno di legge ha l’obiettivo ambizioso di costruire politiche strutturali in questo ambito, superando la logica emergenziale; a questo scopo sono previsti:

  • l’istituzione dell’Osservatorio regionale sull’immigrazione e diritto d’asilo;

  • la stesura di un Piano regionale integrato per l’immigrazione che avrà validità triennale e verrà aggiornato annualmente

Vengono inoltre istituiti tre organi di partecipazione:

  • il Forum Regionale dei nuovi cittadini e delle nuove cittadine;

  • la Consulta Regionale dei nuovi cittadini e delle nuove cittadine;

  • la Conferenza regionale sull’immigrazione che avrà cadenza almeno triennale.

Infine verrà compilato il registro regionale dei mediatori interculturali con lo scopo di disporre di figure professionali specializzate per l’erogazione di servizi di mediazione, accompagnamento e orientamento delle cittadine e dei cittadini di origine straniera e dei richiedenti asilo, nonché per facilitare i loro rapporti con le istituzioni, pubbliche e private e l’accesso ai servizi e alle prestazioni in diversi ambiti.

L’assessora all’Immigrazione della Regione Piemonte ha ribadito come ci sia grande aspettativa attorno a questo disegno di legge: “L’obiettivo è quello di trasformare i progetti attualmente in corso in politiche di programmazione. Ruolo fondamentale avrà l’associazionismo migrante, che il disegno intende rafforzare nella costruzione comune di politiche di inclusione. Sempre l’assessora ha messo in evidenza come il testo di legge presenti molti aspetti innovativi a partire dal collegamento tra le politiche per l’immigrazione e quelle per la cooperazione internazionale, o il ripopolamento della aree montane e rurali, con al centro il protagonismo dei cittadini/e di origine straniera”. Infine verrà istituito l’albo dei mediatori interculturali, strumento da tempo richiesto dagli stessi per l’accreditamento e la valorizzazione della loro funzione all’interno dei servizi pubblici.

Ecco i gusti vincitori del Gelato Festival

Sono il  ‘Gelato del vignaiolo’, un sorbetto al lampone e malvasia dolce, e il ‘Miami Vice’, con cocco, ananas e fragole fresche i due gusti vincitori della tappa torinese del Gelato Festival. Si sono qualificati per la finale europea a Firenze dal 14 al 17 settembre. Campioni della categoria senior e emergenti, sono Nicolo Arietti di Gelati d’Antan di Torino e Francesca Marrari della gelateria artigianale Golosia di Orbassano, premiati con la medaglia creata dall’orafo fiorentino Paolo Penko. Premiati anche i gusti Cremino della Mole, Crema Nobile, Dolce Amaro e Sapori del Gargano. La Spatola d’Oro per la coppetta perfetta è andata al Maestro Gelatiere Leonardo La Porta della Gelateria Miretti di Torino.

Jihad al femminile

Intervista di Laura Goria

In tempo di attentati può sembrare un’utopia…eppure chissà… che un vento di pace non possa arrivare proprio dalle donne dell’Islam che parlano di democrazia e fratellanza. La giornalista e scrittrice Luciana Capretti ha incontrato alcune esponenti del femminismo islamico nel mondo occidentale e in “La jihad delle donne” (Salerno editrice) ha raccontato la loro battaglia per l’emancipazione e un mondo migliore. Il testo ha avuto anche il viatico di Papa Francesco che ha definito importanti libri come questo…e una foto testimonia l’evento.

 

Una parte del mondo femminile musulmano che vive in Occidente stia conducendo una battaglia rivoluzionaria. Sono donne che reinterpretano il Corano e lo fanno anche meglio degli uomini, guidano la preghiera, aprono moschee, celebrano matrimoni, sono teologhe, storiche ed attiviste che lottano per superare secoli di discriminazioni. E’la mappa di un nuovo Islam; per ora minoritario, ma ha gettato i suoi semi.

Siamo abituati ad associare la Jihad con il terrorismo; quella delle donne invece cos’è?

