Un’alleanza per il cambiamento? L’idea è giusta

di Marco Travaglini*

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Enzo Ghigo, che conosco e apprezzo come persona perbene e sinceramente democratica, sulle pagine di “Repubblica” ha posto un tema che non va sottovalutato. E Sergio Chiamparino, con il quale ho avuto l’opportunità di collaborare in passato, ha rilanciato l’ipotesi di una sua ricandidatura alla guida della Regione. Entrambi, di fronte ad una deriva non tanto populista quanto confusionaria e tardo-giacobina dove si è promesso tutto e l’esatto contrario, mettendo in campo un progetto e un’idea di paese che mi preoccupano, pongono il tema della   prospettiva e del possibile “big bang” qualora – eventualità possibile – l’alleanza di governo si riproponga anche nell’area subalpina. E’ una riflessione, ovviamente, e occorrerà vedere cosa accadrà nei prossimi mesi. Il tempo, seppur breve, può macinare certezze che oggi sembrano granitiche e occorrerà vedere se e come l’alleanza giallo-verde riuscirà a dar corpo a quanto hanno scritto nel loro “contratto”. Da ciò che accadrà in tempi relativamente brevi si vedrà se il modello Cinque Stelle-Lega sarà esportabile dal centro alla periferia. Ghigo auspica, in prima battuta, un’alleanza di centrodestra ed è comprensibile. Io sono tra coloro che ritengono urgente una ricomposizione su basi nuove, non autoreferenziali del centrosinistra e il suo allargamento. Ma, al di là delle dinamiche dei partiti e delle coalizioni, ogni ragionamento deve partire dall’esigenza di offrire risposte concrete a temi di primaria importanza: quello del lavoro che non c’è e, quando c’è, si presenta con il volto della precarietà sottopagata e della temporaneità; quello dello sviluppo economico che non può prescindere dalla capacità di immaginare quale futuro assegnare ad un Paese – e nel nostro caso a una regione transfrontaliera come il Piemonte – dove le scelte sulle politiche industriali, energetiche, trasportistiche non possono penalizzare l’innovazione e, al tempo stesso, una più equa redistribuzione di risorse e possibilità per tutti, a partire dai più giovani.

Questo significa ragionare su un’intesa, chiamiamola repubblicana o “ragionevole” che freni la deriva sulla quale ci si è incamminati, riportando all’attenzione di cittadine e  cittadini proposte e valutazioni realistiche sull’oggi, su quanto è necessario e utile fare, su quale dovrà e potrà essere il futuro del Piemonte? Anche. Un sano realismo suggerirebbe l’abbandono di pregiudizi e un franco e leale confronto con tutti per trovare una risposta alternativa a chi promette mari e monti, sapendo che gran parte di queste promesse sono difficilmente realizzabili ( e in alcuni casi risulterebbero pure dannose) e che  produrre danni al tessuto democratico e alla tenuta del Paese quando la “grande illusione” finirà, rischierebbe di lasciare in eredità un grumo di sentimenti di frustrazione e rabbia. Oggi su pochi punti qualificati si possono trovare intese larghe e provare a costruire proposte che non parlino solo al ceto politico ma alla gente comune, alle moltitudini che provano sulla propria pelle l’urticante realtà delle conseguenze della peggior crisi economica e sociale di sempre. In democrazia lo scettro rimane nelle mani del popolo-elettore e, leggi elettorali a parte,  se si desidera riconquistarne un consenso che non sia solo rispondente agli umori del momento occorrono realismo e serietà, ma anche una forte capacità di offrire una visione, un’idea di futuro che non faccia sognare una notte, ma riapra lo spiraglio di una possibile speranza. Da qui discende il bisogno di riportare la politica al suo senso vero, al di là dei simboli e delle sigle di partito, vale a dire “l’attività pratica relativa all’organizzazione e amministrazione della vita pubblica”. In due parole, l’arte del governo.

 

*già dirigente della sinistra piemontese

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