«Jihad al femminile non ha assolutamente l’accezione con cui la conosciamo, di violenza, uccisione degli infedeli. Significa invece “sfida personale” e nei confronti del mondo. In che senso lo spiega Sherin Khankan, prima “imamah”danese che vive a Copenaghen dove ha fondato la sua moschea. Sostiene che devono dimostrare al mondo che l’Islam è un’altra cosa rispetto a quello che si pensa; e lo fanno con il loro messaggio di pace, eguaglianza e giustizia. Perché, dicono, l’ Islam è questo e non il fondamentalismo. Lo dimostrano rileggendo il Corano».

La lingua araba contempla più significati per ogni parola: la loro rilettura del Corano quanto è rivoluzionaria?

«Per 14 secoli è stato tradotto, interpretato e diffuso solo dagli uomini e si è sempre sentita solo la loro voce. Così queste donne sono ripartite da lì e lo hanno ristudiato. Ne emerge un Islam democratico, perché, dicono, se il principio fondamentale del Corano è che uomo e donna sono uguali, allora lo è tutto il genere umano: di ogni razza, colore e orientamento sessuale. Dunque sottolineano, quella di cui parla il testo sacro è democrazia».

Chi sono, dove e come vivono?

«Sono donne che per motivi di studio o emigrazione si sono trasferite dai paesi musulmani di origine in Occidente. Portatrici di una cultura che si scontrava con quella del paese di accoglienza inizialmente hanno vissuto una “dissonanza cognitiva” e si sono trovate ad un bivio. Rifiutare l’Islam, come hanno fatto le femministe negazioniste, oppure accoglierlo in modo diverso. Così hanno ripreso in mano il Corano. Vivono in Europa e Nord America, dove questa nuova cultura è nata. Alcune sono più famose, come Sherin Khankan o Rabeya Müller a Colonia; rilasciano interviste e diffondono il loro verbo. Però a loro volta anno generato un movimento. Se non c’è Khankan a guidare la preghiera del venerdì, altre imamah meno famose la sostituiscono».

Sostiene che l’occidente ha scoperto l’Islam dopo l’11 settembre e in modo cruento; ma che le prime femministe islamiche hanno avuto un ruolo già a fine 800/inizi 900, quale?

«La loro prima battaglia è stata in Egitto, con la giornalista Malak Hifni Nasif che usava la penna; mentre l’attivista Huda Sha’rawi, che parlava 3 lingue e sapeva muoversi in contesti internazionali, creò un movimento femminista. Poi altre si sono ispirate a loro; ma sono state soffocate perché vivevano in paesi a predominanza musulmana».

Oggi alcune di loro sono occidentali convertite all’Islam: curioso che donne nate in società in cui c’è parità di genere, abbraccino una fede tanto patriarcale….

«Dicono che non è così patriarcale e che risponde al loro bisogno di fede più di ogni altra. Per esempio Amina Wadud, prima imamah afro-americana, nata metodista in Maryland, ha approfondito tutte le religioni. Infine è approdata alla fede musulmana, che però, dice, deve stare al passo coi tempi. Sostiene che, pur mantenendo i principi fondamentali del Corano, vanno attuati dei cambiamenti. Per esempio è prescritto che il marito mantenga la moglie; ma rispetto all’Islam di Maometto oggi ci sono mamme single con figli e che lavorano, e non per questo sono meno musulmane, allora la prescrizione sul matrimonio deve essere modificata».

Quanto faticano per fare accettare questi cambiamenti agli imam e ai fedeli?

«E’ dura anche con l’occidente, perché vige l’idea della donna musulmana assoggettata. Se ci pensiamo bene, noi non abbiamo sacerdotesse; invece loro stanno facendo proprio questo. Sebbene minoritarie e disseminate qui e là nel mondo, dicono che non importa chi conduce la preghiera: chiunque possa far conoscere il Corano è giusto che lo faccia, uomo, donna o bambino che sia».

Nell’America di Trump come sono viste?

«Lì c’è in atto una crociata contro tutto l’Islam e le donne col velo sono più identificabili: alcune sono state aggredite e le loro moschee bruciate»

E in Europa dove il terrorismo di matrice islamica continua a fare stragi?

«Va meglio. Ci sono addirittura i primi esempi di imamah gay che a Marsiglia hanno aperto una loro moschea. Mentre a Berlino il 16 giugno aprirà la prima moschea inclusiva diretta da una donna. Ci vuole tempo, ma ci sono i segnali».

In che modo possono incidere nei paesi musulmani dove le donne non contano, sono spose bambine, soggette a mutilazioni genitali e lapidate con facilità? Difficile pensare a una loro ribellione.

«Certo è difficile. Ma si punta sull’istruzione insegnando che c’è un altro mondo. Come fa l’imamah Ani Zonneveld, che vive in California, con la sua organizzazione “Muslims for Progressive Values”: promuove un’azione capillare attraverso imam liberali che vanno nei villaggi più remoti di Africa e Asia e diffondono il nuovo messaggio».

E per quanto riguarda le derive del fondamentalismo islamico in Europa?

«Il problema alla base di tutte le società odierne è la ricerca di un senso d’identità: molti giovani lo trovano nella Jihad del Califfato. Per questo in Germania le femministe stanno lavorando per la de-radicalizzazione: scrivono libri scolastici sul Corano rivisitato, propongono un Islam democratico e di pace, forniscono un modello positivo in cui riconoscersi. Certo c’è ancora molto da fare ed occorre anche la collaborazione dello Stato».

Lei ha intervistato molte femministe islamiche: cosa l’ha colpita di più?

«Ognuna ha un tratto diverso, ma in comune hanno l’assoluta convinzione che cambieranno le cose, l’incredibile entusiasmo e l’ottimismo. Sostengono che oggi Internet ci rende una sorta di villaggio globale, le notizie corrono e raggiungeranno le donne che cominceranno a ribellarsi. Ne è più che convinta la regista pakistana Sharmeen Obaid Chinoi che nei suoi documentari racconta la situazione delle donne nel suo paese, poi li porta in giro per il mondo e vince Oscar. Il Pakistan ne esce svergognato e, com’è successo, rivede le leggi che le riguardano».

Come vede il futuro e le vittorie della jihad femminile?

«E’ il risultato di un innesto culturale e generazionale. Il discorso è portato avanti soprattutto dalle nuove generazioni. Magari noi non vedremo la loro piena realizzazione, ma forse i nostri figli si».

 

 

 

 

 

 

 

 

Un Penshow tutto torinese

Anche quest’anno si rinnova l’appuntamento con  l’iniziativa che si terrà sabato 3 giugno 2017 dalle 11 alle 17.30, ingresso 8 euro  

 

 

I “Penshow” sono eventi legati al mondo del collezionismo degli oggetti da scrittura, nati negli Stati Uniti con l’intento di mettere in contatto i numerosi appassionati attraverso la compra/vendita o scambi di penne stilografiche, matite e affini. Il Turin Penshow nasce nel 2012 come risposta italiana ai tanti Penshow europei e ai Penshow italiani già esistenti. Le prime due edizioni si sono svolte nel mese di giugno in Piazza Statuto, in collaborazione con la Proloco Torino. Dalla terza edizione il Turin Penshow si è svolto nel mese di ottobre in luoghi suggestivi, come la sala d’onore del Circolo dei lettori per le edizioni 2013 – 2014 e presso le sale della Biblioteca del Circolo degli artisti per l’edizione del 2016. Il Turin Penshow ha sempre avuto obiettivi diversi rispetto alle altre manifestazioni del genere, in particolare concentrandosi per ampliare l’offerta delle esperienze disponibili per gli utenti e riscuotendo per questo un notevole apprezzamento; ad esempio, sarà a disposizione un tavolo per le prove di scrittura, dove si potranno liberamente utilizzare e sperimentare penne stilografiche di ogni genere e altri utensili per scrivere come calami in legno, penne d’oca, cola pen, ecc. Il Pen Show organizzato presso l’Officina della Scrittura segnerà una tappa significativa in questo senso: l’ingresso alla manifestazione sarà infatticomprensivo di biglietto per il museo e darà la possibilità di accedere a visite guidate “per esperti”, attività didattiche per bambini, approfondimenti sul tema della scrittura grazie alla collezione museale ed alla Biblioteca dedicata a Segno e Scrittura. Si arricchirà inoltre della collaborazione del maestro calligrafo Ernesto Casciato, che darà dimostrazioni di calligrafia e permetterà di provare inusuali strumenti da scrittura. Il Ristorante-Caffetteria “L’Officina” sarà regolarmente aperto dalle 9.30 alle 17.30 per deliziare tutti i partecipanti con le sue proposte culinarie.

 

PIÙ DI DUEMILA PERSONE DA TUTTA ITALIA PER DIRE NO ALLO ZOO

UNA  MAREA UMANA COLORATA HA INVASO TORINO PER LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO LO ZOO

Contrariamente a quanto affermato da alcuni media, secondo i quali i partecipanti alla Manifestazione erano poche centinaia di persone, da una stima delle Forze dell’Ordine erano invece più di un migliaio.  Secondo gli organizzatori erano almeno 2.000


Una partecipazione che a Torino non si vedeva da tempo e che ha dimostrato una volta di più quanto si siano amplificati il rispetto per gli animali e l’opposizione verso la riapertura dello zoo in Parco Michelotti. È stata una giornata di festa quella che si è svolta a Torino e che ha richiamato gente da tutta Italia per protestare contro la riapertura dello zoo di Torino in Parco Michelotti.
La città, da tutto il mese tappezzata da manifesti che invitavano alla Manifestazione Nazionale del 27 maggio, ha visto il culmine della protesta nella fiumana di gente che, arrivata da tutta Italia, ha invaso le strade principali di Torino. Una folla colorata, composta e pacifica, ha percorso il tragitto dalla Stazione di Porta Susa fino a Parco Michelotti. Persone di tutte le età, bambini, tanti cani. Tutti a manifestare contro il progetto che vede la riapertura dello zoo e la privatizzazione di un Parco pubblico. Gli organizzatori, rappresentanti delle maggiori sigle dell’animalismo e ambientalismo nazionale, erano visibilmente soddisfatti anche se hanno dichiarato che questo è solo l’inizio e non si fermeranno finchè non verrà fermato il progetto.

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La manifestazione aveva come titolo NO AGLI ZOO – NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DEI BENI COMUNI. Ai discorsi di chiusura, che si sono svolti proprio davanti all’ingresso del vecchio zoo in Parco Michelotti, oltre ad alcuni presidenti nazionali delle organizzazioni promotrici ha parlato anche Ugo Mattei, primo firmatario degli 11 autorevoli giuristi di tutta Italia che hanno firmato una dichiarazione congiunta a proposito della minaccia, da parte della Giunta Appendino, di fantomatiche multe plurimilionarie nel caso si fermasse il progetto, che appaiono del tutto inverosimili da un punto di vista legale. Gli undici giuristi hanno dichiarato: “una penale congrua non potrebbe superare significativamente il costo ragionevole della progettazione, una cifra dunque relativamente modesta che lascia certamente all’amministrazione in carica la scelta politica sul se interrompere o meno la realizzazione dello Zoo.” La  prossima tappa delle iniziative del Comitato, che rappresenta un folto numero di cittadinanza, sarà l’incontro in VI Commissione del 6 giugno in cui si discuterà con il Consiglio Comunale la richiesta della petizione “No alla riapertura dello zoo in Parco Michelotti”.

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Per:
ENPA, LAC, LAV, LEAL, LEGAMBIENTE, LIDA, OIPA, PRO NATURA Torino, SOS GAIA

Rosalba Nattero

La forza dei numeri

 

di Antonio DE CAROLIS

 

Rivoluzione dei Big Data, un’affermazione che sempre più spesso fa capolino in azienda e sui principali mezzi di comunicazione

 

 

Chi opera in ambito informatico ne parla come di una “nuova frontiera”, chi si occupa di privacy la indica come il grande pericolo che ognuno di noi deve quotidianamente affrontare, chi si occupa di marketing la identifica come strumento per avvicinare il “prodotto giusto al cliente giusto” e chi si occupa di medicina la reputa fondamentale per la cura e la prevenzione delle malattie. Tutti noi siamo fruitori e fornitori di dati e lo siamo in ogni momento della vita quotidiana. Ad esempio, quando facciamo un acquisto su Internet o quando compriamo in un   negozio “fisico”, sottocasa o dall’altro capo del mondo, e paghiamo con carta di credito.  Tutte le attività sono potenziali fornitrici di dati, dall’abbigliamento alla farmacia… La quantità di dati acquisita negli ultimi due anni è elevatissima, la misurazione viene fatta in ZB – Zettabyte. Per dare un’idea pratica della quantità di dati che 1 ZB esprime, Wikipedia dice: “corrisponde a circa 180 milioni di volte le documentazioni conservate nella Biblioteca del Congresso di Washington“.

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Un gran numero di dati, non c’è che dire, ma come sarà possibile gestirli?  Diventeranno informazioni che aiuteranno le imprese e i loro manager a prendere decisioni o resteranno lì inutilizzate, vista la difficoltà reale di elaborarle? Che i numeri fossero importanti lo sapevano già nell’antichità; infatti venivano utilizzati per fare previsioni, studi di vario genere e per generare teoremi.  Le previsioni, però, sono fondamentali anche oggi. Senza dati non si possono fare previsioni e, senza previsioni, come potrebbe, ad esempio, un’azienda gestire gli approvvigionamenti di materie prime oppure le quantità di prodotti da produrre ?

Ogni informazione in azienda (e non solo…) è importante, talvolta vitale, per chi deve fare delle scelte. In un panorama smisurato di dati disponibili è fondamentale definire il processo di trasformazione degli input in informazioni utili per la gestione e le strategie imprenditoriali.

Questa sarà la vera rivoluzione dei Big Data, così come lo è stata quella degli elettrodomestici dopo la scoperta dell’energia elettrica. Di per se’ la corrente elettrica non serviva alle persona, ma l’utilizzo della stessa ha trasformato la qualità della vita delle persone. Proprio a questi argomenti, Luigi Bollani e Luca Bottacin hanno dedicato la loro attenzione nel proporre il nuovo libro presentato in occasione del Salone del Libro di Torino, il 22 maggio scorso.

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Il titolo non lascia spazio a dubbi: “Dai dati alle informazioni: un percorso statistico per l’azienda”, un libro che mira a sottolineare un ponte tra accademia e impresa. Il testo, utilizzato per l’insegnamento di “Statistica per l’azienda” alla Scuola di Management ed Economia e alla Scuola di Amministrazione Aziendale (Saa) di Torino, ha uno stile schematico, corroborato da grafici che “illustrano” l’utilizzo del metodo statistico all’ interno dell’azienda. Luigi Bollani ricorda: ”il libro è pensato per gli studenti, ma è fruibile anche da chi lavora in azienda per supportare le decisioni su basi concrete. Anche per questo le tecniche sono illustrate passo a passo con esempi numerici e una guida all’applicazione informatica: il foglio elettronico per le elaborazioni più semplici e l’ambiente statistico R per quelle più complesse”.

Come dire: un libro di testo che diventa un Manuale operativo.

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Nel corso della serata, moderata da Davide Caregnato, direttore della Saa – School of Management, che ha già acquistato 250 copie per i propri studenti, il co-autore Luca Bottacin ha colto l’occasione per fare un piccolo excursus storico sui metodi gradualmente introdotti e sui pareri controversi di alcuni autori eccellenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Bollani presenta il libro al Salone

 

 

Non sono mancati i riferimenti ironici alla statistica, proprio come quando è stato ricordato Trilussa e la teoria dei polli: “se io ho due polli e tu nessuno, la statistica dice che in media mangiamo un pollo a testa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cristina Barettini con alcuni dei “suoi bambini”

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Dopo il momento di goliardia, si è giunti all’aspetto sociale del libro che, oltre a quanto sopraindicato, servirà anche ad aiutare i progetti di “Kirua Children Onlus”, l’associazione presieduta da Cristina Barettini e ispirata da Padre Peter Kilasara, sacerdote tanzaniano, per anni missionario a Torino, in quanto  gli autori hanno rinunciato ai loro diritti di compenso e i giovani Editori, Luigia Gallo e Claudio Sturiale (Pathos Edizioni), hanno deciso di rinunciare a una parte importante dei loro proventi per devolverli a questa organizzazione che, in pochi anni, ha già costruito opere evidenti in importanti progetti come la “Masering Nursery School” sul Kilimangiaro (dal 2009) e il “Cor Ardens Mlandizi” per i ragazzi di strada di Dar es Salaam (dal 2012) che quest’anno ha un nuovo pozzo con acqua pescata a duecento metri sotto terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una classe di bambini con la loro maestra

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Il legame tra Università e aziende ha lo scopo di aumentare la Conoscenza e l’aggiornamento delle persone. L’uscita di questo libro, a nostro avviso, è accompagnata da un esempio di strategia di marketing sostenibile in grado di “stimolare la sete di conoscenza”.

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Antonio DE CAROLIS

Presidente CDVM

Club Dirigenti Vendite e Marketing

Presso Unione Industriali di Torino

www.cdvm.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Identità sessuale. Cosa cambia dall’antica Grecia all’Italia di oggi

Ille mi par esse deo videtur, ille si fas est superare divos: mi sembra pari a un dio, – se è lecito dire – mi sembra superi gli dei
Di Marco Porcari, Avvocato del Foro di Torino 
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Fin dall’antica Grecia l’orientamento sessuale non era concepito come un identificatore sociale, diversamente da quanto accade nelle società occidentali moderne; la società greca non ha distinto il desiderio o il comportamento sessuale dal sesso di appartenenza dei partecipanti, ma piuttosto sulla base del ruolo che ciascun partecipante giocava all’interno del rapporto e nell’atto sessuale, ovvero se fosse stato dominante o dominato; questa polarizzazione tra attivo e passivo entrava in corrispondenza con i ruoli sociali dominanti e sottomessi, a prescindere dall’identità sessuale di chi assumeva il ruolo attivo associato – per lo più ma non in via  esclusiva –  con la mascolinità, o il ruolo passivo assimilato, anch’esso non in via esclusiva,  con la femminilità.

              

              Si comprende come, a seconda del ruolo sociale assunto, a seconda delle inclinazioni sessuali atte a fungere da dominante e/o da sottomesso, ciascun componente della società assumeva un ruolo ed un’identità precisa che prescindeva dalle connotazioni sessuali biologiche.

 

              Non a caso il verso di Catullo (carme 51) costituisce una delle traduzioni dell’Ode 31 – sicuramente la più famosa – di Saffo, nota poetessa greca antesignana dell’amore lesbico, che esprime con queste parole sublimi l’amore voluttuoso che nutriva per una fanciulla appartenente al tiaso, associazione religiosa in cui si venerava il culto orgiastico di Dioniso.

 

              Nel nostro tempo, e in particolare in Italia, il legislatore sente il bisogno di consentire un mutamento di sesso “giuridico” a persone che nascono con una connotazione fisica attinente ad uno dei due sessi, ma che in realtà si sentono di appartenere al sesso opposto.

              

              Ovviamente la nostra cultura moderna impediva di effettuare una valutazione quale quella sovra descritta della Grecia antica, scevra da ogni condizionamento di carattere biologico e incentrata semplicemente sul ruolo attivo e/o passivo assunto nell’ambito delle relazioni sessuali di copia e non solo.

 

              Conseguentemente la nostra società è sempre stata indotta a pensare, fino ai tempi più recenti, che affinchè una relazione sessuale – e conseguentemente una relazione di coppia – potesse ottenere un riconoscimento etico, prima ancora che giuridico, fosse necessario che tale relazione venisse instaurata tra persone di sesso biologico opposto; ne è sempre derivato che presupposto indefettibile affinchè le persone che nascevano biologicamente appartenenti al sesso maschile o al sesso femminile per ottenere il mutamento di sesso – con conseguente riconoscimento anagrafico – fosse solo ed esclusivamente il mutamento delle caratteristiche biologiche primarie prima fra tutti quella dell’organo riproduttivo sessuale.

 

In biologia si identificano come primari gli organi genitali e riproduttivi, mentre si definiscono secondarie le caratteristiche psicofisiche come la costituzione corporea, il timbro di voce e altri atteggiamenti esteriori riconoscibili dall’esterno.

 

              Comprenderete come tale orientamento di pensiero abbia indotto il nostro legislatore, nel 1982, con la legge numero 164, a prevedere la possibilità per ciascun soggetto di richiedere ed ottenere l’autorizzazione giudiziaria alla rettifica degli atti dello stato civile, e quindi il mutamento anagrafico della propria identità con cambiamento del nome da maschile a femminile e viceversa, solo ed esclusivamente – l’interpretazione normativa della legge  ha dominato per molti anni e non ha destato alcun dubbio – attraverso l’intervento demolitivo e ricostruttivo dell’organo genitale per l’uomo e più semplicemente ricostruttivo dell’organo genitale, per lo più accompagnato dall’intervento di mastectomia, per la donna.

 

              Tale orientamento – molto lontano dalla cultura dell’antica Grecia sovra descritta atta a valorizzare i ruoli sessuali piuttosto che le caratteristiche biologiche dei due sessi -, ha spesso costretto persone che, pur convivendo con i propri connotati somatici, si sentivano appartenenti ad un ruolo di dominati invece che di dominatori, sentivano la loro mascolinità o la loro femminilità alloggiata in un corpo che non apparteneva loro, senza tuttavia sentire l’esigenza di sottoporsi ad interventi chirurgici che spesse volte si sono manifestati, per la loro inevitabile caratteristica di irreversibilità, devastanti sotto il profilo fisico e psichico dei soggetti che vi si sono sottoposti. 

 

              In molti Paesi esteri è ammesso il cambiamento del nome sul documento di identità a prescindere dal sesso, non in tutti il sesso biologico non è indicato sui documenti; il legislatore italiano ha manifestato pigrizia in materia, ecco che ha sopperito la giurispudenza che ha interpretato proprio quella norma che per anni non ha destato dubbi in merito al cambiamento biologico chirurgico sopra descritto, sostenendo che, nel rispetto dell’identità di genere della persona umana, sia possibile stabilire che un soggetto – a seguito di un percorso principalmente psicologico accompagnato da cure ormonali -, possa ben mutare il proprio sesso anagrafico senza necessariamente doversi sottoporre all’intervento chirurgico di mutamento delle caratteristiche biologiche del proprio organo riproduttivo sessuale.

 

              La questione di costituzionalità è stata sollevata dal giudice del Tribunale di Trento per contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, perché la legge richiede, ai fini della rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, la modificazione dei caratteri sessuali primari, e ciò pregiudicherebbe gravemente l’esercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere; la norma violerebbe inoltre gli artt. 3 e 32 della Costituzione, poiché è “irragionevole” subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, alla sottoposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – anche pericolosi per la salute.

 

              Secondo la Corte (si veda la sentenza  n° 221 del 5 novembre 2015) “l’imposizione di un determinato trattamento medico, sia esso ormonale, ovvero di riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali, costituirebbe una grave ed inammissibile limitazione del diritto all’identità di genere” ; infatti, il raggiungimento dello stato di benessere psico-fisico della persona si realizzerebbe attraverso la rettificazione di attribuzione di sesso e non già con la riassegnazione chirurgica sul piano anatomico. Del resto già da tempo la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto, nel novero dei diritti inviolabili, il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, come un aspetto dello svolgimento della personalità, e il diritto alla libertà sessuale.

 

Secondo la Corte, in definitiva, la norma sopra citata, per oltre trent’anni interpretata in modo estremamente restrittivo, così come formulata, riferendosi genericamente ad “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”, lascia all’interprete il compito di definire il confine delle modificazioni e delle modalità attraverso le quali realizzarle; la mancanza del riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, o conseguenti ad una situazione congenita), attraverso cui può compiersi il cambiamento di sesso, esclude la necessità del trattamento chirurgico.

 

Anche la Corte costituzionale quindi, così come la Cassazione (con la sentenza 15.138 del 2015), afferma che deve essere rimessa al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare – con l’assistenza del medico e di altri specialisti – il proprio “percorso di transizione”, che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. Il trattamento chirurgico è uno strumento eventuale, un mezzo funzionale al conseguimento del pieno benessere psicofisico poiché porta ad una corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, senza tuttavia, prescindere da un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. 

 

Del resto anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che il diritto all’identità di genere rientra nella tutela prevista dall’art. 8 della Convenzione che impone il rispetto della vita privata e familiare.

 

              Alle soglie del 2020, dopo ben 35 anni dall’entrata in vigore della citata legge sul mutamento di sesso – grazie all’intervento ermeneutico del c.d. Giudice delle Leggi – possiamo affermare che in Italia una persona umana può essere se stessa dal punto di vista sessuale di fronte alla legge in base alle proprie inclinazioni ed in base alla proprie connotazioni psico-fisiche, anche secondarie, prescindendo dalla morfologia dell’organo riproduttivo sessuale primario.

Tra leoni in gabbia e cani al guinzaglio: zoo sì o no?

STORIE DI CITTA’  / di Patrizio Tosetto

Animalisti di tutto il mondo unitevi. Sabato pomeriggio davanti al Parco Michelotti il loro “no”. Ci vado più per curiosità che per convinzione. Ci vado con il mio cane, appassionati di passeggiate. 

Mi si avvicina un gentile signore probabilmente fotografo che sornionamente mi dice: vogliamo la libertà degli animali e poi teniamo i nostri cani al guinzaglio. Rispondo è il regolamento municipale e poi il mio con i cani maschi tende ad azzuffarsi. Sorride. “Dicevo così per dire”. Io continuo: poi, vede, tanti sono venuti con il proprio cane. Ascolto i vari oratori.  Sintesi: ancorché la politica ed i politici non ci ascoltano sarebbe una società più giusta se non ci fosse violenza contro gli animali. 

Toni concilianti e non metto in dubbio la bontà delle intenzioni. La stragrande maggioranza dei presenti erano giovani. Ma è un messaggio universale? Su questo ho i miei dubbi. L’importante è evitare esasperazioni e generalizzazioni.  Ultimo punto. La manifestazione termina davanti all entrata dell’ ex zoo di Torino chiuso nei primi anni ’80.  L’assessore competente donna mi spiegava che era l’inizio di un’ azione politica contro la violenza agli animali. Ed effettivamente vedere i leoni in gabbia faceva e fa pena.  Ma non c’ è una via di mezzo? Hanno terminato lì la manifestazione perché contrari ad un possibile nuovo zoo privato. Ma è meglio l’attuale stato di abbandono? Occasionale rifugio di senza tetto o di abusivi concerti dove alcol e droghe scorrono a fiumi? Mi faccio una obiezione: allora, in nome del fare, legittimo la violenza sugli animali ? Appunto, in medio stat virtus. Vorrei tanto lasciare sempre libero il mio cane. Ma vivendo in una comunità applico delle elementari regole per non arrecare danno. Semplice e tutto qui.  Annotazione di colore. Simpaticamente chiassosi i ragazzi che al ritmo tribale dei tamburi hanno riempito di musica la manifestazione. 

(foto: il Torinese)